Focus: Dallas Mavericks

Le doti di Maurice Ager entusiasmano coach Johnson

Ci sono estati che determinate franchigie NBA vorrebbero impacchettare e sbolognare rendendole lunghe non più di un giorno per poter riprendere subito l'assalto al successo finale tramite il basket giocato.

Ci sono estati in cui sei costretto a fare scelte importanti solo perchè sei arrivato ad un Wade dal titolo di campione NBA e prendi atto di aver vinto quanto una squadra finita in lotteria.

Ci sono estati in cui ti sembra di avere già  tutte le carte in regola per poter vincere l'anello ma, per quel tremendo meccanismo sportivo USA che macina e dimentica presto i secondi classificati catalogandoli come “perdenti” se e finché non vincono, sei invece costretto a fare i salti mortali per capire dove migliorare ulteriormente la squadra.

Ci sono estati nelle quali ti gira nella mente una sola parolina magica: rivincita!

Bene: nell'estate 2006 dei Mavericks, tutte queste fattispecie di estati convergono in maniera spietata.

Eredità  contraddittoria

Eravamo rimasti a quel 2-0 dopo le due gare interne contro Miami, a quel +13 a 6 minuti dalla fine di gara-3, a Dampier che giganteggiava contro Shaq, a Stack chirurgico dalla panchina, a Cuban proclamato nuovo Governatore del Texas per acclamazione con Avery Johnson suo vice designato. Poi Wade ha deciso di dare un'occhiata ai libri di storia di questo gioco e si è accorto che il suo nome ancora non compariva nell'indice: ha rimediato subito… e la storia è cambiata per davvero.

Gli obiettivi tecnici di Dallas ad inizio stagione 2005/2006 erano fondamentalmente tre:

1: miglioramento della difesa Nelsoniana storicamente propensa ai 115 punti subiti ed ai layup concessi anche nei momenti chiave delle partite chiave dei playoff;
– ipse dixit, detto fatto: nonostante fosse palese l'assenza complessiva di autentici difensori individuali di razza, non si può sfuggire dalle lodi per il lavoro fatto da Johnson e dal suo staff nell'imbastire finalmente una difesa corale decente su transizioni e secondarie e con qualche soluzione in più negli storici problemi a gestire le guardie rapide in penetrazione, specie grazie ad una delle chiavi più sorprendenti della stagione trascorsa, ovvero il tergicristallo d'area DeSagana Diop.

2: più opzioni per far giocare Nowitzki spalle a canestro e per renderlo meno monodimensionale specie nei finali;
– qui invece qualche problema in più, ma “post basso sì/post basso no” abbiamo avuto lo stesso a che fare per tutto l'anno con un Nowitzki mondiale ormai consolidato top-10 NBA e con oggettive e solide pretese per bussare alla porta della top-5 o per ricevere direttamente le chiavi di casa da uno dei primi 4.

3: trovare qualche variante offensiva in più specie nei momenti decisivi in alternativa al tedesco;
– argomento che si riassume, nasce e muore in un nome, Jerry, in un cognome, Stackhouse, ed in due soprannomi, Stack e Doctor Jerry, sempre più pronunciati con passione dai tifosi di Dallas che ormai stravedono per il rinato ex North Carolina, in grado di sfoderare una stagione da protagonista forse proprio per il paradosso di non partire e di non sentirsi protagonista, ma distillando talento dalla panchina senza pressioni e mettendo in bella vista la sua candidatura al ruolo di reale sesto uomo dell'anno.

Queste novità  si aggiungevano poi ai dati ormai consolidati ed in parte storici degli ultimi Mavs: grande impatto della panchina, profonda come poche nell'intera lega; interessante ossatura dietro con il terzetto giovane Harris-Daniels-Howard in rampa di lancio ed in particolare con il primo destinato a diventare uno dei migliori play della lega ed il terzo che si vedeva finalmente riconosciuto il suo status di giocatore di prima fascia; dominanti doppie uscite offensive con coinvolgimenti sullo stesso lato di Terry e Nowitzki; sublime gioco in transizione offensiva; Van Horn degnamente inserito nel sistema come cambio di Nowitzki ed altro panchinaro di lusso almeno a livello di regular season.

