Il rinnovamento dei Bucks

Michael Redd è il go-to-guy dei Cerbiatti, una gioia per gli occhi…

Se vale la regola non scritta per cui nello stesso stato o nella stessa città  si parteggia trasversalmente per tutte le squadre locali di tutti gli sport, i tifosi dei Milwaukee Bucks sono più o meno gli stessi che si presentano orgogliosi alle partite dei Green Bay Packers con il fettone di formaggio sulla testa, ovvero i “cheeseheads”. Strani soggetti, i tifosi nel Wisconsin.

Se è dunque lecito avere qualche dubbio sul simpatizzante USA dei Bucks ma tutto sommato questo si dipana valutando la naturale propensione verso la squadra “di casa”, senz'altro più sospetto è il modo in cui un italiano si avvicina a tifare i cerbiatti di Milwaukee, cosa che lo rende eroico e simpatico a pelle per la fantasia e l'originalità  della scelta.

Nessuna dinastia nel passato, nessun campionissimo stabile negli ultimi anni, città  fredda e poco suggestiva, franchigia storica e quindi non in grado di attirare le simpatie dei più giovani, poche vittorie recenti ma nemmeno un così elevato numero di sconfitte tale da far passare i Bucks come gli zimbelli della lega e quindi da sostenere nella speranza di raggiungere per la prima volta i vertici. Vertici appunto già  raggiunti con il titolo del 1971 e grazie alla versione non islamica di Kareem Abdul-Jabbar, ovvero Lew Alcindor.

Insomma, di motivi per tifare una franchigia “di mezzo” come Milwaukee, oltre ovviamente ai più variegati casi personali, ce ne sono pochi. Eppure la sensazione è che qualcosa stia cambiando, specie per la presenza di qualche stuzzicante ex protagonista del campionato italiano in grado di spostare interesse oltreoceano e di due giocatori destinati a porre le premesse per una regolare frequentazione ai playoff, magari con maggiore credibilità  della scorsa primavera.

Il primo violino…

Tra le 30 stelle delle 30 squadre NBA, qui abbiamo a che fare con quella meno pubblicizzata, quella scelta più in basso al draft e forse anche con una delle meno complete e delle meno dotate di talento puro; proprio per queste ragioni, però, unite alla sua sublime capacità  di costruirsi una carriera NBA di così alto livello migliorando di anno in anno il suo gioco con persino sprazzi di buona difesa lo scorso anno, Michael Redd è al tempo stesso uno dei più amati, dei più efficaci e dei più apprezzati nell'ambiente, specie se per ambiente parliamo del Wisconsin. Apprezzamento non esclusivamente sentimentale, visto che gli è valso un recente rinnovo contrattuale che porterà  nelle sue tasche $18.3 milioni nel 2011. Decriptando il concetto, è lui l'uomo franchigia designato.

…il secondo violino…

Potrebbe non essere d'accordo su quest'ultima affermazione la prima scelta assoluta 2005, Andrew Bogut, ma qui rischia di aprirsi un delicato argomento che porterebbe a galla le perplessità  che la sua stagione da rookie ha suscitato. Non credo di essere il solo, infatti, ad avere dubbi sulle possibilità  di Bogut di diventare un top-10 NBA ed il trascinatore della propria squadra al titolo; sono però tra i tanti pronti a scommettere sullo stabilizzarsi dell'ex Utah su cifre intorno ai 15 punti e 10 rimbalzi, il che rischia di collocarlo in quella vasta categoria di prime scelte assolute che, pur onorando al meglio la propria carriera NBA con cifre e qualità  in crescita, non hanno reso come quel tipo di investimento al draft avrebbe richiesto. Fare bilanci dopo la stagione da rookie sarebbe però assurdo, quindi è corretto stare alla finestra e sospendere il giudizio.

