KB24 e CP3: un MVP per due.
E' arrivato il momento di commentare l'assegnazione dei premi stagionali: l'Olimpo delle discussioni da bar, il Nirvana dell'aria fritta, il Festival di Sanremo del basket NBA; un appuntamento che gli appassionati spesso minimizzano, snobbano, deridono, verso il quale ostentano indifferenza e supponenza, ma che in realtà esercita su chiunque un fascino morboso e irresistibile, fornendo lo spunto per discussioni tanto sterili quanto gustose.
Andiamo quindi ad analizzare i premi individuali attribuiti dalla lega ai suoi campioni: per ogni categoria parleremo in breve (compatibilmente con i noti problemi di logorrea di chi scrive) del "buono" (i protagonisti di ogni premio), il "brutto" (quei giocatori "oscuri", di cui non si sente parlare quasi mai, ma che avrebbero meritato quantomeno un minimo di considerazione) e "il cattivo" (la grande delusione, il giocatore che avrebbe voluto, e dovuto, essere in lizza per un determinato premio, ma non ha mantenuto fede alle aspettative).
MOST VALUABLE PLAYER: Kobe Bryant
(126 votanti, cinque preferenze per ciascuno a cui attribuire rispettivamente 10-7-5-3-1 punti)
1 Kobe Bryant (1100 punti, 82 primi posti)
2 Chris Paul (894 punti, 28 primi posti)
3 Kevin Garnett (670 e 15)
4 LeBron James (438 e 1)
5 Dwight Howard (60 e 0)
Altri giocatori votati: Amare Stoudemire, Tim Duncan, Tracy McGrady,
Steve Nash, Manu Ginobili, Dirk Nowitzki, Deron Williams, Carmelo
Anthony, Carlos Boozer, Antawn Jamison, Paul Pierce, Rasheed Wallace.
Il buono: intendiamoci: ognuno dei "fantastici quattro" in vetta alla classifica ha giocato una stagione straordinaria, e se il premio più ambito fosse andato ad uno qualsiasi di loro non ci sarebbe stato niente da recriminare: l'ordine d'arrivo, però, sembra tutto sommato condivisibile.
LeBron è stellare, ma i suoi Cavs non hanno condotto un campionato di vertice, pur essendo in una conference (e una division) abbordabile; KG è stato il cuore e l'anima della miglior squadra NBA, ma ha trovato un valido supporto in due futuri hall of famers come Pierce e Allen.
Rimangono Kobe e CP3, e qui si poteva tranquillamente tirare una moneta: Kobe ha finalmente dimostrato, oltre al talento infinito, anche la pazienza per coinvolgere e migliorare i suoi compagni; Paul, per parte sua, ha giocato una stagione che, per un 22enne, ha pochissimi eguali nella storia del gioco.
Se amate più la sostanza che non le fredde cifre, guardate come dirige magistralmente la giovane e frizzante orchestra degli Hornets, come padroneggia ogni situazione alternando con naturalezza disarmante ritmi frenetici o gioco controllato, come si addice al nuovo profeta della patria del jazz; se invece siete appassionati di statistiche,date un'occhiata a questo e quest'altro articolo, che vi spiegheranno perché, da un punto di vista strettamente numerico, la stagione di CP3 è stata la migliore NELLA STORIA DELL'NBA per una guardia che non si chiami Micheal Jordan.
La vox populi ha premiato Kobe, con un margine notevole su CP3: il distacco (82 primi posti a 28) è indubbiamente eccessivo, ma il risultato finale è giusto, perché Kobe è stato comunque il miglior giocatore della migliore squadra (anche se per una sola W) nella conference più dura della lega (anzi, nella conference più dura di tutti i tempi).
Il giudizio su KB24 divide tifosi ed appassionati come nessun altro, il Mamba ha una classe che rende impossibile odiarlo ma un carattere ed un atteggiamento che rende altrettanto impossibile amarlo" ma prima o poi un MVP ad uno dei giocatori più talentuosi che abbiano mai calcato un parquet lo si doveva dare, e questa era un'occasione perfetta per farlo.
Il brutto: Gerald Wallace è realmente uno dei giocatori più sottovalutati della lega: nel suo mese peggiore ha tenuto una media-partita di 18.5 punti, 4.8 rimbalzi, 1.8 assist, 2.0 palle rubate e 0.8 stoppate, ma tra Dicembre e Gennaio (mese in cui è stato scelto come miglior giocatore ad Est) ha viaggiato rispettivamente a 22-7-5-2.5 e 1.1" il tutto giocando per oltre 40' minuti a partita, e per di più fuori ruolo, visto che Vincent si ostina a farlo giocare da ala forte in modo continuativo, e non solo come soluzione tattica estemporanea.
