L’urlo di McGrady

4 bombe in meno di un minuto di McGrady regalano la vittoria ai Rockets contro gli Spurs

L'argomento dell'ultima settimana nell' NBA è senza dubbio il clamoroso finale riservato dal derby texano tra i Rockets e gli Spurs.

Classica partita di stagione regolare, dove per tre quarti di gara entrambe le squadre mettono in evidenza tutti i loro difetti, nascondendo bene i loro pregi, i Rockets ci fanno vedere quanto per ora non sono una squadra, affidandosi a qualche lampo di McGrady e poco più, gli Spurs reduci da una partita da nemmeno 24 ore , giocano come loro consueto a strappi, mettendo in evidenza un po' di stanchezza, e poca lucidità  soprattutto da parte di Parker e Nesterovic.

Inizia il quarto periodo e gli Spurs lentamente cominciano a dettare la loro legge, per una volta grazie soprattutto alla precisione di Duncan dalla lunetta, la gara a quarantacinque secondi dalla fine, e di fatto conclusa, ma nessuno ha fatto i conti con il risveglio del dormiglione, al secolo Tracy McGrady, che spara 13 punti in quel che resta della gara, quattro bombe consecutive, una con un gioco da quattro punti, un'altra con un fallo grosso come una casa non fischiato, e l'ultima, quella della vittoria di fatto tirata con quattro uomini addosso, e alla fine anche un pezzo di ghiaccio come TMac, esplode in un urlo liberatorio davanti a tutti i nero argenti increduli e ad un Popovich che medita una spedizione punitiva a Yuma a spaccare pietre per i suoi ragazzi.

La vittoria contro gli Spurs di Houston evidenzia se ci fosse ancora bisogno, quanto siano indietro per ora i ragazzi di Van Gundy, reduci da un mese e mezzo di basket veramente brutto, dove oltretutto non si è visto nessun tipo di miglioramento, e dove gli unici due scossoni sono stati dati dai 48 punti di Tracy, in una gara comunque persa a Dallas ai supplementari, e nelle sopraccitata sfida contro i Rockets.

I problemi sono molti. Partiamo dall'eroe McGrady, lui ha scelto Houston come sua metà , i Rockets si sono legati a lui mani e piedi per molti anni, in mezzo però ci sono le idee cestistiche di Jeff Van Gundy, allenatore di sicuro talento, fermo però su posizioni troppo difensivistiche per poter gestire un McGrady che reclama almeno 20 tiri a sera. Van Gundy è già  finito tra i fischi del Toyota Center e i Media sono già  pronti a chiedere la sua testa. La dirigenza però la vede diversamente, ossia bisogna trovare un sistema di gioco che valorizzi quello di buono che c'è in questo gruppo di giocatori, il tutto ovviamente con Van Gundy.

Alla vigilia della gara con gli Spurs McGrady e Van Gundy hanno avuto un incontro tecnico in cui sono stati definiti alcuni importanti passaggi del futuro dei Rockets.

Oltre a TMac poi c'è da gestire un Yao Ming, in crescita di statistiche, ma anche alle prese con una preoccupante involuzione di gioco, o meglio più che involuzione, mancata crescita di gioco, cosa naturale per uno come lui dotato di un talento tecnico smisurato, inserito in un corpo che in teoria dovrebbe schiacciare chiunque.

Yao è troppo soft, e questo si sa da anni, ma da questo punto di vista non ha fatto nessun progresso dal suo ingresso nella lega, è poco incisivo a rimbalzo, dove manca totalmente di senso di posizione, prendendo alla fine solo quelli che la sua infinita altezza gli regala, ma il fattore forse più importante, come ha evidenziato recentemente Federico Buffa in una sua telecronaca, è la totale mancanza di un “suo” tiro, un 'arma sicura dove rifugiarsi e dove aggrapparsi quando ilo gioco si fa pesante, e questa alla fine è forse la vera differenza che c'è tra lui e i grandi centri della storia, nessuno gli chiede di mettere su un gancio alla Jabbar, o un fade away alla Olajuwon, oppure tutti quei movimenti che Shaq ha ad un metro dal canestro, ma visto che un bel tiro dalla media dolce c'è già  è il caso di lavorarci sopra da subito.