Insomma, non proprio il quadro della classica squadra completamente da rifondare! Ed invece…

Conferme delicate

Intanto merita di essere menzionata, per scaldare i motori, una presunta polemica Johnson-Cuban circa l'entità  economica del contratto del coach: è circolata la voce che Johnson, alla luce dei risultati ottenuti, abbia richiesto o comunque si sia mostrato irritato per il mancato ritocco dell'ingaggio che prevede nella prossima stagione $2.5 milioni, ovvero non quanto riceve solitamente un allenatore finalista NBA. Voce questa subito smentita con le rituali “non c'è mai stato alcun problema”, “il rapporto non potrebbe essere migliore”, “il contratto è quello e va rispettato e se arriverà  il momento di rinegoziarlo ne parleremo senza problemi”. Schermaglie trascurabili.

La prima vera grana del mercato estivo NBA invece riguarda le decisioni da prendere sui propri free-agent, in questo caso cinque. Sono situazioni che spesso si risolvono molto in là  nei tempi, ma sono anche e soprattutto situazioni a cui cominci a pensare fin dalla sirena dell'ultima gara ufficiale ed attorno alle quali fai ruotare molte delle altre mosse limitrofi.

Se Mbenga poteva essere considerato dei cinque giocatori in scadenza quello di minor rilievo, se il grande cuore di Armstrong ormai prossimo ai 40 anni poteva anche essere accantonato o riciclato in borghese con il suo inserimento nello staff tecnico, se ad un giocatore di chimica come Griffin potevi tutto sommato sia pur a malincuore rinunciare, discorso diverso andava invece fatto in parte per Van Horn ma soprattutto per Jason Terry.

Lo sceicco bianco a libro paga lo scorso anno ha portato a casa qualcosa come $15.7 milioni, ovvero il modo più semplice per entrare di diritto nelle nomination per i 10 contratti più visionari e conseguentemente per i 10 giocatori più sopravvalutati della lega.

Terry aveva invece a mio parere uno dei contratti più deliziosi in rapporto alle qualità  ed all'impatto del giocatore: $7.5 milioni.

Capitolo Van Horn

Il valore di mercato attuale non può che capovolgere ed invertire la situazione precedente: anche se il 2.10 frontale bianco sembra sempre più di moda come dimostrano anche recenti vicende a noi vicine, difficile aspettarsi per Van Horn cifre superiori ai $5-6 milioni all'anno, e forse sono già  generoso specie alla luce delle sue prestazioni nelle finali e dei movimenti di mercato sviluppati in seguito e di cui preannuncio solo il nome chiave: Croshere.

Anche se questa firma dovesse arrivare, infatti, non significherebbe certo che essa sia in funzione della sua permanenza a Dallas ma rientrerebbe piuttosto in un'operazione di sign-and-trade con al momento Denver in prima fila per portarsi a casa il pupillo di coach Majerus; quest'ultimo, ineffabile, non ha fatto mancare buone recensioni del suo ragazzo al coach dei Nuggets Karl.

Se parli di giocatori in uscita da Denver, però, il grande nome che sale regolarmente alla ribalta è quello inquietante di Kenyon Martin: lui ed il suo terribile contratto ($16 milioni nel 2011!!!) si aggirano come un incubo nei vari rumors che lo danno di volta in volta vicino a questa ed a quell'altra squadra. Dall'urna è uscito purtroppo per i tifosi Mavs anche il nome di Dallas, con l'aggiunta per far quadrare i conti di uno tra Stackhouse e Dampier o addirittura di tutti e due in scenari più complessi: via libera agli scongiuri, anche se a KMart, aldilà  della sua eccessiva valutazione, non si può almeno disconoscere l'intensità  del suo gioco e l'impatto emotivo che porta in area ed a rimbalzo, oltre alla capacità  di produrre punti facili. Della serie “salviamo il salvabile”.

