Quanti lunghi possono sprintare e fermare Ray Allen lanciato in contropiede?
Ultima partita casalinga della regular season 2004, Kevin Garnett va a sedersi alla fine del terzo quarto con i suoi T-Wolves in vantaggio su Utah 73-58; passano 2 minuti dell'ultima frazione, i Jazz hanno già recuperato sul 76-66. Saunders si gira e richiama la sua ala forte: Garnett si alza e raggiunge la sedia dei cambi con uno sguardo che è tutto un programma.
Il suo sguardo non è quello di Iverson che rimprovera il coach di averlo fatto sedere; non è nemmeno quello della superstar che vorrebbe esser lasciato in pace, almeno all'ultima partita. Il disgusto di Garnett è indirizzato ai suoi compagni che hanno giocato così male negli ultimi minuti.
Sono questi i particolari che raccontano il giocatore più dei numeri, del tutto fuori dal mondo ai quali, nostro malgrado, ci siamo abituati. E' possibile che quest'anno quello sguardo di disgusto sia comparso più spesso sul suo viso: la stagione dei Timberwolves finora è stata deludente. Non stiamo parlando però dell'atteggiamento di superiorità di Marbury. Stiamo parlando dell'obbligo, per sé e i compagni, di dare sempre il 100%.
Kevin Garnett è sulla stessa linea, dal 1999: più di 20 punti, quest'anno è primo nei rimbalzi con 14.5, e più di 5 assist (6). Ai numeri ci si abitua, come detto: recentemente Chad Ford ha "contestato" la sua ammissione nel primo quintetto della Western Conference per l'All Star Game, a favore di Nowitzky, con l'argomento che, mentre Dallas corre, Minnesota delude. Nemmeno Mark Cuban ci prova più.
"Kevin è il giocatore più competitivo che io abbia mai visto", dice Randy Wittman, assistente allenatore di Saunders. "Non ho mai visto - disse Sam Cassel alla prima settimana di traing camp della scorsa stagione - una stella che si allena come fa lui." "Non è un caso - continua oggi Wittman - se Cassell, proprio l'anno scorso, ha avuto la sua miglior stagione in assoluto." E non sarà certo colpa del Garnett se Cassell non si sta ripetendo.
Kevin McHale diventò general manager nel 1994; la sua prima necessità era quella di sollevare una franchigia giovane dopo le prime annate a 60 sconfitte. Decise di scegliere il liceale Garnett con la numero 5 e di affidarlo al "suo" allenatore di fiducia, Flip Saunders. "A essere sinceri - dice oggi il coach che partecipò attivamente alla sua scelta - eravamo indecisi perché non sapevamo come avrebbe gestito le mille distrazioni cui va incontro una star Nba. Era pur sempre un 18enne."
McHale e Saunders si resero subito conto di aver pescato qualcosa di speciale: nei mesi successivi vennero allontanati Christian Laettner, pariruolo che aveva già sviluppato la brutta abitudine di prenderlo in giro per l'età , e JR Rider, sul quale stendiamo un velo pietoso. Sam Mitchel e Terry Porter vennero presi proprio per "vigilare" sulla mentalità del ragazzo. "Dopo qualche mese - spiega McHale - Flip venne da me e mi disse: non ci crederai ma a volte mi sembra che il giocatore più maturo della squadra sia il 19enne."
In quel periodo Sam Mitchell prendeva sotto il braccio i giornalisti dello Star Tribune dicendo loro: "Prendi nota, fra 3 anni quello sarà il miglior giocatore del mondo." Di sicuro non ci è andato lontano. Garnett le ha superate tutte: l'addio di Marbury, che ha rallentato di molto il processo di crescita della squadra, le polemiche furiose montate alla firma del suo contratto di 121 milioni di dollari in 7 anni, la dolorosa perdita di Malik Sealy, la famigerata rivolta della birra, capitanata da Antony Peeler.
"Nessuno - dice coach Saunders - chiede di più a se stesso di Kevin; qualche volta capita che i nostri allenamenti siano più brevi se sono immersi in periodi in cui le partite sono tante. Spesso devo andare da lui e chiedergli di fermarsi; starebbe in campo dalla mattina alla sera."
Nulla ha cambiato l'atteggiamento umile de giocatore che, alla sua prima convocazione all'All Star Game da titolare, si scusò pubblicamente con Karl Malone che riteneva suo idolo.
"Non conosco nessuno - continua Saunders - con la sua lealtà e etica." Pochi giorni prima, nel corso di un colloquio con il coach, nel bel mezzo di un periodo di profonda crisi della squadra, Garnett aveva chiesto al coach di cosa avesse bisogno e gli aveva confermato la sua più completa disponibilità a fare qualsiasi cosa. "Segno che la sua determinazione - commenta Wittman - non si è smussata ora che Minnesota ha abbattuto il muro del primo turno dei playoffs."
Garnett è una mosca bianca in una Nba in cui negli ultimi anni i concetti di spirito di squadra, di dedizione e rispetto del gioco sono irrimediabilmente mutati; le stelle della lega spesso usano il loro potere contrattuale per "indirizzare" le scelte delle loro franchigie (Kobe), dimostrano 0 attaccamento alle squadre per cui giocano (Rasheed Wallace a Portland), dimostrano atteggiamento sprezzante nei confronti di simboli della lega (Payton a Boston) oppure confessano apertamente di essersela presa comoda (Carter e T-Mac).
Garnett fa parte di una lista brevissima di giocatori che, pur nella loro grandezza, fanno semplicemente quello che devono fare. Le belle storie si contano sulle dita di una mano: Grant Hill, Dwyane Wade. Giocatori discussi e controversi come Quintell Woods hanno grande mercato.
Se David Stern vuole davvero recuperare appeal e ripulire l'immagine della lega, irrimediabilmente compromessa dalla rissa di Detroit e dalle avvisaglie di un'ennesima serrata, basi la sua campagna, non certo sulla "crociata della cheer leader", da più parti auspicata. o sulle roboanti campagne di beneficenza pelosa che lasciano sempre un retrogusto amarognolo, ma sui pochi giocatori al di sopra di ogni sospetto.
"Quando mi ritirerò - dice spesso Shaquille O'Neal - la lega passerà un brutto periodo. Però per risollevarsi dovrà appoggiarsi su gente come Garnett, Duncan, James e Wade."
Appunto: Kevin è un punto di riferimento positivo da 10 anni. Una sola volta è andato sopra le righe con poche parole fuori luogo per rispondere alle provocazioni di Francisco Elson.
Per il resto Garnett promette d'essere un'immagine positiva ancora per molte stagioni.