O’Neal si concede la sesta

Shaquille O'Neal torna alle finali Nba dopo una 'lunghissima' assenza di un anno

E' finita in un delirio di salviette bianche che roteavano mentre l'intero palazzo dello sport cantava a una voce "Let's go Heat". Miami va in finale dopo anni di sconfitte brucianti quasi sempre arrivate sul terreno di casa: "Nella storia di questa franchigia ci sono tante sconfitte - ha proclamato qualche minuto dopo Pat Riley - dovute alla forza degli avversari, alle sospensioni, agli infortuni. Abbiamo girato pagina portando a Miami Shaquille O'Neal e cominciando a mettergli attorno giocatori alla sua altezza. Ovviamente avere già  in casa Wade ha fatto una grande differenza."

La sintesi di dieci anni di vita da Heat dell'allenatore che, quando era "solo" general manager ha puntato forte su una serie di giocatori che all'inizio hanno destato più perplessità  che convinzione.
In casi come questi si dovrebbe partire parlando degli sconfitti. Ma, siccome a chi scrive fa enorme piacere ritrovare Shaq in finale, concedete questa licenza.

Miami ha controllato la gara fin dall'inizio. Sapendo di avere a disposizione poco Wade, Riley ha liberato la vena offensiva di Jason Williams: "white chocolate", che veniva da un 13 su 30 complessivo nella serie, ha risposto con la partita della carriera, segnando 21 punti con i primi 10 tiri, quel che è più incredibile su scelte logiche e giuste. Sulla sua scia s'è collocato il resto del supportin' cast della squadra che ha giocato la miglior gara delle serie.

Così si spiega il 47-36 di fine primo tempo con Dwyane Wade fermo a 1 su 6, visibilmente debilitato da una notte passata a vomitare e da diverse ore di ospedale nel giorno della partita. E' chiaro che in tutto questo c'è lo zampino di O'Neal: l'ex centro dei Lakers ha segnato 19 punti nella prima parte di gara con 9 su 11. Ancora una volta s'è visto come il pivot, con la sua sola presenza, condizioni le scelte difensive degli avversari. Anche al massimo livello della competizione.

Saunders è partito a uomo su di lui, per poi rifugiarsi in una serie di zone che non han fatto altro che deprimere ancora di più i due Wallace. Ne ha risentito lo sforzo difensivo di una squadra che già  non aveva cominciato con l'aggressività  richiesta dalla situazione.

Nel terzo periodo, con Shaq fuori per il quarto fallo, è tornato lo Wade delle prime gara casalinghe della serie: l'ex Marquette University ha segnato 10 punti, mettendo quattro tiri consecutivi, per un eloquente 72-53 al 36'. Il suo tiro in sospensione a 1" dalla fine del terzo quarto è già  un classico.

"Sono sceso in campo volendo fortemente aiutare i miei compagni - ha spiegato Flash in conferenza stampa - Per fortuna Dio me ne ha dato la possibilità ."
Detroit ha cercato l'ultimo disperato sforzo all'inizio dell'ultima frazione, tornando con Hamilton sull'80-67 quando mancavano 6'27" da giocare. Qualche secondo dopo Rip ha rubato palla ma s'è visto inchiodare il suo lay up da una delle 5 stoppate di O'Neal. Dall'altra parte, ancora Shaq, ha squassato il canestro con la solita schiacciata. Gli applausi convinti di Riley hanno segnalato che era fatta.

Shaq ha chiuso con 28 punti e 16 rimbalzi. I numeri di riassunto della partita sono i soliti: Detroit ha tirato con il 33% a fronte del 56 degli avversari, addirittura il 75% nella prima frazione. Miami ha controllato i tabelloni 48-39. Così non si può proprio vincere una gara6 anche se sulle maglie porti il nome dei Pistons.

Gli sconfitti

Abbiamo usato quest'espressione perché i Pistons non so sembrati loro, non solo in gara6. Dopo aver vinto gara5 al Palace, sono probabilmente tornati in South Florida non credendo realmente alla possibilità  di ribaltare la situazione.

A parole i giocatori hanno reso omaggio agli avversari. "Hanno sicuramente giocato meglio di noi - ha assicurato Chauncey Billups - meritando le finali" L'ex grande pentimento di Pitino ai Celtics ha chiuso la sua serie con poca gloria, 3 su 14 al tiro e la spiacevole sensazione d'esser l'uomo che Miami voleva attaccare.