…ed il resto dell'orchestra

Ruolo centrale nel quintetto doveva essere rappresentato dal “Most Improved Player 2005”, Bobby Simmons, che dopo un inizio di carriera da sottovalutato si è visto premiato con un lungo e sostanzioso contratto che registrerà  più di $10 milioni nel 2010. Forse per questa mutata condizione psicologica in lui e negli occhi di chi lo osserva giocare, ci si può già  avventurare nel considerare sottotono se non addirittura deludente la stagione dell'ex Clippers e quindi eccessiva l'entità  di quel contratto.

Capitanata alla grande da quella rivelazione dominante di Maurice Williams, la panchina aveva sì in Kukoc e Joe Smith minuti d'esperienza e qualità , ma forse qualcuno in meno del previsto per il mediocre Welsch (di cui mi sfuggono i motivi del suo approdo così sbandierato nell'NBA), per l'interessantissimo Charlie Bell (ex Treviso, Virtus Bologna e Livorno, backup nel reparto guardie con controllo in crescita in attacco, temibilissimo tiro da tre e solida difesa) e per lo svalutato Dan Gadzuric, che nella stagione 2004/2005 era stato invece grande protagonista e si era meritato un contratto pluriennale a circa $6 milioni l'anno.

Questi ultimi due in particolare non sembrano essere entrati esattamente nelle grazie di coach Terry Stotts, che dopo gli sberleffi subiti ad Atlanta comincia a prendersi qualche timida rivincita con una partecipazione ai playoff non così scontata ad inizio stagione. Da registrare però, tra i difetti dei Bucks nella sua versione, una difesa precaria specie in situazioni di pick and roll (ma per la fredda cronaca mancavano veri specialisti nel ruolo) ed un attacco a lunghi tratti troppo dipendente da Redd e che rischia di battere in testa se l'ex Ohio State non è in giornata.

Wind of change

Resta il fatto che attorno a Redd e Bogut i Bucks avevano messo insieme un quintetto insolitamente coperto in tutti i 5 ruoli con il giusto mix di caratteristiche ed un roster forse non profondissimo ma senz'altro all'altezza e solo da far crescere con qualche assestamento. Puntualmente invece sono arrivati due scambi che hanno fatto venire meno l'asse play-centro del quintetto ed hanno quindi modificato alle fondamenta l'impianto della squadra così coerentemente edificato in precedenza.

Il calo di fine stagione, chiusa nonostante la qualificazione playoff nel deperito Est con record perdente (40-42), e le verità  emerse nel ko subìto in post-season da Detroit (1-4), sono a dire il vero due valide chiavi di lettura per giustificare questo interventismo sul mercato.

Ma mentre lo scambio che ha portato TJ Ford a Toronto ha visto almeno arrivare in entrata un giocatore di evidente potenziale ed interesse come Charlie Villanueva, quello che ha mandato Magloire a Portland ha ricevuto una contropartita che col senno di poi poteva essere più cospicua: Steve Blake, Brian Skinner and Ha Seung-Jin.

Ford OUT…

Forse sono un romantico ancora affezionato al concetto un pò inflazionato di play puro ed alle belle storie di ragazzi ritornati al basket giocato dopo gravi infortuni, ma prima di rinunciare alla rapidità  nel battere l'uomo in palleggio, al creativo altruismo ed alle diaboliche visioni con caratteristici tempi di passaggio di TJ Ford, ci avrei pensato davvero parecchio.

Poi però arrivano i playoff, si cambia registro, il gioco diventa più fisico e qualche conto con l'ex Texas non torna più: a Milwaukee sono in tanti ad aver individuato il motivo principale della netta e prevedibile sconfitta contro i Pistons nell'inadeguatezza fisica e difensiva di TJ, punita infatti regolarmente da Billups e compagni a nozze in queste situazioni.

Ecco allora partire immediato il bollo per il povero Ford: ottimo giocatore offensivo, ideale con certi compagni ed in un sistema costruito attorno a lui o ancora meglio come riserva in una squadra da titolo, ma inadeguato titolare ad alti livelli e non in grado di portare la propria squadra ai vertici con quei tre difetti troppo gravi ed evidenti: consistenza fisica, difesa, tiro. Risultato? Cessione del giocatore.

