Detroit pare già essere entrata in forma-playoffs…
"Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare"
Sarà poi vero che questo proverbio riassume al meglio la stagione fin qui altalenante dei Campioni NBA uscenti?
Certo, l'inizio della stagione dei Pistons è stato lento, povero di acuti e invece fin troppo ricco di pause, nel contesto di un gioco solo lontano parente di quello concreto e vincente con cui Detroit si era laureata campione NBA.
Allora aveva liquidato in cinque esaltanti partite i Lakers della combo più famosa e discussa, la Kobe-Shaq, di cui regista era un Maestro Zen ormai agli sgoccioli di pazienza e motivazioni.
Detroit ha collezionato sconfitte con quasi tutte le contenders accreditate, tra le quali spicca quella contro Indiana al Palace di Auburn Hills, lo scorso 19 novembre, che si è rivelata incredibilmente la classica "vittoria di Pirro" per i ragazzi di Carlisle, incapaci di mantenere il sangue freddo di fronte alle provocazioni dei tifosi di casa e protagonisti della rissa mediaticamente più seguita di sempre.
Quel grave episodio ha macchiato e stravolto la stagione piena di ambizioni dei Pacers, privandoli di Ron Artest per tutta la stagione e costringendoli ad inseguire la qualificazione ai playoffs, traguardo di partenza nelle aspettative di inizio stagione ; però la sconfitta con Indiana, dominato nella scorsa stagione ed eliminato in 6 partite nei playoffs, ha rischiato anche di far naufragare le speranze dei ragazzi di coach Larry Brown, mai tanto discusso e dato dai vari rumors sempre sul piede di partenza (diverse le destinazioni , Hollywood e la Grande Mela su tutte).
Stesso andamento nel mese di dicembre, quando i Pistons sono riusciti a mantenersi in linea di galleggiamento (poco più del 50% di vittorie con un record di 15-13) con le importanti vittorie a Dallas e in casa con Washington e New Jersey (all'overtime) e però le imbarazzanti prestazioni casalinghe contro Atlanta, Portland e Chicago, fonte di altrettante cocenti sconfitte, senza contare quelle, prevedibili e quindi più accettabili, patite ad opera di San Antonio in trasferta e Miami in casa.
All'ordine del giorno i litigi e le aspre discussioni tra Brown ed il GM Joe Dumars, centrate sull'atteggiamento scettico dell'anziano allenatore nei confronti del virgulto Darko Milicic, da lui visto come un errore valutativo dello stesso Dumars e a cui ha riservato, e neanche sempre, il solo "garbage time" e per cui ha invocato più volte, sempre inascoltato, la cessione.
Oltre a questo, i media, con neanche tanto velate accuse al santone newyorkese di incapacità a far giocare la squadra, privata di un prezioso Corliss Williamson ma dotata dell'esperto Antonio McDyess, come quella perfetta macchina da canestri che solo pochi mesi prima giocava "in the right way" : conseguenza? Brown, spazientito, pronto a ripetere una delle sue famose "fughe" (spesso ma non sempre motivate e inevitabili) e addirittura si è paventato un suo clamoroso abbandono della panchina dei campioni prima del termine della stagione.
Però"
Però il mese di gennaio ha visto ritornare in campo una squadra trasformata, molto più vicina a quella che si era laureata campione, quella scintillante dei titolari e dei dei gregari, tutti al posto giusto e al momento giusto ; insomma quella che gioca a memoria secondo i dettami di Larry Brown.
Il bilancio è stato di 11 vittorie e 5 sconfitte, e si è visto soprattutto un gioco migliore, più fluido, basato su certezze consolidate come il contropiede condotto da Billups, la versatilità di Tayshaun Prince, il dominio a rimbalzo del duo Wallace, il tiro di Hamilton, ma soprattutto sulla serenità e la voglia di stupire che erano state le armi principali dell'anno precedente.
Proprio in questo periodo, esattamente il 21 gennaio, Dumars ha ceduto il lungo Elden Campbell e duna futura prima scelta ad Utah, per arrivare al talentuosissimo playmaker portoricano Carlos Arrojo, per cambiare Billups senza nulla perdere in fatto di spinta, regia, difesa e punti.
Nel periodo che va dal 24 gennaio ad oggi, che febbraio sta cedendo il passo a marzo, Detroit ha vinto tutte le partite tranne una, persa alla Meadowlands Arena contro i Nets ; questo per un bilancio complessivo di 9 vittorie e 1 sconfitta nelle ultime dieci, un passo decisamente più consono ad una squadra campione.
Ed è proprio questa la domanda principale che gli addetti ai lavori si pongono : Detroit è da corsa anche quest'anno per il titolo? Insomma le scorie sono state eliminate dal meccanismo e i Pistons sono pronti per macinare di nuovo tutti gli avversari? E cosa ha causato la prima parte non certo entusiasmante di questa stagione?
Partendo proprio da quest'ultima domanda, potrebbe essersi trattato di una flessione forse inevitabile per un gruppo divenuto campione contro tutte le proprie aspettative, prime tra tutte le proprie.
Saggiamente il coach ha lasciato relativamente liberi i propri uomini di abituarsi al ruolo di lepre, di squadra cioè contro cui tutti danno il massimo per vincere e per sottrarle il titolo che detiene ; ha permesso loro di ricaricare le pile, motivandosi, acquisendo la voglia di ripetersi e la cattiveria agonistica necessaria per farlo ; ha ruotato abbondantemente la squadra, provando a vedere su chi, oltre i titolari, potrà contare quando l'atmosfera si farà torrida.
Non è questione di allenamenti atletici e nemmeno di lavoro tecnico o tattico, o quantomeno non solo di queste cose ; ci vuole soprattutto del tempo, magari qualche doccia fredda salutare e molta fiducia, oltre a sangue freddo e determinazione ; ingredienti che sembrano appartenere alla squadra che in questo fine febbraio si sta nuovamente imponendo all'attenzione di tutti, dopo aver lasciato i riflettori ad altre ottime squadre per tutto questo tempo.
Del resto è proprio ora che “viene il bello” nella NBA, quando i giochi si fanno duri, e pare proprio che i duri di Detroit siano davvero pronti a giocare e soprattutto a farlo nella maniera giusta.
La squadra detiene al momento il secondo miglior record 35-19)nella Eastern Conference, dopo quello di Miami ; la squadra che ha il terzo record, Boston, ha sei vittorie di meno e non pare in grado di impensierire Detroit, che guida inoltre la competitiva Central Division (dove hanno records positivi anche Cleveland, Chicago e Indiana) ; la defaillance di Indiana, che comunque centrerà i playoffs con molta fatica e con una testa di serie poco conveniente (forse quinta o sesta, ma più probabilmente settima o ottava) potrebbe rimettere davanti le due grandi avversarie già nel primo turno, ma i Pistons potrebbero contare sul vantaggio campo ; vantaggio che non avrebbe nell'eventuale scontro con Miami nella finale di Conference, come detto, da cui è separata da sette vittorie e che difficilmente (mai dire mai, però) potrà sopravanzare.
Contrariamente al solito, la situazione ad ovest appare abbastanza delineata, con San Antonio favoritissima per incontrare nelle sette partite della finale NBA la miglior squadra dell'est e così, se Detroit saprà mantenere le promesse che la vedono come la squadra più accreditata per giocarsi la finale, specie dopo questo ritorno di fiamma, assisteremo ad un'altra finale inedita e per questo di certo più interessante.