Andris Biedrins, ieri sera, ha vinto lo scontro diretto con Tim Duncan !
San Francisco è una di quelle città che ricordi per tutta la vita, se ci sei stato anche per una semplice visita di qualche giorno.
Oppure, se ci vivi o ci hai vissuto, la sua curiosa planimetria, con i famosi saliscendi, con gli autobus a rotaia di vecchissima data, con lo stridente contrasto tra il passato che non si rassegna a lasciare il passo ed il futuro che incede inesorabile, non possono non averti stregato.
Se invece la tua conoscenza della zona è frutto soltanto di qualche foto o filmato, di un dvd o di una navigata su Internet, non ti resta che sperare, un giorno, di potervi andare di persona.
Dicono che non ci sia nulla di meglio di un Natale trascorso a New York, ma di certo non c'è niente che superi un'estate sulla West Coast degli Stati Uniti, in particolare in questi paraggi, dove la notte è sempre giovane e spumeggiante e dove le giornate scorrono lente e il sole pare stringervi delicatamente nel suo caldo, confortevole abbraccio.
Sensazioni fantastiche, irripetibili, una carica ed un entusiasmo che pervadono anche chi, trasferitosi con qualsiasi mezzo da San Francisco nella la vicina Oakland, entra in una ancor calda serata di primo inverno nell'Arena che ospita le partite interne dei Golden State Warriors.
Forse sarà l'aria, forse il gioco spettacolare, sta di fatto che questa nuova versione degli Warriors targata Don Nelson, sembra fatta apposta per riscaldare l'animo ed accendere l'entusiasmo di chiunque non abbia subito una escissione chirurgica del lobo limbico, che nel nostro cervello presiede alla emotività .
Nelson torna a Oakland dopo 20 anni trascorsi in giro per l'America, di cui gli ultimi otto nella non felice né tantomeno facile avventura in quel di Dallas, dove ha dovuto costantemente guardarsi le spalle dalle critiche di un proprietario esuberante come il magnate Mark Cuban.
Cuban pretendeva da lui, forse non del tutto a torto, una gestione della squadra meno “soft” e più professionale, col risultato che il coach, dopo alcune stagioni vincenti in regular season ma sistematicamente perdenti nei playoffs, ad onta di un roster di prim'ordine, ha preferito dimettersi.
Ciò ha permesso ad Avery Johnson, il suo giovane e fedele (chissà …) delfino, di conquistare al primo assalto la finale NBA, salvo farsi letteralmente scippare dalle mani il titolo in una scriteriata gara 3, in cui Dallas non è mai riuscita a inchiodare il coperchio della bara sulla testa di Shaq e soci, che se avessero trovato sulla loro strada una Squadra ed un Allenatore veri, a Miami il titolo NBA lo starebbero ancora sognando ad occhi aperti, Wade o non Wade.
Ma si sa che Nelson, ormai sessantaseienne, è un personaggio a tutto tondo ed è a pieno diritto uno di quei santoni che hanno fatto la storia della pallacanestro negli States, inventando e standardizzando un nuovo modo di giocare a pallacanestro, cioè il “Run and Gun” (corri e spara).
Dopo Coach Lenny Wilkens, Don Nelson detiene il secondo miglior record per partite vinte, con 1190 successi, a fronte di 880 sconfitte, corrispondenti al 57,5% di vittorie.
Va però detto che in nessuna delle tante incarnazioni che hanno visto Nelson allenare per mezza America, è stato mai prodotta una vittoria importante come la conquista dell'Anello, e pure le partecipazioni alle fasi finali dei playoffs non sono tantissime e quasi mai vincenti.
Il motivo è forse da ricercarsi nell'uomo e nella sua filosofia di gioco.
Don Nelson, che da giovane faceva l'All Star negli onnivincenti Boston Celtics di Red Auerbach, è un distinto signore di alta statura, molto alla mano, ma molto poco propenso alla fatica di lunghe ed estenuanti sedute di allenamento o di video-scouting, che preferisce demandare quasi in toto agli assistenti : meglio un giro in barca o un gustoso long-drink, sorbito magari comodamente sdraiato al sole.
Ora vi domando : ma secondo voi, poteva mai uno così concepire una pallacanestro speculativa, fortemente influenzata da un credo difensivo collettivo, basata sulla fatica di interminabili allenamenti e volta a far segnare un punto meno di quelli realizzati, per conquistare la vittoria a prezzo di qualsiasi sacrificio?
Mai !!!
Come pretendere che gli eschimesi comprino freezers e condizionatori…
Impossibile !
Ed infatti la pallacanestro di Nelson, e conseguentemente quella degli Warriors di quest'anno, è molto diversa e si basa su poche e semplici regole, che ora vado a ricapitolare brevemente :
Intanto è fondamentale segnare un punto in più rispetto agli avversari.
Avete mai visto una squadra allenata da Nelson vincere segnando meno di 70 punti? No vero? Neppure io. Infatti Golden State sta tenendo una media di 85 punti circa segnati nelle sconfitte e circa 110 nelle vittorie.
Poi, la difesa ha per Nelson un preciso significato : essere cioè uno scomodo intermezzo tra un attacco e quello successivo.