Capitolo Terry

Viceversa, per un protagonista assoluto dei playoff come Terry era improbabile pretendere che potesse accettare offerte molto inferiori ai $10 milioni annui, anche se quando non vinci si insinua impietoso qualche dubbio sulle tue capacità  di portare la squadra al titolo o di sopperire agli alti e bassi dei compagni ed infatti esisteva già  una corrente di pensiero che negava la necessità  della sua conferma.

Correnti di pensiero messe a tacere dall'ufficialità  della firma del giocatore: 6 anni di contratto per $57 milioni complessivi. “Sono all'apice della mia carriera, la mia priorità  non poteva che essere quella di ottenere un contratto di lunga durata”: parole queste che spesso fanno tremare i polsi ai tifosi, poichè messo a posto il portafoglio ed assicurate le rate dell'università  ai figli, aleggia sempre il dubbio di un immediato e forse umano calo del rendimento del giocatore in questione.

Mi piace pensare che per Terry non sia così, specie alla luce da un lato del suo legame con la franchigia texana che lo ha rilanciato prelevandolo dal gulag di Atlanta e proponendolo come uno dei più dinamici realizzatori tra le combo-guard odierne e dall'altro per l'importanza che ricopre nel piano tecnico-tattico di coach Johnson, sebbene non sia certo un eccelso difensore e sia mentalmente lontano da una dimensione pura di playmaking.

Centri in abbondanza

Oltre a Terry, è arrivata anche la conferma proprio del giocatore statisticamente più marginale dei cinque free-agent: Mbenga è stato infatti rifirmato con un innocuo biennale a circa $3 milioni l'anno. “E' migliorato in quello che volevamo migliorasse ed ha molta più fiducia sul campo”: così l'entourage Mavs giustifica il suo rinnovo al termine di discrete prove del ragazzo in Summer League. Non siamo certo di fronte ad un progetto destinato a stravolgere il futuro della franchigia, ma è indubbio che l'etica e l'impegno professionale del congolese sosia di Popeye Jones (a proposito: imminente il suo accordo per entrare nello staff tecnico Mavs) non siano estranei a questa scelta.

Un uomo d'area da rotazione che unito a Dampier e Diop crea un terzetto fatto con lo stampino (grandi, grossi, stoppatori e con limitatissimo talento offensivo) che non risolve però uno dei rari punti deboli di Dallas in attacco rappresentato dall'assenza di punti in area e che rischia di tarpare le ali (ma tanto non si alzerebbe da terra lo stesso) allo sfortunato siberiano Pavel Podkolzin.

Scovato tra i pinguini dalla Pallacanestro Varese e selezionato dai Mavericks (via Utah) con un'azzardata 21a scelta nel draft 2004, dopo problemi non semplici legati ad un'ostica forma di gigantismo risolta l'anno scorso con un intervento all'ipofisi di cui non chiedetemi altro, il russo si è riproposto recuperato e brillante in Summer League con cifre interessanti a rimbalzo e minutaggio sorprendente. Tenendo conto che è solo del 1985, i suoi 2.26 meritano almeno una considerazione fosse solo per farlo uscire dalla categoria “bidoni” alla quale purtroppo al momento appartiene.

Salary cap in ridimensionamento?

Il salary cap di Dallas, o come sarebbe meglio dire del magnate Cuban che ne focalizza ogni aspetto, non si è certo distinto in questi ultimi anni per la parsimonia e la morigeratezza dei contratti in entrata: basti ricordare, per rendere l'idea, che grava ancora e continuerà  a farlo anche nella stagione 2007/2008 il contrattino mica da ridere di Finley, che per giocare a San Antonio contro i suoi ex compagni ora acerrimi rivali di Dallas riceverà  da quest'ultima $35 milioni complessivi per i prossimi due anni. Paradossi NBA.