La verità  è che Yao è tornato distrutto dall'estate cinese, da li in poi si vive alla giornata e programmare una serie di allenamenti specifici di fronte al calendario NBA e a tale stanchezza è una cosa improponibile,e dunque ogni tipo di lavoro su di lui sarà  programmato per la prossima estate.

Ma la sfida tra Rockets e Spurs ha posto anche un'altro argomento alla vista di tutti, ossia il totale mancato inserimento, di Brent Barry, in un sistema di gioco tutto particolare come quello di San Antonio. Barry era stato definito come il vero colpo “gobbo” dell'estate, e suona veramente strano che un professionista serio come lui non sia riuscito minimamente a farsi largo in un reparto dove in teoria avrebbe avuto a sua disposizione una marea di minuti, come cambio di Parker, ma anche come sostituto sia di Manu Ginobili che di Bruce Bowen.

Alla fine invece i suoi minuti se li sono mangiati il solito Devin Brown e il sorprendente Beno Udrih. Al punto che a Barry rimane da giocare il garbage time e poco altro, il tutto in un momento in cui gli Spurs stanno giocando il loro basket più convincente di ogni inizio stagione da quando c'è Duncan. Ovviamente c'è voluto poco ad associare questa situazione con la volontà  di RC Buford e di Popovich di sondare il mercato per magari ricavarci qualcosa in cambio di un giocatore che comunque si era dimostrato molto disponibile verso la società , con la consapevolezza che uno come Brent il suo mercato nell' NBA lo fa di sicuro.

Alla porta avrebbero già  bussato alcuni GM, primo su tutti il solito Ainge a cui San Antonio lo soffiò in estate, ma anche gli stessi Rockets in cerca di un giocatore in grado almeno di coprire decentemente il clamoroso buco nel ruolo di playmaker. Ovviamente come sempre succede a San Antonio davanti a queste situazioni prepariamoci ad un'esplosione di Barry in maglia nero argento nei prossimi mesi.

Se c'è un giocatore che ammiro alla morte nell' NBA di oggi, è Ray Allen. Dirlo adesso in un momento in cui la sua squadra è al top della lega potrebbe sembrare molto banale e scontato, la verità  è che Allen è innanzitutto una grande persona, a cui il signore ha regalato delle mani fatate che lui sfrutta al 100% delle sue possibilità  e questo in un mondo dove la cultura dell'Hip Pop la fa da padrone, con tutto quello che ne consegue, basterebbe e avanzerebbe. Questo però non è bastato ad Allen a garantirsi una carriera tranquilla, perlomeno senza essere messo in discussione come persona, infatti dopo aver regalato per anni grande basket ai Bucks, arrivando ad un tiro da una finale NBA, la follia di quel genio cestistico di George Karl lo ha prima fatto passare al ruolo di leader assoluto dei Bucks, per poi cederlo dopo pochi mesi proprio per una presunta mancanza di leadership.

Allen a differenza di molti altri, non ha battuto ciglio, e nel primo mese a Seattle dopo un trasferimento che avrebbe distrutto chiunque, regalava basket delizioso ai suoi nuovi tifosi, sfiorando in più di un'occasione la tripla doppia ma soprattutto tenendo la speranza di playoff per Seattle accesa fino ad aprile.

Lo scorso anno ha iniziato la stagione da infortunato, due lunghi mesi di assenza, poi un ritorno dove ovviamente ha avuto bisogno di rodaggio, quando lui era pronto, Seattle era di fatto già  fuori da giochi, ma questo non è bastato a farlo demordere. La nuova stagione per lui è iniziata in maniera inconsueta, ossia nel mezzo a qualche polemica per il mancato rinnovo del suo contratto entro il 31 di ottobre data in cui le parti (Seattle e il suo agente) erano su posizioni molto distanti.

Tutti avrebbero scommesso su una stagione in chiaro scuro di Ray, tanto più che i Sonics in teoria non avevano nulla da chiedere a questa stagione, almeno a detta degli altri. La realtà  invece è davanti agli occhi di tutti, Allen è con ogni probabilità  con LeBron James la miglior guardia di questo scorcio di stagione, la sua positività  ha contagiato tutto l'ambiente che ha tirato fuori un'insperata serie di vittorie, che magari non porteranno l'anello nella città  della pioggia, ma una relativa tranquillità  di andare ai playoff, a meno di una seconda parte di stagione disastrosa c'è, e non pensate che il rendimento di Allen sia come spesso è successo, una sorta di provocazione per il mancato rinnovo del contratto, perché avete sbagliato persona.