Cifre che avrebbero potuto tranquillamente garantirgli, senza scandalo alcuno, una convocazione per l'ASG.
L'apporto di "G-Force" o "Crash", come è conosciuto tra i tifosi dei 'Cats, va però ben oltre ai freddi numeri, è un giocatore che sa fare veramente tutto sui 28 metri: ha una combinazione di centimetri ed esplosività impressionante e quasi "LeBronesca", un talento atletico che ha pochi eguali anche nella lega con i migliori atleti del mondo; può battere chiunque in 1vs1 e attacca forte, fortissimo il canestro; ha ottime qualità di passatore, è un eccellente rimbalzista dinamico, può difendere tranquillamente contro i 4 come contro le guardie, ed è un terrificante stoppatore dal lato debole.
In più, ed è forse questa la caratteristica che lo distingue da altri super-talenti e lo fa amare incondizionatamente dai suoi tifosi, è disposto a sacrificare letteralmente la propria incolumità fisica per una palla vagante, un rimbalzo, un canestro in penetrazione (il nickname "crash" deriva proprio dal suo stile di gioco esasperatamente fisico e dalla durezza dei contatti che genera, sia in attacco che in difesa).
Difetti? Un jumper dalla dinamica rivedibile, che lo rende non sempre affidabile, e soprattutto" quello stesso stile di gioco "garibaldino" e temerario che fa impazzire i suoi tifosi, ma che lo costringe ad un'usura fisica al di fuori dell'ordinario (anche perché, come detto, il minutaggio è imponente, e i suoi avversari diretti alla posizione #4 sono costantemente più grossi e potenti di lui), che si riflette sulla sua curabilità (in carriera ha giocato meno del 70% delle partite a sua disposizione).
In questa stagione ha subito la quinta commozione cerebrale in soli 7 anni nella lega, un numero che sarebbe impressionante anche per un giocatore NFL, figuriamoci per un 'baller.
Ma se cercate un "MVP dei poveri", il più forte giocatore di cui non si
sente mai parlare, non andate oltre Gerald Jermaine Wallace.
Il cattivo: quale stella del firmamento NBA ha maggiormente deluso in questa stagione?
Di primo acchito verrebbe da pensare a Shaq o Jason Kidd, veteranissimi che hanno indotto le rispettive franchigie a stravolgere il proprio roster (e ipotecare il loro futuro) per portarsi a casa un campione stagionato che riequilibrasse i rapporti di forza dopo l'acquisizione di Gasol da parte dei Lakers, che ha dato una brutta scossa ai nervi di tutti i GM del ponente NBA: purtroppo per Mavs e Suns, questi azzardi non hanno portato alcun risultato, ed anzi hanno lasciato queste franchigie in una situazione peggiore di quella precedente.
In realtà , però, non si può parlare di vera e propria delusione per due giocatori “costretti” a calarsi in poche settimane in realtà non adatte alle loro caratteristiche tecniche (e fisiche), chiamati ad essere i salvatori di una patria che, verosimilmente, non poteva essere salvata da nessuno, e men che meno da campioni che hanno iniziato a pagare, già da alcuni anni, l'inevitabile pedaggio al tempo che passa.
Se proprio vogliamo identificare un giocatore che non ha mantenuto le promesse di grandezza, perché non parlare di Josh Howard? Solo un anno fa si era meritatamente guadagnato un posto all'All Star Game, per pochi voti non aveva strappato un posto nel terzo quintetto assoluto, ed era arrivato 19esimo nelle scelte del miglior giocatore difensivo; sembrava lanciato verso la consacrazione a stella del firmamento NBA, spalla ideale con la sua energia e la sua esuberanza alla tecnica sopraffina del tedescone biondo, un duo pronto a dare l'assalto al titolo e vendicare l'affronto subito da Don Nelson.
Qualcosa, invece, non è andato nel verso giusto: dopo essere partito forte, con 20+7 di media e il 50% tondo dal campo, le sue cifre (e le sue prestazioni) sono andate costantemente in calando, fino alle disarmanti esibizioni nei playoffs (12 punti, 29% dal campo, 10% da tre, più palle perse che assist).
Il tutto condito dalla candida quanto ingenua ammissione di essere un abituale consumatore (anche se, bontà sua, soltanto in offseason) delle "foglie a sette punte con un buon odore", come cantavano i punkreas: dichiarazioni che ovviamente hanno messo in allarme i Mavs e che comunque, a prescindere da qualsiasi moralismo, non appaiono particolarmente ben consigliate in una lega guidata con pugno di ferro in guanto d'acciaio da David "la legge sono io" Stern.