Va detto però che, aldilà  della firma tutto sommato a cifre tollerabili di Terry, qualche scenario rivolto ad un'idea di flessibilità , incredibile ma vero, si è delineato con gli scambi effettuati che hanno teso anche, non credo come obiettivo principale, ad alleggerire e rendere più umano il salary cap portandolo in prospettiva nel 2008 sotto il limite teorico previsto quando però saremmo di fronte al delicato rinnovo da proporre a Wunder Dirk. Ovvero, riformulando correttamente, quando saremmo di fronte alla necessità  di offrire il massimo salariale a Wunder Dirk.

Draft

Dallas deteneva le scelte 28 e 58 in un draft all'apparenza povero come quello di quest'anno per il quale c'era poco da farsi illusioni (lo steal Howard fu effettuato sì alla 29 ma niente meno che nel draft 2003 che ha ormai assunto sembianze epocali!). Puntualmente i diritti della seconda scelta JR Pinnock sono stati ceduti ai Lakers in cambio di una futura seconda scelta.

Dal primo giro è invece arrivato Maurice Ager, guardia matura reduce da 4 anni a Michigan State: atleta e tiratore importante, decente difensore, verticale ed abile a rimbalzo e nel giocare sopra il ferro nonostante i pochi centimetri, la sua scelta unita alla contemporanea presenza a roster di Marquis Daniels non poteva certo passare inosservata, così come non era passata inosservata la progressiva e tecnicamente poco spiegabile scomparsa dalle rotazioni e dal campo nei playoff dello stesso Daniels, per il quale evidentemente non c'era più spazio nelle idee del coach.

Trades e facce nuove

Il tridente da me individuato come ossatura del backcourt di Dallas per i prossimi anni, Harris-Daniels-Howard, subiva quindi un duro contraccolpo ed a metà  luglio, dopo una ridda di voci di sostanziale svendita di Daniels, arrivava così lo scambio relativamente a sorpresa con Indiana che ha portato Austin Croshere in Texas e Marquis ai Pacers.

Dal punto di vista salariale, in eventuale prospettiva “snellimento del cap” come accennavo in precedenza, un piccolo gioiello, visto che il contratto del buon Croshere uscirà  di scena l'estate prossima portandosi via i $7.3 milioni che percepirà  quest'anno.

Dal punto di vista tecnico, invece, con l'addio di Daniels si perde a mio avviso molto sul piano della duttilità  e del talento futuribile, ma una squadra che ha appena perso la finale NBA deve muoversi soprattutto per la chimica nel breve periodo più che per l'upside e la progettualità , quindi Croshere, destinato a prendere il posto di Van Horn come cambio di Nowitzki, può certamente essere fatto rientrare in un preciso disegno tecnico con forse anche maggiore predisposizione al ruolo e più impatto fisico ed emotivo dell'ex Nets.

Per sopperire alla partenza di Adrian Griffin, prossimo a finire a Chicago come guardia del corpo dei giovani Bulls, è stato poi firmato il cavallo di ritorno Greg Buckner, sostanzialmente cambio per SG e SF ma per il quale non si può escludere una partenza in quintetto come specialista difensivo ed un suo utilizzo anche nei minuti finali decisivi. Per intenderci, un pò il ruolo di Bruce Bowen agli Spurs. Non sarà  un collante come Griffin ma certamente etica e buona applicazione non sono aliene a Buckner che ha anche mostrato negli ultimi due anni a Denver qualche sprazzo di gioco offensivo in crescita. A suo favore anche età , atletismo e tiro perimetrale.

Ultima in ordine di tempo una mossa solo all'apparenza secondaria, perchè rappresenta sostanzialmente un arrivo gratutito di un'importante riserva nel ruolo di point guard: Anthony Johnson, mestierante con spirito di sacrificio, solido difensore sulla palla, ordinato in attacco anche se il talento risiede in tutt'altri lidi, giunto ancora una volta tramite gli interlocutori privilegiati di Indiana in cambio di Armstrong, Rawle Marshall (240 minuti complessivi l'anno scorso) e Josh Powell (429 minuti), questi ultimi due certamente uomini molto marginali nella rotazione di coach AJ e con nulle prospettive di minutaggio in crescita per le esigenze sopra ricordate dei Mavericks. Una loro eventuale esplosione ai Pacers è un rischio calcolato che non dovrà  portare troppi rimpianti.