Rasheed Wallace è stato il più espansivo negli abbracci di fine partita sulla metà  campo: anche in gara6 ha fornito un contributo limitato con 4 su 12, dando per lunghi tratti la chiara impressione di non essere interessato alla partita. Siccome di mezzo c'è un infortunio, quello sì reale, alla caviglia patito durante la serie con i Cavs, non sapremo mai con precisione dove stia la verità .

La reazione degli Wallace ai cambi difensivi chiesti da Saunders in quest'ultima partita è stata sconcertante: d'altronde Miami ha banchettato nell'area degli avversari dall'inizio di gara1. Non era andata così in stagione regolare.

"Non abbiamo giocato come possiamo giocare", ha detto a fine gara Saunders, sguardo basso e visto tirato. La delusione più grossa è la sua perché rimpiazzava Larry Brown, il coach che aveva portato questo gruppo a due finali ed un titolo.

Ora tutta America, per ragioni diverse, guarda a lui come alla causa, se non al colpevole della sconfitta. Chi sostiene che Detroit sia arrivata stanca alle partite decisive, ritiene che l'ex Timberwolves abbia cavalcato troppo i titolari in stagione regolare, inseguendo il miraggio delle 70 vittorie.

Risultato: poco spazio a giocatori come Delk, Delfino, il notissimo Milicic, troppi scontenti sulla panchina e titolari cotti al momento di far sul serio. D'altronde, scottato dalla sconfitta dell'anno scorso a San Antonio in gara7, tutto l'entourage di Detroit riteneva fondamentale tornare in post season col vantaggio del fattore campo.

I seguaci della teoria psicologica ritengono sia successo qualcosa nel corso della serie contro Cleveland: i giocatori avrebbero perso progressivamente fiducia nel generale. Interpretando le sue direttive come un cavallo con le briglie allentate. Da qui le polemiche seguite a gara4.

Per ora, secondo diversi general manager della Eastern Conference, si riparte comunque da Saunders. L'estate servirà  a rimettere sotto contratto Ben Wallace. O a valutare l'opportunità  di farlo. "Sapete tutti dov'è il mio cuore", ha detto l'ex Orlando a fine gara, assicurando d'essersi affidato al potentissimo Arn Tellem solo perché aveva bisogno di un agente e non per vendersi al miglior offerente.

D'altronde se si è un All Star, il miglior difensore della lega, non si può avere lo stesso agente di quando si lavorava in un autolavaggio. Anche Dumars non è tenero. Ammesso che riportare Wallace nel Michigan sia poi così prioritario.

"Miami ha fatto quel che noi avremmo dovuto fare - ha detto Big Ben uscendo di scena - costringendoci a giocare come non vogliamo fare. Sono stati i migliori." Sarà , però esagerando con i complimenti, i giocatori indirettamente si assolvono da ogni colpa. Soprattutto non possono incolpare Saunders di non essere il Brown che avevano ripudiato.

Miami e la finale

"Il lavoro non è finito - ha avvisato Shaq - ci servono ancora quattro vittorie." Al suo arrivo a Miami l'O'Neal, che a Los Angeles non serviva più, preannunciò una parata per il titolo in Ocean Drive. La stessa che Pat Riley sogna di 10 anni.

L'ex architetto dello Show Time porta la sua terza squadra alle finali dopo i Lakers e i New York Knicks. Riley è l'allenatore delle sconfitte contro i Knicks di Jeff Van Gundy, ha vissuto ogni momento negativo della franchigia. Ora è pronto a tornare sul palcoscenico che è stato a lungo suo negli anni '80.

Anche O'Neal torna alla finale con la terza squadra: c'era andato nel '95, perdendo, con Orlando. Poi le quattro finali in cinque anni, con tre titoli, a Hollywood. "Volevamo dimostrare al nostro coach - ha spiegato Antoine Walker - che non aveva sbagliato quando ha voluto me, Pos (Posey), Jason e Gary. Ora vogliamo andare fino in fondo; ha ragione Shaq, ci servono ancora quattro vittorie per completare il lavoro e essere a posto."

C'è tanto orgoglio in questi Heat che vogliono andare oltre i difetti strutturali che si vedono anche nelle vittorie; la contendente della Western Conference dovrà  tenerne conto.

Il grande escluso alla festa

Fa paura guardare al ruolino di marcia di Shaq dall 2000, stagione dopo stagione: tre titoli, una semifinale di conference, una finale per il titolo, una finale di conference. Ed ora un'altra finale per il titolo. Da qualche parte, conoscendo questo dato, Stan Van Gundy avrà  guardato la partita e, spegnendo la tv, avrà  pensato: "L'avessi avuto io in quelle condizioni!?"

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