Non c'è da stupirsi, quindi, che inizino a circolare voci riguardo ad un
suo addio ai Mavs, assolutamente impensabile dodici mesi fa: forse addirittura in uno scambio con Jermaine O'Neal, un altro giocatore che starebbe benissimo in questa classifica delle star più deludenti, dopo la sua peggior stagione da quando lucidava la panchina con le terga alla corte di Rasheed Wallace e dei "JailBlazers".
PRIMO QUINTETTO NBA
(127 votanti, ognuno sceglie un primo (5 punti) un secondo (3) ed un terzo (1) quintetto ideale)
Chris Paul (629 punti, 124 voti nel primo quintetto)
Kobe Bryant (635 – 127)
LeBron James (610 – 117)
Kevin Garnett (612 – 118)
Dwight Howard (546 – 86)
Secondo quintetto: Tim Duncan – Dirk Nowitzki – Amare Stoudemire – Steve Nash – Deron Williams.
Terzo Quintetto: Carlos Boozer – Paul Pierce – Yao Ming – Tracy McGrady – Manu Ginobili
Altri giocatori votati
Allen Iverson, Carmelo Anthony, Marcus Camby, Chauncey Billups, Baron Davis, David West, Rasheed Wallace, Tyson Chandler, Antawn Jamison, Al Jefferson, Chris Bosh, Joe Johnson, Andre Miller, Caron Butler, Shaquille O'Neal, Pau Gasol, Kevin Martin, Ray Allen, Hedo Turkoglu, Jason Kidd, Josh Howard, Richard Hamilton, Andre Iguodala, Brandon Roy, Michael Redd, Tayshaun Prince, Tony Parker
Il buono: sul primo quintetto non c'è molto da discutere: plebiscito per Kobe e percentuali bulgare anche per KG, CP3 e King James, oltre ad un meritato riconoscimento per Superman Howard (anche se Tim Duncan rimane un trattato di pallacanestro e l'ultimo giocatore che vorresti avere come avversario in una serie di playoffs, ma questi sono premi relativi alla regular season): tutto molto bello, tutto molto giusti: nel secondo quintetto, Nash e Deron Williams affiancati nel backcourt rappresentano un ideale passaggio di testimone.
L'unico nome discutibile sembra essere BelzeBoozer, forse Andre Miller, il rinato (casualmente in occasione di un contract year) Jamison o Hedo Turkoglu avrebbero meritato di più, ma qui contano anche le simpatie personali.
Il brutto: un "quintetto ombra" di giocatori che hanno avuto una grandissima stagione senza però attirare l'attenzione di pubblico e critica? Beh, che ve ne pare di un quintetto con Rafer Alston, Kevin "da real K-Mart" Martin, Danny Granger, Gerald Wallace (da 4, visto che ha passato in questa posizione la maggior parte dei suoi minuti) e dulcis in fundo l'idolo assoluto "Caimano" Kaman?
Il cattivo: sarebbe troppo facile fare dell'ironia ed indicare in massa lo starting five dei Knicks come quintetto più deludente della stagione.
Se andiamo però a confrontare il rendimento effettivo con quello che ci si attendeva quando la stagione è iniziata, i quattro nomi già menzionati individualmente tra le delusioni dell'anno formano i 4/5 di un'ipotetica "all star" tra i giocatori che si sono attirati le ire dei propri tifosi e lo scherno di quelli avversari: Kidd, Josh Howard e i due O'Neal, Shaq e Jermaine.
Per completare il quintetto, scegliete voi tra Kirk Hinrich e Luol Deng, i due giocatori più rappresentativi dei Bulls, e quindi, giocoforza, i due principali responsabili della clamorosa involuzione di una squadra che sembrava destinata a spaccare il mondo.
GIOCATORE DIFENSIVO DELL'ANNO: Kevin Garnett
(125 votanti, tre preferenze per ciascuno a cui attribuire 5-3-1 punti)
1 Kevin Garnett (493 - 90)
2 Marcus Camby (178 - 12)
3 Shane Battier (175 - 11)
Altri giocatori votati: Bruce Bowen Kobe Bryant Josh Smith Dwight Howard Chris Paul Tim Duncan Tayshaun Prince Tyson Chandler Rasheed Wallace Raja Bell Samuel Dalembert Richard Hamilton Ron Artest Chauncey Billups Andrei Kirilenko Kyle Lowry Rajon Rondo
Il buono: è in assoluto la categoria che suscita le maggiori perplessità tra gli addetti ai lavori, visto che tende a premiare più il "nome" e la fama del giocatore, piuttosto che il tempo che effettivamente ha passato tenendo le ginocchia piegate e pensando più a non far segnare gli altri che a rimpinguare le proprie statistiche.