Difficile non leggere la rinuncia a Ford anche in funzione della sorprendente stagione di Mo Williams e del suo formidabile impatto dalla panchina che gli ha permesso di chiudere a 12.1 punti a partita. Difficile però non avere perplessità  sulla reale capacità  di Williams di guidare la squadra come play titolare, snaturando così proprio quella sua peculiare caratteristica di incidere dalla panchina.

Impossibile invece non considerare l'oggettivo valore della contropartita tecnica ottenuta con la partenza di Ford.

…Villanueva IN

Se c'era un identikit di giocatore che mancava nel roster di Milwaukee, infatti, quello era certamente Charlie Villanueva.

Chi meglio dell'ex Raptors può integrarsi con Redd per aprire spazi sul perimetro e soprattutto completarsi con Bogut in una delle front-line giovani più interessanti in prospettiva, entrambi protagonisti del draft 2005?

La coppia può funzionare e coach Terry Stotts ha già  fiutato il colpaccio: “Sono eccitato al pensiero di tutte le possibilità  che mi si presentano con la versatilità  di Villanueva come passatore, trattatore, tiratore, specie in un NBA in cui le chiavi sono le spaziature ed i tempi giusti negli scarichi. Le abilità  di passaggio di Andrew e di Charlie apriranno il campo alle nostre soluzioni perimetrali; la sola presenza di Villanueva, sia con che senza palla, permetterà  agli altri giocatori di avere spazio e tante opzioni”.

Per altro coach Stotts ha assistito dal vivo senza trovare rimedi alla duttilità  impressionante del talentuoso prodotto di Connecticut che si è involontariamente presentato alla grande ai suoi nuovi tifosi del Bradley Center a fine marzo scorso: 48 punti, 20 su 32 dal campo con incluso uno stimolante 6 su 11 da tre.

Altrettanto roboanti le prime dichiarazioni di Villanueva in maglia Bucks: “Questo è il luogo dove la mia carriera farà  un grande passo avanti. Ad essere sincero non appena ho saputo di essere stato scambiato sono rimasto piuttosto scosso. Poi mi sono seduto ed ho pensato al buon gruppo di ragazzi che avrei trovato qui a Milwaukee ed all'opportunità  di giocare accanto al mio coetaneo Andrew Bogut: sarà  grandioso! Ho imparato a cercare di essere più costante, cosa non facile per me poichè un giorno facevo una buona partita ed il giorno dopo l'esatto opposto, ma l'anno scorso ho trovato più continuità  e devo proseguire su questa strada”.

Magloire usa e getta

Curioso il destino che sta invece segnando la carriera di Jamaal Magloire: sono in molti a vederlo come il centro ideale per la propria franchigia di vertice e come uno dei rari solidi uomini d'impatto in area, in grado non a caso di assicurare più rimbalzi (9.5) che punti (9.2) nella stagione appena trascorsa, eppure ancora una volta passa nel giro di poco tempo da indispensabile e corteggiato a sacrificabile e ceduto senza nemmeno troppi rimpianti, ponendo l'accento sul suo troppo allegro e scanzonato approccio alla competizione ed in cambio di una contropartita non particolarmente eclatante ma funzionale alle esigenze dei Bucks.

Steve Blake allo stato attuale si gioca con Williams il ruolo di play titolare, corsa nella quale dovrebbe partire in netto svantaggio; essere stato l'anno scorso a lungo in quintetto in quel gulag che è l'attuale Portland non fa tanto testo e non è stato necessariamente propedeutico all'immagine dell'ex campione NCAA con Maryland: “Perdere non è divertente e non aiuta a migliorare. E' un'altalena emotiva: quando vinci, tutto va bene; quando perdi, vedi tutto nero. Ora finalmente sono in un team vincente con campioni di altissimo livello: devo farmi trovare pronto per punire i raddoppi su Redd e Bogut con il mio tiro da fuori e devo fare quello che so fare meglio, ovvero coinvolgere i compagni e lasciare che siano loro a segnare prima di me”.

