Team Usa: è la strada giusta

Team Usa torna a vincere!

E' tornato il Dream Team.
Nessun proclama, nessun paragone col passato, soltanto una medaglia, quell'oro olimpico inseguito fin dal giorno della delusione di 4 anni fa.

Dall'estate del 2004 la nazionale a stelle e strisce si preparava al tanto atteso momento, per lavar via "l'onta" della medaglia di bronzo portata a casa da Atene.

Sul team americano, guidato saggiamente (anche se, forse, in modo un po' troppo meccanico) da coach K, si è detto e scritto di tutto negli ultimi mesi. Tante volte a proposito, altre forse meno, come talvolta accade. Ma ci sta, o meglio ci stava tutto perché ora, nonostante la prova superlativa della nazionale spagnola, gli Stati Uniti sono tornati da Pechino con l'oro al collo.

La squadra in cerca di redenzione ha dunque raggiunto il suo obiettivo, e c'è da scommettere che da qualche parte, negli States, c'è chi lavora già  per i prossimi mondiali, perché a poco servirebbe l'oro olimpico se la nazionale Usa non si riprendesse in fretta anche lo scettro del mondo cestistico.

Ma perché, nonostante una concorrenza sempre più competitiva, questa volta gli americani ce l'hanno fatta?
Cosa è cambiato dalle ultime competizioni internazionali, coronate da risultati negativi?

Il torneo olimpico

Insomma, tutto facile all'Olimpiade cinese?
Bè, sinceramente sì. Almeno un po'.
In fondo, detto francamente, da più parti, prima dell'avvio dei Giochi Olimpici, si erano espresse perplessità : occhio agli spagnoli, attenzione a questi, quegli altri potrebbero fare uno scherzetto, ecc"

Tutte storie. La nazionale statunitense ha dominato il torneo dalla prima all'ultima giornata, faticando un paio di quarti di gioco (in finale) in tutta l'Olimpiade.

Anche perché, se mai KG o Duncan, tanto per far dei nomi, avessero accettato la convocazione, forse gli Usa non avrebbero sofferto neanche in quei 20-25 minuti.

La realtà  è semplice: la Spagna, attualmente, ha una grande nazionale, composta in buona parte da giocatori con lunga esperienza nella Nba, altri che la stanno iniziando, altri (Rubio) che in futuro l'avranno. Ne è venuta fuori una grande finale, con la difesa iberica che le ha provate tutte per fermare l'attacco atomico degli States i quali, a loro volta, hanno faticato in difesa, anche per la mancanza di veri "esperti" del genere.

Perché Team Usa ha dominato?
8 vittorie in altrettante gare, 106.2 punti a partita con oltre 41 rimbalzi di media (con il solo Howard centro di ruolo, visto che Boozer è stato impiegato pochissimo), con 55% dal campo, più di 12 recuperi e quasi 4 stoppate per volta.

E non è che team Usa si sia trovato davanti la squadretta della parrocchia, né tantomeno nazionali al debutto olimpico. Gli avversari erano i quotati spagnoli, campioni del mondo in carica, la Grecia, l'Argentina, quintetti abituati a lottare per traguardi importanti.

Proprio per questo non si deve togliere valore all'oro americano, meritato non tanto, o non solo, per lo spettacolo sul campo, per i numeri e per le schiacciate, ma per aver sempre avuto un piede avanti agli altri. A volte con scarti enormi, altre volte meno (in pratica solo in finale).

Neppure ci sta, a mio avviso, il paragone con il primo Dream Team, quello che abbagliò il mondo con le magie di Jordan, Magic e Bird.

Dream team "vero"?

Come hanno ripetuto in molti, a partire dallo stesso coach K, di Dream Team ce n'è stato uno ed uno soltanto, per molti e diversi motivi.

Per il momento in cui fu deciso di portare i professionisti alle Olimpiadi (eravamo agli inizi degli Anni Novanta), per la novità  che questo comportava per gli avversari, per l'impatto con un basket forse allora poco preparato a reggere l'impatto, soprattutto offensivo, delle stelle americane, per le caratteristiche forse uniche dei componenti di quella squadra.

Giocavano divertendosi. Non scherzando, attenzione, ma mettendo semplicemente in mostra la classe e quell'intima confidenza con il canestro che, allora, solo (o quasi) gli statunitensi potevano vantare. Frutto di una scuola, di una preparazione e di una cultura cestistica unica.

A quei tempi gli europei nella Lega erano una vera rarità ; chi, come il sottoscritto, ricorda quegli anni, può dunque capire la difficoltà  delle nazionali del vecchio continente, che per la prima volta si erano trovate di fronte al Dream Team.

Ora è tutto molto diverso, e forse proprio per questo è più facile.
Giocatori di tante nazionalità  diverse si rendono eleggibili e vengono inseriti nel draft Nba, spesso seguiti per mesi e mesi dagli scout di svariate franchigie, ed approdano così nell'affascinante mondo del basket a stelle e strisce.

Qualcuno sfonda, altri tornano in Europa dopo fugaci esperienze, ma questo poco importa.
Non è solo una questione di soldi, talvolta neanche tanto di miglioramenti tecnici o tattici.
E' l'esperienza che ogni giocatore si porta dietro.

Nel team Usa, a Pechino, qualcosa è davvero cambiato.
Innanzitutto nel roster.
Se contiamo soltanto Olimpiadi e Campionati mondiali, il successo mancava dal 2000, da quella squadra guidata da coach Tomjanovich, con Garnett, Carter, Payton, Mourning ed altri tra i convocati.

Metà  del roster di Pechino era composto da giocatori che avevano già  preso parte ai mondiali 2006, una squadra che aveva più peso sotto canestro (Howard, Brand, Miller) ma forse complessivamente meno talento e meno esperienza.

L'ennesimo, brutto risultato per il paese che ha visto nascere e crescere il basket, ha convinto tutti, giocatori, tecnici e dirigenti, a riportare nelle competizioni nazionali qualcosa che si potesse avvicinare il più possibile al Dream Team dei primi anni Novanta.

E allora ecco Kobe, MVP della stagione Nba, i migliori playmakers dell'anno, Paul e Williams, il miglior rimbalzista, Howard, un ritrovato Wade (il migliore dei suoi a Pechino), la solita potenza di James (già  presente ad Atene), e via tutti gli altri.

Qualcosa in centimetri mancava, ad essere sinceri, ma con roster simile quello poteva tranquillamente non essere un problema. E infatti così è stato.

Ma qualcosa di diverso, qualcos'altro, rispetto alle ultime apparizioni, c'era. Si vedeva negli occhi dei protagonisti. Si vedeva da come, fin dalle prime battute del torneo, ogni giocatore lottava su ogni pallone, anche con la squadra avanti un abisso rispetto agli avversari.

Grinta, voglia, determinazione verso l'unico obiettivo della spedizione: tornare a vincere la medaglia d'oro, dimostrare di poter essere di nuovo i migliori.
Tutti volevano l'oro, a qualunque costo, e tutti l'hanno dimostrato senza perdere troppo tempo davanti allo specchio.

Ecco perché Team Usa è tornato sul gradino più alto del podio.

Onore alla Spagna che ci ha provato fino all'ultimo, con la sua classe e i suoi campioni. Ma questi Stati Uniti, per una volta, sono tornati imbattibili.

Intanto si guarda già  alla Turchia e ai prossimi campionati mondiali: il titolo non varca l'oceano dal lontano 1994. E c'è da scommettere che vedremo ancora in azione il Dream Team. Quello vero.

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