Anno nuovo, rubrica nuova

Patrick Ewing, uno dei grandi esclusi dalla top 25.

Bien. Tres bien.
Eccoci qua. Prima o poi doveva succedere.
Prima o poi dovevamo iniziare.

Prende vita oggi una nuova rubrica che, pur essendo l'ideale seguito di NBA Legendary Games, con la precedente non ha nulla a che spartire.
Purtroppo.

Confesso di aver provato in tutti i modi a rimandare questo esordio, sciorinando una serie di improbabili scuse per un ritardo che ormai stava raggiungendo proporzioni imbarazzanti.
Ma avevo già  da tempo dato la mia parola al Grande Capo e le scuse da addurre di volta in volta, cominciavano a scarseggiare.

Esauriti così i classici problemi di famiglia, quelli di salute, gli inevitabili contrattempi lavorativi, il compleanno della zia e l'onomastico della nonna, volente o nolente, ho dovuto mettermi davanti alla tastiera, aprire word e dare il via alle danze.

Ho pensato a lungo su come esordire. Cosa dire a mia discolpa.
Ho pensato di far finta di nulla e, fischiettando, buttarmi nell'appassionato racconto di Lakers-Raptors, del 22 gennaio scorso.

Ma poi ho immaginato la faccia che avrebbe fatto Max.
Non solo. Ho anche immaginato l'effetto che avrebbe avuto sul mio esile fisico un intero articolo passato a raccontare e decantare le gesta di Kobe Bryant e dei suoi settanta e rotti (ok, erano 81!) punti.

Non ne sarei uscito indenne.

Così ho deciso di andare dritto al sodo.
Prendere il toro per la corna. Affrontarlo impavido e… porgere le mie scuse.

Scuse perché quello che mi appresto a fare in questa rubrica non ha una spiegazione logica, razionale o cestistica.

Non ha una spiegazione e basta.

E' un'idea estemporanea nata quasi per gioco, per uno scherzo, figlia di eterne ed irrisolte discussioni sui giocatori più forti di sempre e sui paragoni impossibili.
Un argomento delicato che affascina e divide. Ma che raramente lascia indifferenti.

Sì, insomma… alla fine 25 Legendary Players è una… classifica.
Ok, l'ho detto! Una classifica!

Una sfilza di nomi altisonanti, una lista di campionissimi, messi in rigorosa fila indiana come tanti ligi scolaretti coi calzoni corti ed il grembiule nero. Uno dietro l'altro, dal meno bravo fino ad arrivare in cima, lassù, al primo della classe.

Nessuna pretesa di verità  assoluta, ci mancherebbe.
Solo ed elusivamente un gioco, un'occasione per parlare di alcuni degli incrollabili miti del basket made in USA. Di quelli che più di ogni altro hanno scritto il loro nome a caratteri cubitali sui parquet di mezza America.

Ma qualsiasi gioco, anche quello più improbabile, va affrontato comunque con un minimo di serietà .

Così ho dato il via ad una vasta opera di informazione e ricerche per reperire quanto più materiale possibile (Dio benedica il web e chi l'ha inventato). Ho stilato fogli excel su cui riversavo statistiche, record, numeri, particolari anche insignificanti.
Ho sfogliato i vari Testi Sacri, ho cercato pareri più autorevoli dei miei, ho visitato forum, ho mandato email oltreoceano per trovare risposte a quesiti per me insolubili.

Ed alla fine, dopo settimane e settimane di domande senza risposta, di ripensamenti e di consultazioni, sono riuscito a metter su un qualcosa che, non dico sia attendibile né tanto meno scientifico, ma per lo meno personalmente mi soddisfa.

Alcune premesse tuttavia sono doverose.
Parziali giustificazioni di un povero folle che ha deciso di cimentarsi in questa impresa.

Innanzitutto è opportuno precisare che non esiste una definizione univoca ed oggettiva della locuzione “Il più grande di sempre”.

Ognuno di noi può avere la sua personalissima idea di più grande di sempre o degli aspetti che maggiormente devono essere presi in considerazione nelle valutazioni.

Si può ad esempio dare maggior risalto alle vittorie. Certamente una discriminante importante, spesso fondamentale, soprattutto in un paese come l'America dove si suol dividere l'umanità  fra vincenti e perdenti.

In questo caso non penso ci sarebbero dubbi su chi figurerebbe lassù, in vetta alla classifica. Forse, forse, tale William Felton Russel, per tutti Bill. Il signore degli anelli.

Oppure si possono privilegiare i record, le tanto bistrattate statistiche, i freddi numeri.
Perché è vero che il basket è uno sport di squadra, ma è anche vero che una classifica di singoli giocatori (e non di squadre) non può prescindere da quelli che possono essre definiti i bottini personali.

Ed in questo caso un 2.16 nato a Philadephia metterebbe in riga tutti quanti, dando almeno tre giri di pista al secondo.

Oppure potrebbe essere considerato il più grande di sempre colui che si è espresso su valori di eccellenza assoluta e difficilmente equiparabile, anche solo per un breve periodo di tempo.