Brian Skinner ha avuto la sua migliore stagione in carriera proprio ai Bucks nel 2003/2004, con 10.5 punti e 7.3 carambole sotto la guida di coach Terry Porter. Può portare rimbalzi e difesa dalla panchina negli spot di ala grande e centro, oltre ad un corposo contratto da $5.4 milioni ed una certa propensione all'infortunio che il GM dei Bucks Larry Harris si affretta a sminuire: “Brian ha giocato poco nella scorsa stagione che però è ormai alle spalle e non ha lasciato alcun segno di usura sul suo corpo. E' eccitato all'idea di tornare in un ambiente in cui ha reso al meglio e sa di avere un ruolo importante qui con noi”.

Molto più pragmatico e filosofico si dimostra per la verità  il giocatore: “Vengo da una stagione controversa con compagni scontenti ed un brutto ambiente. Ora vado dentro e faccio il mio dovere, ovvero aiutare la squadra a vincere. Non ho nessuna aspettativa, perchè le aspettative creano solo fallimenti e delusioni”. Non proprio quello che si definisce un grande allegrone, il nostro Brian!

Ha Seung-Jin ha giocato 316 minuti complessivi nelle ultime due stagioni in Oregon per una media di 1.5 punti e 1.5 rimbalzi a partita. Davvero troppo poco per fare uscire il giovanissimo 2.21 coreano dalla categoria “oggetti misteriosi” e per assicuragli il posto per l'anno prossimo, ma sufficienti almeno per farlo diventare il primo giocatore del suo paese a mettere piede in un parquet NBA. La recente prestazione contro Team USA non ha certo alzato le sue quotazioni.

Che Captain Chaos sarà ?

Per un Kukoc ormai sempre più vicino al ritorno da libro cuore ai Bulls, per un Welsch finalmente tornato nel suo habitat ideale, ovvero l'Europa e Malaga nello specifico, è notizia recente lo scambio con Denver che ha portato in Colorado il pesante contratto in scadenza di Joe Smith ($6.8 milioni) e nel Wisconsin quello ugualmente pesante ed in scadenza di Ruben Patterson ($7.8 milioni).

Chiara la ricerca della dirigenza Bucks di un giocatore energico dalla panchina come backup di Simmons, in grado di alzare il tasso di adrenalina in difesa e di dare un contributo d'esperienza specie in chiave playoff. Con “Captain Chaos” Patterson bisogna sempre verificare prima quanta voglia abbia lui di offrire questo contributo mettendo da parte i suoi stretti rapporti con la giustizia ed il litigio facile, ma lo scambio sembra sulla carta pendere a favore dei cerbiatti del Wisconsin.

Dolorosa emotivamente ma innocua tecnicamente, specie alla luce dell'arrivo di Villanueva, la rinuncia a quello strano caso NBA rappresentato dal malconcio Joe Smith, arrivato come prima scelta assoluta nella lega, ben presto riciclatosi con comunque ammirevole ed insospettabile umiltà  in ottimo giocatore di completamento, piuttosto perseguitato da infortuni che ne mettono in dubbio il futuro a certi livelli.

Novità  di completamento

Per dare poi una bella verniciata rinfrescante alla panchina, che come accennavo in precedenza era forse un filo poco profonda, oltre al 3×1 dello scambio Magloire ecco alcune facce più o meno nuove che andranno a completare il roster dell'anno prossimo: Markota, Ilyasova, Noel e l'ex Carpisa Napoli Greer.

Larry Harris è sceso in campo in prima persona sul croato Damir Markota (scelto nello scorso draft via San Antonio alla 59), con commenti fin troppo entusiastici: “E' realmente un 6-11 che può tirare dalla grande distanza ed essere l'ideale power forward perimetrale. Non necessariamente un lungo deve eseguire pick and roll e Markota infatti è destinato a fare cose differenti. Ha abilità  e può metterle in pratica sul campo. Ha la possibilità  di essere un giocatore NBA molto produttivo”.