In questo caso, però, il verdetto non potrebbe essere più condivisibile: KG è stato la pietra angolare della miglior difesa della lega, facendo ricorso alla "scimmia" accumulata nei lunghi anni di eremitaggio tecnico nel Minnesota per alimentare in continuazione la propria rabbia agonistica ed il motore difensivo dei Celtics.
Implacabile sull'uomo, onnipresente nella specialità della casa, l'aiuto e recupero eseguito a tale velocità e con tale scelta di tempo da dare l'impressione che stia difendendo su due avversari contemporaneamente, ed annullandoli entrambi; per non parlare della caterva di rimbalzi difensivi tirati giù rischiando di sgonfiare il pallone, oppure strappati ad un avversario meglio posizionato saltando due-tre volte in pochi secondi.
Certo, nella metà campo offensiva continua a non attaccare il ferro con la continuità che il suo talento tecnico e fisico imporrebbe, ma quando un avversario entra a casa sua, non c'è niente di più spaventoso nella lega del faraone nero con gli occhi spiritati ed il #5 sul petto.
Il brutto: una delle espressioni comunemente utilizzate negli Usa per definire un giocatore che sta rendendo bene ma è poco conosciuto ai più è "flying under the radar": beh, un giocatore che non compare esattamente nei radar di tutti gli appassionati dell'NBA, ma che vola letteralmente nelle aree NBA è Sean Williams, rookie dei New Jersey Nets: "le freak elastique", riprendendo l'elegante soprannome coniato per lui da Lawrence Frank, si è rivelato un vero e proprio furto del draft alla posizione #17 (alla quale era scivolato, in realtà , più per dubbi caratteriali che al suo potenziale): è secondo solo a Camby nella "blocks percentage", statistica per intenditori che misura la percentuale di tiri avversari rispediti al mittente da un deteriminato giocatore nel periodo passato sul parquet.
Oltre a questa straordinaria efficacia nelle controllate d'invito, ed una notevole presenza a rimbalzo difensivo, le sue prime 73 partite nella lega (di cui 29 da titolare) hanno però mostrato anche la voglia di sbucciarsi le ginocchia e di fare le giocate "nella spazzatura", alla Garbajosa tanto per intenderci, e una discreta padronanza dei concetti di difesa di squadra, di aiuto, di cambio difensivo: caratteristiche sorprendenti per uno che al draft era stato etichettato come grande atleta ma senza la minima comprensione del gioco e dal carattere indolente.
Insomma, la strada è ancora lunga, ma i Nets potrebbero aver trovato un nuovo Ratliff (peraltro più educato nella metà campo offensiva).
Parlando di grandi specialisti difensivi, è impossibile non menzionare anche un esterno dei Rockets entrato nella lega dopo 4 anni passati da protagonista e leader di una "power house" collegiale, considerato un tweener, non abbastanza atletico e troppo limitato offensivamente per farsi largo tra i pro, e che si è affermato come "stopper" difensivo senza eguali, che si butta su ogni palla vagante ed è amatissimo dai compagni e dai tifosi (è un idolo delle folle soprattutto in Cina, dove le sue magliette vanno letteralmente a ruba, e le sue scarpe sono appunto firmate da una compagnia cinese).
Voi direte. "Facile dai" è Shane Battier?"
No, è Chuck Hayes.
Eh si, perché questo giocatore che i Rockets hanno raccattato tre stagioni fa quasi per caso, offrendogli uno di quei decadali che non si negano veramente a nessuno, è probabilmente il miglior difensore della lega sugli esterni, senza ricevere nemmeno un decimo della considerazione (peraltro meritata) attribuita al ben più noto compagno ex-Dookie.
Offensivamente il suo contributo si riduce essenzialmente a fare il bloccante, e la sua meccanica di tiro libero è nettamente la peggiore della lega (è stata paragonata al gesto di chi tenta di togliersi una maglietta troppo stretta): ma se volete un difensore tecnicamente perfetto, pulito, efficace, tenetelo d'occhio quando si mette all'opera nella sua metà campo.
Il cattivo: lo sport professionistico è un mondo in continua evoluzione, un universo in cui si può passare dagli altari alla polvere in men che non si dica.