O al contrario puntare su chi si sia espresso a livelli elevati per il più lungo lasso di tempo.
Nel primo caso Walton potrebbe dare punti a molti, nel secondo nessuno come Kareem Abdul Jabbar meriterebbe la palma del migliore.

Si potrebbe dare infine maggiore importanza alla spettacolarità  o alla tecnica pura e quindi privilegiare a seconda dei casi un Erving o un Bird.

Personalmente ho reputato giusto fare un'esatta media di tutte queste cose.
Considerare in primis le vittorie, senza trascurare le statistiche. Valutare in egual misura l'eccellenza nel breve periodo così come la costanza tenuta nell'arco di tutta la carriera. Dare la giusta importanza alla parte atletica, così come a quella tecnica, senza necessariamente dover privilegiare l'una all'altra.
Ed infine considerare il contesto storico nel quale un giocatore si è trovato ad operare. La caratura delle squadre e degli avversari con cui si è trovato a competere.

Non sono stati invece presi in considerazioni fattori esterni, quali l'altezza di un giocatore od il colore della sua pelle. Il fisico avuto in dono da Madre Natura o il fatto che abbia fatto o meno il college. Questi sono fattori che non competono a chi deve stilare una classifica.

Poco importa che un Moses Malone abbia dovuto faticare il doppio rispetto ad un Jabbar sotto canestro perché parecchi centimetri più basso, o che per Stcokton, bianco e gracilino, sia stato più difficile imporsi rispetto ad un Isiah Thomas, nero, atletico e velocissimo.

Così come è irrilevante ai fini di questa rubrica che un Walton senza infortuni sarebbe rientrato tranquillamente fra i primi dieci giocatori della storia e forse anche fra i primi cinque.
E' irrilevante perché una classifica “oggettiva” non può prevedere “se” o “ma”.

La carriera di Bill il Rosso è stata costellata da infortuni e dobbiamo valutarla basandoci su questo dato di fatto inoppugnabile. Specie se consideriamo che anche gli infortuni possono essere considerati come una discriminante per la classifica. E di conseguenza, la capacità  (o la fortuna) di resistere agli stessi come una nota di merito.

E' bene soffermarsi anche su un altro aspetto.
Nella NBA ci sono almeno sei giocatori che possono essere indifferentemente considerati i più grandi di sempre.

In rigoroso orine cronologico sono Russell, Chamberlain, Jabbar, Bird, Magic e Jordan.
Non si scampa. Il migliore di sempre risiede fra questi nomi. Ognuno di loro, a seconda di chi stila la classifica, può essere insignito dell'appellativo del più grande.

Ora, scegliere fra l'uno o l'altro è già  difficile di per sé. Metterli addirittura in fila tutti e sei, è impresa disperata.

Qui, inutile nascondersi, intervengono fattori molto aleatori. La differenza a certi livelli è talmente minima che spesso ci si basa su cose che potrebbero essere considerate ininfluenti, per lo più su sensazioni soggettive, giuste o sbagliate che siano.

Per concludere questa serie di vane giustificazioni, affrontiamo quelli che forse sono i due problemi più grossi quando si va a stilare una classifica del genere.

Il primo riguarda le diverse epoche storiche in cui si trovano ad interagire i giocatori che vengono messi a confronto.

Non è un problema di facile soluzione perché è evidente come il basket di Mikan sia profondamente diverso da quello di Jordan. E come la diversità  fra i due contesti abbia influito notevolmente nella diversa evoluzione dei due players.

Il secondo problema, ancora più insolubile, riguarda il paragone fra giocatori di ruoli diversi.
Se, entro certi limiti, è possibile paragonare un Jordan ad un Magic e, con un sforzo, un Robertson ad un Elgin Baylor, diventa davvero arduo il paragone fra uno Stockton ed un Chamberlain.

Questi due problemi non sono stati per nulla risolti, com'è ovvio che sia.
Semplicemente sono stati affrontati con la consapevolezza che alla fine questa classifica è un gioco ed in quanto tale può lasciare il tempo che trova.

Suo fine non è decretare se sia meglio Hakeem o Shaq (anche se il problema verrà  affrontato), ma parlare, di settimana in settimana, dei più grandi campioni della storia della National Basketball Association, raccontarne le gesta, illustrarne la carriera, le vittorie, i record ed inevitabilmente anche le sconfitte.

Inizieremo dalla prossima settimana con la posizione numero 25. E poi a salire.
Ogni pezzo sarà  composto da una prima parte puramente narrativa ed una seconda in cui verrà  analizzata ed, entro certi limiti, motivata la posizione di classifica.

Non sarà  semplice. Così come non è stato semplice escludere alcuni nomi importanti, quali Cowens, Maravich, Monroe, Ewing, Drexler, Scottie Pippen. Tagli dolorosi, ma motivati dalla consapevolezza che 25 nomi sono pochi e che tutti coloro che rientrano in questa classifica, per un verso o per un altro, credo abbiano fatto meglio degli esclusi.

Bien. Tres Bien.
Ho finito con le giustificazioni.
Non mi resta che sperare di uscire almeno indenne da questo gran casino.
Insomma… io, speriamo che me la cavo.

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