In Arizona splende il sole

Non sarà  un centro, ma provate voi a fermare Amare Stoudemire a rimbalzo d'attacco

Come cambiano le cose in soli dodici mesi"
Già , proprio un annetto fa di questi tempi, i Phoenix Suns non navigavano in acque troppo tranquille.

La squadra sembrava, per dirla tutta, quasi diretta verso uno sfascio economico e tecnico. La famiglia Colangelo, storica proprietaria della franchigia dell'Arizona, una di quelle che nel gergo italico definiremmo "isole felici", ha dovuto affrontare nel corso del 2004 il suo annus orribilis, fatto di scambi al limite del comprensibile, di una gran parte della regular season giocata con una squadra ben oltre il limite dello sperimentale, della morte se non proprio improvvisa, quanto meno dolorosa, di una leggenda come Cotton Fitzsimmons, di casse che sembravano palesemente chiuse o in procinto di chiudere e di un allenatore che da questa parte dell'Oceano gode di stima infinita ed imperitura, ma che nel nuovo continente sembrava essere poco più che un traghettatore verso lidi misconosciuti.

Sì, nel 2004 i Phoenix Suns sembravano essere rimasti con un pugno di mosche in mano, un bel passato e un destino nel quale la sola mascotte avrebbe rappresentato un elemento di spicco.

Eppure proprio nella fase finale di questa travagliata stagione, la squadra guidata dal succitato allenatore ha dato segni di risveglio. Il tecnico, già  giocatore dei Kansas City Royals, ha seguito il detto che spiega di come gli allenatori non debbano sempre lavorare per avere i giocatori migliori, ma si è adattato al materiale umano in proprio possesso.

Ha cominciato a dare una filosofia netta alla pallacanestro praticata dal proprio gruppo e così le sconfitte sono arrivate, tante e sonore, ma l'impianto di gioco sul quale si è cominciato a lavorare ha dato da subito qualche segno di vita e la gente non ha abbandonato i propri colori.

In estate il lavoro è continuato.

Abbandonata la pista che avrebbe portato a Kobe Bryant i Suns hanno pescato dal mercato il meglio che il momento e le opportunità  ha permesso loro di firmare e dimenticata la ricerca di un centro di valore hanno puntato su Quentin Richardson, uomo da tanti punti proveniente dai Clippers e sul cavallo di ritorno Steve Nash reduce dalla pessima esperienza dei play-off 2004 con i colori di Dallas.

Soprattutto la dirigenza dei Suns ha compiuto la scelta coraggiosa di dar credito all'allenatore di cui sopra, che, lo avranno capito anche i sassi, altri non è che Mike "Arsenio Lupin" D'Antoni.

Ed in questo pazzo inizio di stagione, dove la squadra con il miglior record è la bistrattata Seattle di Ray Allen e dove solamente gli Spurs, fra le grandi favorite all'anello, sembrano essersi già  messi di buzzo buono al lavoro, i Suns stanno rappresentando una delle note più liete dell'intero panorama NBA.

Come hanno fatto?
Come sempre la risposta è più semplice del previsto. I soli si sono adeguati al vento che soffia nella lega e hanno fatto buon viso a cattivo gioco in ogni situazione.

Primo punto: il gioco.
Dopo le batoste estive, tutto il mondo sembra avere scoperto che nella NBA di inizio regular season non si difende alla morte e che il talento con 30 squadre è più spalmato di quanto fosse vent'anni fa.

Benissimo, Phoenix gioca una pallacanestro assolutamente divertente e d'attacco. Difende forte sui venti metri, cerca a tutti i costi di evitare le situazioni di classica difesa schierata, dove manca di chilogrammi, centimetri ed attitudine e appena può scatta in contropiede.
Si ritrova così ad essere la prima franchigia della lega per punti segnati e la quarta per miglior percentuale dal campo, con un bilancio di 8 vinte e 2 perse.

Punto secondo il quintetto.
Grazie alla politica estiva, la squadra di D'Antoni sembra una riedizione della storica "banda bassotti" allestita da Dan Peterson, nella quale il ruolo di leader del gioco e della squadra, è stato subito occupato proprio da Steve Nash.

Il canadese, uomo e giocatore anticonformista se ve n'è uno, è costato la sciocchezza di 65 milioni di dollari in contratto, ma ha portato la sua filosofia di pallacanestro sin dal primo allenamento.
Nash, spinge, corre, non si risparmia ma sa anche ragionare come pochi altri nella lega e questo lo fa diventare uno dei massimi pretendenti al titolo di miglior assistman in circolazione (18 nell'ultima sfida contro i Clippers), soprattutto quando gioca il basket che gli si confà .