Ammetto di essere piuttosto irritato dalla fiducia che si concede a questi europei perimetrali di 2.10, quasi come se ci fosse un Bargnani o un Nowitzki in ognuno di loro. Markota è monodimensionale, sa tirare da fuori ed eseguire un tollerabile gancetto dal post basso ma al momento gli riesce poco altro, cosa che lo rende a mio avviso tutt'altro che pronto per l'NBA. Harris mi smentisce con quelle dichiarazioni: lieto di fare mea culpa se sarò smentito anche dal campo.

Il destino di Markota sarà  lo stesso toccato alla 36a scelta 2005, il turco Ersan Ilyasova, parcheggiato l'anno scorso nella lega di sviluppo e per il quale il GM dei Bucks si dimostra più cauto: “Sia Ilyasova che Markota avevano ed hanno il loro maggior difetto nella necessità  di incrementare la forza del loro corpo. Abbiamo ritenuto che averli con noi ed eventualmente farli crescere nella NBDL abbia maggior significato che lasciarli in Europa per un altro anno. Ersan ora avrà  la possibilità  di giocarsi le sue carte negli spot di ala, più probabilmente come small forward. Vedremo”. Tiepidino, ma il 19enne turco sta calando l'asso ai Mondiali in corso di svolgimento in Giappone con notevoli prestazioni e guidando la sua Turchia al successo proprio contro l'Australia di Bogut.

David Noel è stato un pò a sorpresa la scelta al secondo giro del recente draft, alla numero 39. Ala di 1.98, specialista difensivo eclettico e rimbalzista notevole per l'altezza, non siamo certo di fronte ad un grande talento offensivo ma l'ex North Carolina è un giocatore intenso ed intelligente che con queste doti può guadagnarsi minuti e crearsi una carriera tra i pro.

Grande curiosità  infine, specie tra i tifosi partenopei, per vedere all'opera in contesto NBA Lynn Greer. Onestamente, delle 30 squadre della lega, una di quelle in cui vedo con meno prospettive il piccolo grande eroe di Napoli è proprio Milwaukee, specie alla luce della presenza di Williams e Bell che per un motivo o per l'altro hanno caratteristiche a lui piuttosto simili. Aldilà  della concorrenza, permangono poi come una mannaia i dubbi sull'impatto di un 6-2 non playmaker e prevalentemente grande realizzatore, nonchè l'incertezza sulle sue capacità  fisiche di procurarsi i viaggi in lunetta che otteneva in grande quantità  e spesso in momenti decisivi nel campionato italiano.

Futuro delicato

Con la prevedibile crescita di Bogut e con un Redd encomiabile che si presenta ogni anno ad ottobre con un miglioramento lampante in qualche fondamentale, il futuro a lunga scadenza dei Bucks permane abbastanza roseo, mentre quello nel breve periodo dovrebbe decidersi in base all'inserimento di Villanueva ed al recupero di Simmons ad uno standard superiore all'attuale.

Con la partenza di Magloire sembra configurarsi lo spostamento di Bogut in centro, forse sua destinazione naturale, con Villanueva ala grande e Simmons confermato ala piccola. Sulla capacità  di far rendere difensivamente la squadra ed in particolare di nascondere i limiti atletici di Bogut nel nuovo ruolo, coach Stotts si gioca molta credibilità  agli occhi degli addetti ai lavori.

L'Est si sta però lentamente rinforzando sulla spinta della rivalità  Miami-Detroit e centrare i playoff con un record di 40 vittorie potrebbe non essere più fattibile.

Il rischio è quello di non ingranare ancora la marcia superiore e continuare a vivacchiare a cavallo dell'accesso ai playoff dando poche opportunità  ai tifosi italiani dei Bucks di sentirsi meno soli. Ma il rischio ancora più grande è quello di vedere i cheeseheads dei Packers indossare con sempre maggior entusiasmo le inquietanti forme di Emmental sul capo a tutto svantaggio delle pacate ma rassegnate canottiere verde-argento-viola numero 22 e numero 6 di Michael Redd e di Andrew Bogut. Una buona ragione in più per sostenere i nuovi Milwaukee Bucks.

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