Al contratto ci si penserà  in estate, e se i Sonics vorranno trattenerlo con ogni probabilità  saranno loro a doversi avvicinare alle posizioni autunnali di lui e del suo agente, sempre che Allen poi non decida di andare altrove e state tranquilli che allora si scatenerebbe una “riffa” incredibile per accaparrarsi la sua uscita dai blocchi.

Il primo mese di NBA è ormai archiviato. Classico mese di novembre, con poca difesa, tanta voglia di fare, e tante belle gare venute fuori, magari non bellissime dal punto di vista strettamente tecnico, ma piacevoli da vedere. L' NBA ogni mese premia i propri eroi,ed è proprio da queste premiazioni che iniziamo a rivivere il primo mese di stagione regolare.

Il personaggio del mese dell' NBA intera, si chiama LeBron James, eletto giocatore del mese per la Eastern Conference, ha trascinato i suoi Cavs ad uno dei migliori record dell'est, con una squadra che per il resto assomiglia molto ad una da lotteria. Inutile tentare di rinchiudere in poche righe quello che rappresenta per l' NBA di oggi James (gli dedicheremo il prossimo numero di questa rubrica), ma in sintesi c'è una parola di tre lettere tanta amata negli States che sintetizza bene il tutto, ossia MVP. Con ogni probabilità  James già  ad oggi è il giocatore più forte del mondo, con buona pace degli altri pretendenti, ma anche se non lo fosse andrebbe benissimo lo stesso.

I suoi Cavs sono un squadra strana, divenuta molto solida, che si avvale di un centro magari non eccellente in tutto, ma che almeno in attacco fa la sua grande figura come Ilkausgas, una serie di play guardie che hanno il compito di innescare James, che poi spesso si innesca da solo, e poco più, e quello che potrebbe essere il giocatore chiave della franchigia (LeBron escluso ovviamente) ossia Drew Gooden, che un giorno ti sfodera una prestazione alla Karl Malone, e la sera doppia attenta al trilione. Alla fine i numeri di Gooden non sono molto distanti da quelli di Carlos Boozer, ma è soprattutto il suo approccio alle gare che preoccupa, spesso sbaglia perfino i giochi chiamati per lui, però è indubbio che il vichingo di talento ne avrebbe da vendere, probabilmente anche più dello stesso Boozer, Drew è il classico giocatore in attesa di capire come giocare, però gli anni passano, e l'opportunità  di giocare a fianco del prescelto è di quelle che non si possono sbagliare.

Se l'eroe dell'est è stato LeBron, per quanto riguarda la Western Conference la lega ha premiato Steve Nash, autentico trascinatore degli splendidi Suns di novembre, e su Nash a questo punto devo fare un mea culpa, infatti io da anni ho sostenuto che Nash era un giocatore molto sopravvalutato, le cui statistiche erano esaltate dal gioco molto veloce dei Mavs, poi invece arriva ai Suns, dove ci trova un allenatore con un credo cestistico che si adatta molto a lui, e riesce a far decollare anche i Suns. I Suns sono la grande sorpresa dell'inizio stagione, ad oggi siamo tutti concordi a dire che con il tempo si sgonfieranno, ma intanto continuano a macinare vittorie che ad aprile poi contano eccome, e alla fine qualche squadra di grande livello rimarrà  sicuramente scottata dagli inizi sfolgoranti dei Suns e dei Sonics, al punto di non qualificarsi ai playoff (ad oggi Memphis e i Lakers non sembrano avere molte certezze da questo punto di vista).

I Suns di Nash D'Antoni corrono da matti, il coach ex trevigiano milanese, ha varato un quintetto leggerissimo con Stoudemire centro e Marion ala grande, che a molti sembra una mezza bestemmia ma che alla fine produce quasi 50 punti e 20 rimbalzi a sera, il tutto nella Western Conference, segno che a volte la grinta e l'atletismo può sopperire alla mancanza di centimetri sottocanestro, fatto diventare da tutti un problema ormai cronico nell' NBA, al punto di andare a cercare sconosciuti europei che hanno il loro unico merito nell'essere alti 7 piedi.