C'è da dire che questo è il capo di imputazione che a Dallas gli è costato la panchina. Loro volevano vincere nei playoffs, dove difendere è d'obbligo per ottenere successo, e non si accontentavano più di vincere solo nella regular, in cui notoriamente l'intensità difensiva è più o meno pari ad uno sguardo cattivo e nulla più.
Venendo meno la necessità di difendere alla morte, viene anche meno tutto un bagaglio psicologico molto tradizionale qui in America, specie in ambiente militare ; quello legato all'idea di squadra, all'altruismo, a concetti come la compattezza di fronte alla difficoltà e via dicendo.
Questo semplifica notevolmente le cose nella pallacanestro professionistica d'oggi e rende attuale una gestione tipo quella di Nelson, in una NBA dove l'individualismo regna spesso sovrano, e non a caso un coach che pensa soprattutto a far divertire il pubblico e i giocatori, gode di considerazione maggiore rispetto a quelli che desiderano anche (ma che pretese !!!…) che i giocatori lavorino duro e…difendano.
Non a caso, Nelson è un allenatore molto amato dai giocatori, benché non sia un players' coach per definizione.
Ultimo caposaldo di quello che potremmo chiamare "Teorema di Nelson" , e decisamente degno di considerazione è il concetto per cui una pallacanestro spettacolare, offensivamente parlando si costruisce sulla base della corsa, dei tiri facili presi durante la transizione, della manovra estremamente snella, in cui tutto si basa sulla qualità degli interpreti più che del gioco stesso.
La squadra in questione è molto spesso "undersized" rispetto alle altre e questo perfettamente in linea con la tendenza attuale che vede prevalere squadre (Phoenix e Seattle su tutte) formate da 4 esterni più o meno puri e un unico interno molto dinamico, capace di correre agilmente in contropiede e tirare da fuori, allo scopo di fare bottino.
Amante dello spettacolo ed esteta del gioco, hanno giocato per Don Nelson atleti di valore assoluto : basti pensare che nella sua precedente incarnazione ad Oakland, giocava per lui il famoso "Run TMC", ossia la premiata ditta Hardaway, Richmond e Mullin.
E che ora, sempre a Golden State, alla corte dell'ineffabile coach, fresco reduce da stagioni con Nash e Nowitzky, è presente nientepopodimenochè il Barone, che finalmente sanato nei suoi molteplici acciacchi, sta regalando ai tifosi della Baia un inizio di stagione con cifre di tutto rispetto(20 punti ed 8 assist ad allacciatura di scarpe), in un basket che sembra fatto apposta per esaltare le sue qualità .
Al di là dell'ironia che ha finora accompagnato la mia descrizione del suo Teorema, va detto che Nelson è anche uno scopritore di talenti davvero notevole se ce n'è uno e soprattutto è stato sempre in grado di migliorare sensibilmente i giocatori che aveva nel roster delle varie squadre che ha allenato ed altresì va detto che nella sua carriera questo santone ha allenato anche tanti, tantissimi giocatori sottovalutati a cui lui ha saputo dare un ruolo e soprattutto una credibilità nell'ambito professionistico.
E così ecco che uomini come Monta Ellis o Mickael Pietrus, da “signori Nessuno” si ritrovano in questo inizio di stagione a segnare 18,1 e 15,3 punti a partita rispettivamente, mentre la squadra può contare su sei uomini in doppia cifra di media ed altri due (Ike Diogu ed il giovane centro Biedrins) alle soglie della doppia, per un bilancio totale che dice 9 vinte e 6 perse in queste prime quindici gare, decisamente una inversione di tendenza rispetto al passato, se i ragazzi sapranno continuare di questo passo.
Tra l'altro, gli Warriors hanno mostrato in questa stagione la capacità di andare a rimbalzo con convinzione e così se non c'è nessun giocatore che abbia la doppia di media nei rimbalzi, è pur vero che tutti i primi 8 giocatori per minuti giocati, si aggirano tra i 4 e i 9 rimbalzi a partita, indipendentemente dal ruolo, e questo significa poter poi innescare un contropiede efficace e il gioco in transizione tanto caro al coach.
Insomma, benché il bilancio sia decisamente positivo in questo inizio di stagione, la squadra sembra relativamente sbilanciata nei ruoli piccoli e non pare attrezzata per recitare da protagonista nei playoffs, però visto che le ultime due annate sono state perdenti, non sarebbe male già accedervi al primo anno di gestione, tenendo anche conto che lo scorso anno questo traguardo è sfumato dopo un inizio ancora migliore di questo.
Però l'entusiasmo della gente, il fatto che il divertimento dei giocatori sia ai primi posti nell'elenco di priorità del coach, la considerazione che si tratta di una squadra giovane ma non totalmente inesperta e soprattutto la presenza di giocatori che sappiano prendersi un tiro importante in qualsiasi frangente e segnarlo (Baron Davis in testa), lascia ben sperare che la squadra sappia acquisire continuità ed arrivi in fondo per una conclusione vincente, che non spenga ancora una volta l'urlo di vittoria dei Guerrieri in quell'angolo di paradiso della California del Nord.