NBA Focus – Center

Il recordman di punti della storia della Lega è un centro, Kareem Abdul-Jabbar

La prima superstar Nba George Mikan.
La dinastia biancoverde di Russell.
I duelli con i grandi Lakers di Chamberlain prima e Jabbar poi.
Il back to back di Hakeem e dei suoi Rockets.
Il threepeat di Shaq.

Nel pianeta del basket a stelle e strisce, ogni grande era, di breve o lunga durata, può essere ricondotta ad un grande uomo. Grande nel senso fisico del termine. Imponente.

Non è nostra intenzione imporre il centro dominante come caratteristica imprescindibile per portare un team al titolo, ma concedeteci di dire che le probabilità , in sua presenza, aumentano non di poco. E' la storia a dircelo.

Il motivo di un'associazione così rischiosa può essere nello stesso tempo semplice e molto complesso. Richiede, soprattutto, un'attenta analisi della storia di questo ruolo e delle sue caratteristiche.

La struttura fisica del centro è caratterizzata innanzitutto da una statura considerevole, convenzionalmente dai 208 centimetri in su, attorno alla quale va costruita una massa corporea potente ed esplosiva. Nel corso delle stagioni i vari Manute Bol e Oliver Miller hanno provato a porre delle deroghe a tali caratteristiche fisiche, ottenendo come risposta ripetuti infortuni e carriere dimenticabili.

Più di ogni altro ruolo, infatti, il centro necessita di risiedere all'interno di suddetti parametri per svolgere i compiti a lui affidati: intimidire la zona pitturata difensiva, mettere punti in carniere in quella offensiva e raccogliere ogni rimbalzo commestibile.

Specialisti dediti solo all'una o all'altra mansione non sono mancati, con carriere talvolta più che rispettabili, ma è quando ci troviamo di fronte ad un centro completo che si spendono parole quali dominante o fattore decisivo.

Le origini del ruolo vanno ricercate ai primordi della lega professionistica, quando il denaro non la faceva da padrone e le vere star si contavano sulle dita di una mano. Una di queste si chiamava George Lawrence Mikan.

La pietra sulla quale è stata costruita l'attuale macchina milionaria del basket, colui che nei primi anni di vita della lega l'ha resa credibile e popolare. Il primo centro dominante della storia. Mikan ha portato sulle sue spalle la National Basketball Association quando i tempi erano duri, e ha reso i Minneapolis Lakers una squadra imbattibile in virtù della sua altezza, imparagonabile con gli altri giocatori dell'epoca.

Obbiettivamente infatti, la grandezza di Mikan va attribuita in minima parte anche alla povertà  di talento della Nba nei suoi primi anni di vita. Lui stesso aveva iniziato a maneggiare l'arancia ed il cesto solo a DePaul University, spinto dal coach Ray Meyer che ne intuiva le enormi potenzialità .

L'impatto con il professionismo fu devastante. Dal punto di vista dei successi personali, con due titoli Nbl vinti in due anni, seguiti dal trasferimento in Nba e dai relativi cinque trofei alzati in sei campionati, e dal punto di vista del gioco stesso: Mikan fu infatti involontario responsabile di alcune modifiche portate al regolamento, quali il limite dei 24 secondi per le azioni di attacco, l'allargamento alle attuali dimensioni dell'area dei 3 secondi o l'interferenza sui tiri in parabola discendente. Modifiche mirate a limitarne il dominio sugli avversari nelle immediate vicinanze del canestro.

Al termine della stagione 1954 Mikan si ritirò, dopo aver tracciato la via che i più grandi del mondo avrebbero seguito sino ai giorni nostri. Shaquille O'Neal in persona ne ha sintetizzato l'importanza: “Senza il numero 99, io non sarei mai stato qui”.

La scintilla scoccata con Mikan, divampò nel giro di una decade scarsa. Negli anni 1956 e 1959 fecero il loro ingresso nella lega professionistica William Felton Russell e Wilton Norman Chamberlain. Mr. undici anelli per dieci dita e Mr. cento punti.

Talento, dedizione e prestanza fisica non si erano mai presentate su un parquet sotto tali forme. Russell e Chamberlain entrarono nella lega da mostri, e la dominarono in lungo e in largo mettendo in scena duelli epici sui palcoscenci più prestigiosi. Per anni.

Nessuno dei due portò variazioni ai principi del ruolo, o al suo gioco caratteristico. Si limitarono semplicemente ad interpretarlo al massimo in ogni suo aspetto. La difesa nei pressi del canestro, i rimbalzi, il gioco in post basso. Eccellevano in ogni frangente, arrivando addirittura ad oscurare, parzialmente, la carriera di quel Nate Thurmond che si piazzava alle loro spalle in quanto a dominio sotto canestro, e non di molto.