Il vero problema dei Suns è però la panchina, dove di fatto c'è poco o nulla, fino a che non ci sono cali di forma o infortuni, tutto può andare bene, poi si vedrà  come lo stesso D'Antoni ha affermato. Il vero colpo di mercato dei Suns paradossalmente potrebbe essere stato quello di non cedere Marion (tentazione a cui i ben informati dicono potrebbe non durare a lungo), proposto in estate un po' a tutti, ma che alla fine è rimasto, i suoi numeri ma soprattutto l'integrazione con Amare ne hanno fatto la coppia di lunghi (atipica quanto si vuole) più forte della lega.

Passiamo ai premi per i due rookie del mese, scontata ad ovest la premiazione per Devin Harris di Dallas, vuoi perché Harris ha giocato benino, vuoi perché ha avuto molto spazio, ma anche perché ad ovest di rookie già  pronti ce ne sono pochini, e se quello che poteva essere il candidato naturale ossia Shaun Livingston si infortuna ecco che il premio ad Harris potrebbe diventare una costante nei prossimi mesi. Ad est è stato premiato Emeka Okafor, lasciando molto amaro in bocca alla primissima scelta Dwight Howard, ragazzo già  prontissimo. e sicuramente non atteso a questi livelli, soprattutto non atteso nei primi cinque della lega intera a rimbalzo.

Se serviva un'altra mazzata dopo Amare Stoudemire al trio di liceali scelti nel 2001 Curry Chandler Kwane ecco servita l'ultima portata, e così dopo Stoudemire, Lebron e Dwight, ogni tipo di pregiudizio verso i liceali in sede di draft è caduto. Il tutto in attesa di altri personaggi per ora in rodaggio, ma che già  in questo mese hanno dimostrato il loro potenziale come Al Jefferson, Livingston, e i due Smith, Josh di Atlanta e JR di New Orleans tutti ragazzi che già  in questa stagione faranno parlare molto di se. Okafor però per essere un rookie ha messo insieme numeri di tutto rispetto, un basket molto deciso, poi per le vittorie di Charlotte ne riparleremo in futuro.

La vera nidiata però è a Chicago dove ad un gruppo già  giovanissimo, sono stati aggiunti addirittura altri quattro esordienti, Ben Gordon fresco campione NCAA ad Connecticut, tiratore infallibile, al momento quello più in difficoltà  soprattutto per un ruolo ancora da definire, ma di sicuro un ragazzo che nell' NBA ci rimarrà  a lungo e non a guardare dalla panchina, il più pronto è sembrato da subito Loul Deng ex Duke, ala piccola molto fisica molto presente a rimbalzo, con un tiro dalla media ancora tutto da sviluppare che però potrebbe diventare con ogni probabilità  la prima opzione offensiva dei Bulls in breve termine, il tutto a meno di venti anni. Poi c'è Chris Duhon, altro ex Duke, ma chi si stupisce di un Duhon a questi livelli, ormai stabilmente in quintetto, con ogni probabilità  ha visto poco college basket negli ultimi anni, Duhon è stato il protagonista nascosto del titolo del 2001, se usciva nel 2002, con ogni probabilità  sarebbe andato nei primi dieci, lui invece andando controtendenza volendo finire il classico quadriennio di studi, poi al draft è stato molto trascurato, di fatto solo i Celtics ci volevano spendere una prima scelta, poi è finito al secondo giro dove i Bulls lo hanno scelto senza nemmeno tanta convinzione, come dimostra in seguito l'arrivo di Frank Williams da NY, nello scambio Crawford.

Ma poi quando dalle parole si passa la basket giocato, a Duhon sono bastati pochi minuti per dimostrare a tutti che nell' NBA il suo ruolo lo farà  a lungo. Il quarto della lista è un fresco campione olimpico Andres Nocioni, partito con le marce alte, grandissimi numeri nelle prime gare, e poi un netto calo, forse per lui il rookie Wall è arrivato anzitempo.

Finiamo con i coach di novembre, per l'est è stato premiato John Davis coach dei Magic, coach anonimo se ce ne era uno, che però indubbiamente ha fatto un gran lavoro, visto dove ha portato una squadra nuova per 10/12 in poco meno di due mesi di lavoro. Ad ovest premiato coach Nate McMillian oscuro artefice della grande partenza dei Sonics, il cui segreto è con ogni probabilità  il più grande misteri di questo inizio di stagione.

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