Basta così? Niente affatto! E' notizia proprio di queste ultime ore l'imminente accordo con l'ex Lakers Devean George. Dallas ha in effetti ancora due “salary cap slots” e due ruoli a roster da coprire, sulla carta per uno swingman d'impatto ed esperienza e per la terza power forward dopo Nowitzki e Croshere. I Mavericks hanno anche a disposizione $2 milioni della “mid-level exception” rimanente e $1.75 milioni di “bi-annual exception”, ma si è parlato addirittura di un'offerta tutt'altro che onerosa di contratto minimo da veterano ($1.2 milioni) per il tre volte campione del mondo in gialloviola.

Inutile dire che l'acquisizione, specie a quel prezzo a mio avviso impensabile, di un altro notevole difensore con un'evidente attitudine alla vittoria e con alle spalle grandi partite giocate anche da protagonista, rientrerebbe una volta di più in una logica di progetto che continuo a ravvisare nelle mosse di Donnie Nelson e sarebbe un'aggiunta di non poco conto. Per non parlare poi di come può incidere il suo sia pur altalenante tiro da fuori sugli scarichi di Nowitzki, Howard ed Harris.

Summer Leagues

Dalla Summer League recentemente giocata a Salt Lake, detto di Podkolzin e Mbenga, sono arrivate indicazioni estremamente positive per il rookie Ager, subito coccolato da Avery Johnson che non riesce a trattenere l'entusiasmo per il giovane ex Spartans: “Siamo innamorati di lui. Stiamo vedendo confermate tutte le ottime impressioni che ci aveva destato durante la sua carriera al college. E' entrato subito nel sistema e contiamo di vederlo diventare presto la nostra solida shooting guard.” Il ragazzo risponde con umiltà  e frasi di circostanza: “Sto solo cercando di comprendere i principi difensivi di questo livello superiore e molto differente dal college. Per la fase offensiva mi è stato chiesto principalmente di variare il mio gioco alternando penetrazioni ed attacchi al canestro a conclusioni dalla media e lunga distanza.”

Jackson Vroman e Pops Mensah-Bonsu sembrano i maggiori candidati per strappare un invito al camp di ottobre. Il play tascabile Jose Barea ed il sorprendentemente undrafted Darius Washington scalpitano a loro volta, ma potrebbero affacciarsi su altri schermi visto che Harris, Johnson ed all'occorrenza Terry coprono al meglio il reparto. Anche se Nelson spalanca le porte ai giovani: “Non siamo affatto spaventati dall'idea di dare opportunità  ai giovani e stiamo considerando di tenere con noi alcuni ragazzi del roster estivo.”

Pessimismo? No, grazie

Ricapitolando e semplificando: Buckner per Griffin, Croshere per Van Horn, Ager per Daniels, Johnson per Armstrong; George in arrivo; Terry e Mbenga confermati; squadra giovane ma ciò nonostante esperta; allenatore giovane ma preparato e seguito dalla squadra; entusiasmo di Cuban intatto.

Dallas sta riuscendo nel difficile obiettivo di dare l'impressione di cambiare senza in realtà  cambiare effettivamente; di portare facce nuove di plausibile impatto senza stravolgere sistema ed asse portante della vittoria sugli Spurs; di modificare al meglio il supporting cast venuto meno nel momento cruciale l'anno scorso senza toccare quintetto e protagonisti; di intensificare la presenza di lavoratori, difensori puri e giocatori di chimica che ti fanno vincere anche a costo di rinunciare al talento; di rinnovare rimanendo se stessa.

Il modo migliore insomma per ripartire e far trascorrere nella maniera più indolore possibile la più amara estate della storia della franchigia, almeno sul piano emotivo. Il modo migliore per prepararsi ad un maggio 2007 da protagonisti, perchè questa volta il libro di storia NBA, al posto di Wade, ha tutta l'intenzione di sfogliarlo un biondo tedesco con la maglia numero 41…

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