Russell, in particolare, era dotato di capacità  difensive straordinarie, dettaglio che lo rendeva più adatto all'inserimento in un team e nella sua chimica. I successi ottenuti lo testimoniano. Chamberlain, d'altro canto, possedeva un talento innato per la realizzazione, che, unito ad una struttura fisica addirittura più possente di Russell, lo rendeva semplicemente immarcabile nella metà  campo offensiva.

La sera del 2 Marzo del 1962, Wilt fece la storia. Di ritorno da una notte di bagordi, secondo leggenda, e opposto ai centri di riserva dei New York Knicks, l'allora centro titolare dei Philadelphia Warriors mise a referto 100 punti. Curiosamente, non esiste alcun riflesso visivo della partita, che fu trasmessa solo via radio, eccezion fatta per la celebre foto di Chamberlain, seduto in spogliatoio, mentre stringe un pezzo di carta recante scritto il numero “100”.

L'anno del ritiro di Russell, quando Wilt the Stilt era già  oltre i 30 e combatteva più con gli infortuni che con gli avversari, i Milwaukee Bucks selezionarono al draft Ferdinand Lewis Alcindor. The player lately known as Kareem Abdul Jabbar.

L'impatto dei suoi due illustri predecessori sulla lega, aveva caricato di responsabilità  il ruolo di centro, sul quale i coach puntavano moltissimo per spostare gli equilibri dell'Nba. Fu così che nel corso degli anni '70 ed '80 una folta schiera di spilungoni, apparentemente dominanti, si mise in luce nella Nba. A Jabbar si aggiunsero i vari Walton e Eaton, specialisti della stoppata; Reed, eroico protagonista del titolo del 1970 di New York; Malone, Unseld e Parish, ciascuno dei quali si ritagliò un anno o più per portare a casa il Larry O'Brien Trophy. Jabbar, però, fu tra tutti quello che più si avvicinò allo status di dominante.

Forte di compagni di squadra come Magic Johnson e Michael Cooper, entrò nella storia come tassello fondamentale dello showtime losangelino dei primi anni '80. Il suo skyhook era un tiro letteralmente indifendibile, in virtù dei suoi 218 centimetri, i quali, oltretutto, ressero la bellezza di venti stagioni Nba, frutto di una cultura del lavoro e della salute più unica che rara.

L'ultima infornata di grandi cinque, arrivò nella Nba nel corso degli anni '90. La cura dei dettagli fisici e tecnici aumentava di stagione in stagione, così come l'attenzione che il mondo della pallacanestro mondiale dedicava al campionato statunitense.

Hakeem Olajuwon, Patrick Ewing e David Robinson iniziarono ad aggiungere velocità  e versatilità  al loro ruolo: il raggio di tiro si allargò, ed il gioco fronte a canestro divenne una dote non rarissima per un centro di primo livello.

Il primo, più degli altri, mise in mostra una serie di finte e di movenze viste di rado al di sopra dei due metri e dieci, e fu lo stesso Robinson a farne le spese, in una finale di conference epica, dove il dream shake fece ballare l'intero Alamodome di San Antonio.

Dall'altro lato della medaglia, quello conservatore, si guadagnarono i gradi anche alcuni specialisti come Dikembe Mutombo e Alonzo Mourning, sei titoli di difensore dell'anno in due, le cui squadre facevano dell'intimidazione sotto canestro il loro cardine. .

Shaquille O'Neal, prima scelta assoluta nel 1992, è attualmente l'ultimo esemplare di centro classico, di un certo livello, rimasto nella Nba. Il suo gioco tutto muscoli e peso, è un gronchi rosa nella Nba del terzo millennio, dove i centri più quotati vengono descritti con mani morbide dalla media distanza e ottime doti di passatore.

La notevole statura non è più una prerogativa di chi gioca cinque. Ali piccole di 210 centimetri, versatili ed in grado di coprire almeno tre ruoli, non sono più una rarità . Al tempo stesso, giocatori con stature da power forward, ma con uno stile di gioco da centro old school, limitato negli spazi e nei movimenti, si vedono in più di qualche squadra. Ben Wallace, centro di 206 centimetri, campione Nba nel 2004 con i Detroit Pistons, ne è la prova tangibile.

In conclusione, il ruolo sta subendo un'evoluzione, drastica e radicata nei suoi principi. Un'estinzione per certi versi. Le doti fondamentali richieste ad un cinque sono cambiate, e richiedono una struttura fisica piuttosto differente e una notevole attitudine alla corsa ed all'atletismo.

Greg Oden dovrà  attendere un anno prima di saperci dire se il ruolo più affascinante e maestoso del basket, così come lo abbiamo conosciuto, ha un futuro. I suoi antenati, da the Stilt a the Admiral, da Mikan ad O'Neal, intanto, pregano perchè sia così.

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