Primo beneficiato dell'operazioni "run 'n shoot" è stato proprio uno dei giocatori più criticati nei mesi appena trascorsi: Amare Stoudemire. Il numero 32 lo scorso anno, ha giocato una buona stagione, ma per certi versi è sembrato perdersi nella confusione creatasi in Arizona.

La trasferta ateniese non ha proprio giovato a quello che Shaquille O'Neal ha definito semplicemente "il futuro"; scarso impegno, poca dimestichezza con le regole, minutaggio limitato, uno sguardo da tigre in gabbia che poco si avvicinava alla maestose prove di forza proposte durante l'anno da rookie nella NBA.

Tutto questo però sembra essere scomparso (verrebbe da dire come neve al sole, ma sarebbe proprio troppo) con il camp 2004/05 dei Suns.
In questa stagione infatti, D'Antoni ha piazzato senza colpo ferire il giovane Amare nello spot di centro. Un centro atipico è vero, ma visto lo strapotere fisico del quale sembra essere capace l'ex liceale e la contemporanea mancanza di centri veri in almeno la metà  delle rivali, il passaggio non ha creato grossi traumi, anzi.

Grazie ad un gioco veloce e dinamico, le cifre di Stoudemire sono tornate a salire: 27.6 punti a partita, quasi 9 rimbalzi a sera, 2 stoppate e sole 2 palle perse di media. Sono queste delle cifre di un giocatore che sembra avere ripreso la strada buona per la grandezza.

E a proposito di buone strade, un po' tutta la squadra sembra voler oggi assecondare il piano del proprio coach: così Shawn Marion, ha abbandonato il ruolo di swingman per fare l'ala grande e si ritrova ad essere il sesto miglior rimbalzista della lega; così Joe Johnson ha dimenticato i dualismi con Penny Hardaway e sta trovando il proprio ruolo di solida guardia tiratrice con 16 punti di media per serata.

Basterebbe già  questo per fare dei Suns una sicura vincente nella inesistente categoria della squadra più migliorata, ma non è finita.

A quanto detto sopra bisogna aggiungere almeno tre tasselli: l'umiltà  (?!?) di Quentin Richardson che dopo i numeri di L.A. ,sponda Sterling, è arrivato a Phoenix per guadagnare certo di più, ma si è anche adattato a giocare e segnare molto più per la squadra, offrendo anche brandelli di difesa più che accettabili.

La costanza di Casey Jacobsen, uno dei carneadi della vecchia edizione dei soli e che oggi occupa con la solita professionalità  il ruolo di cecchino di situazione.

L'acquisto (o meglio la ri-firma) infine di un veterano come Bo Outlaw che dopo avere giocato a Memphis è tornato a dare un contributo in termini di spallate, gomiti e sudore al reparto lunghi di viola. Una scelta intelligente, in mancanza di centri la dirigenza ha scelto quanto meno di affidarsi per manciate di minuti ad un atleta che in fondo, di lavoro sotto le plance, ha sempre vissuto.

Con tanta carne al fuoco, ogni sogno sembra essere possibile per i tifosi dell'Arizona. Dopo una pre-season da 7 vinte ed una sola persa (contro i Lakers), e una prima parte d'annata da 8 vinte e 2 perse, per i Suns sarà  fondamentale cercare di continuare su questo trend e non snaturare la propria filosofia alle prime difficoltà .

Il vero banco di prova per questo gruppo arriverà  poi solo a gennaio, quando in 30 giorni, la squadra giocherà  17 partite, delle quali solamente 6 sul proprio terreno. Sarà  uscendo da questo tour de force, che i tifosi e i tecnici potranno avere la prova dell'attendibilità  delle speranze di una lunga stagione vincente.

Già  oggi però si intuisce che D'Antoni non è solo quel vice prestato al ruolo di head coach che molti credevano e che la squadra passando attraverso tante difficoltà  non ha fatto altro che intraprendere un tirocinio che ne ha rafforzato rapporti e meccanismi.

Infine non manca un po' di orgoglio tricolore nell'elogiare il lavoro di un ex atleta che ha letteralmente insegnato il gioco per tanti anni su parquet distanti una manciata di chilometri dalle rispettive case. Quel che poi verrà  sarà  tutto da seguire.

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