Prendete l'NBA: un giorno sei globalmente riconosciuto come il miglior difensore della lega, puoi vantare numerosi titoli di MVP difensivo negli ultimi anni, nel mercato dei FA riesci a strappare un lucrosissimo contratto con parecchi zeri con una squadra giovane e talentuosa.
Un anno dopo la situazione è ben diversa: dopo aver litigato con allenatore, compagni e tifosi, dopo mezza stagione incolore e clamorosamente deludente dal punto di vista dei risultati, la tua squadra ti ha sbolognato senza troppi complimenti con l'unico scopo di liberarsi del tuo ingaggio: i tuoi nuovi datori di lavoro sperano di poter ancora fare affidamento sulla tua energia e la tua esperienza, ma la realtà è che ormai non fai più paura a nessuno, e le tue cifre difensive sono crollate su livelli che non ti competevano più dal lontano 2000.
Caro Big Ben, benvenuto sul viale del tramonto.
PRIMO QUINTETTO DIFENSIVO:
(I 30 allenatori NBA scelgono primo e secondo quintetto; il massimo punteggio è 58)
Kevin Garnett (Bos) 52 punti
Kobe Bryant (LAL) 52
Marcus Camby (Den) 37
Tim Duncan (SA) 33
Bruce Bowen (SA) 36
Secondo quintetto: Shane Battier – Chris Paul – Dwight Howard – Tayshaun Prince - Raja Bell.
Altri giocatori votati:
Chauncey Billups, Jason Kidd, Rasheed Wallace, Rajon Rondo, Ron Artest, Tyson Chandler, Josh Smith, Deron Williams, Andrei Kirilenko, Derek Fisher, Manu Ginobili, LeBron James, Samuel Dalembert, Kirk Hinrich, Andre Iguodala, Paul Pierce, Brandon Roy, Ronnie Brewer, Chris Bosh, Caron Butler, Baron Davis, Richard Hamilton, Josh Howard, Andre Miller, Dikembe Mutombo, Andrei Nocioni
Il buono: la scelta del miglior quintetto difensivo, ancor più di quella del miglior giocatore singolo, è quantomai opinabile: se Garnett e Camby sono intoccabili al vertice dei lunghi difensivi della lega, i voti a Duncan, Kobe e Bowen sono premi "alla carriera" più che riconoscimenti effettivi, visto che i primi due non si sono particolarmente "sbattuti" in regular season (anche se, obiettivamente, in una gara7 di playoffs difficilmente si troverà qualcuno che difenda meglio di loro), mentre Bowen ha perso un passo e forse anche qualcosina in più.
Forse avrebbero meritato più considerazione Battier, Deron Williams e Tyson Chandler, meritevoli del primo quintetto, mentre lascia sinceramente allibiti il fatto che una presenza dominante sotto il proprio tabellone come Emeka Okafor non abbia ricevuto nemmeno uno straccio di voto.
Il brutto: dopo aver presentato un "quintetto ombra" offensivo, andiamo a vedere il miglior quintetto difensivo tra i "peones" della lega.
Con la palla in mano è un bel duello tra i giovani Rondo e Lowry, entrambi lanciati verso luminose carriere; la bilancia pende, ancorché in modo lievissimo, in favore del secondo, per il fatto che è molto più difficile mettere in risalto le proprie qualità difensive all'interno di un contesto tattico in cui la difesa di squadra è pressoché sconosciuta, piuttosto che in un sistema difensivo, come quello di Thibodeau, che gira con la precisione dello Jaeger-LeCoultre che Kobe ha regalato ai compagni in occasione della nomina ad MVP.
La stessa motivazione supporta la nomination di John Salmons dei Kings come guardia, mentre gli spot di ala piccola e ala grande sono riservati ad Hayes e Williams, di cui abbiamo già parlato diffusamente.
Rimane il ruolo di centro, e la palma va ad Andray Blatche di Washington, anche se con una dovuta menzione d'onore per l'ex primissima scelta Bogut, che ha mostrato notevolissimi miglioramenti nella propria metà campo.
Il cattivo: per un quintetto deludente dal punto di vista difensivo non sarebbe necessario, di nuovo, andare più in là del Madison Square Garden, ma anche in questo caso non sembra bello sparare sulla croce rossa; e allora andiamo con Hinrich in punta, Dwayne Wade da 2, un reparto di ali composto da due ex MVP difensivi come Ben Wallace e Ron Artest, più che mai ostaggio delle sue tare caratteriali, e nella posizione di centro Brad Miller: anche lui, come Big Ben, ex difensore arcigno ormai costretto a pagare un pedaggio salatissimo al tempo che avanza.