Coach Brown dall'altra parte del gioco…
Scenario ideale, come al solito. C'è chi dice che quando indichi la luna, trovi sempre qualcuno che guarda il dito: a volte sembra non esserci niente di più vero. Nelle avventure del Barone di Munchausen c'è la metà delle trovate che il mercato NBA continua a sfornare in questa pazza estate; tutti con gli occhi puntati, sgranati sulle maglie che cambiano colore, al contrario dei biglietti con i presidenti spirati, sempre verdi come aghi di pino.
Scenario ideale, come sempre. C'è sempre qualcosa che in quel momento attira di più, quando Larry Brown fa notizia. E il bello è che la fa sempre e comunque, sottovoce però; tra le righe.
Ha guidato bande di mezz'uomini a battagliare contro i più forti del loro decennio, di gialloviola vestiti, per ben due volte, e mentre tutti si perdevano nel mondo del gossip da spogliatoio, lui perdeva prima e vinceva poi, realizzando due imprese storiche.
Anche questa volta sembra tutto disegnato per lui. L'attenzione è su Tim, Allen, Melo e LeBron; sui 23 anni di media di una squadra troppo tutto: giovane, inesperta, atletica e comunque dominante, talmente forte da essere se stessa l'unico vero ostacolo. Solo lui può compiere l'impresa che impresa non dovrebbe essere e solo lui, Larry Brown, riuscirà - sembra diventato più insolito che regola - a portarla a termine con l'oro, e non il cappio, intorno al collo.
Larry rispetta da sempre questo gioco come pochi altri, potremmo dire che Larry è the Game e lo rappresenta al meglio, nella sua versione più concreta e razionalmente affascinante. Pochi, come lui nella storia: un manipolo di artisti della disciplina, della sostanza più che della forma, della difesa e della squadra davanti alle doti atletiche del singolo. Larry Brown è il meglio a cui il Team USA potesse aspirare per portarsi a casa quel trofeo che ogni volta gli sembra spettare di diritto e che ci diverte un sacco quando invece non lo fa.
""Rispetto per il gioco, rispetto per il gioco, è tutto nella mente, Larry, rispetto per il gioco""
Le parole di coach Smith riecheggiano nella testa di Mr Brown - anni 63 di cui 31 con in mano la bacchetta del direttore d'orchestra - e vivono in lui almeno una volta al giorno. Se va bene. A conti fatti di gente così, questo sport che ci fa venire i brividi, ne ha vista poca.
Numeri, gente! Ventisette stagioni con un record vincente tra pro e college (19 su 22 nella sola NBA), 60 per cento di vittorie in carriera, settimo posto tra i coach più vincenti di sempre, unico statunitense ad aver vinto sia una medaglia d'oro da giocatore (1964) che in panchina (2000), 7 volte oltre 50 vittorie in stagione regolare, un titolo NBA con i Pistons quest'anno, due finali raggiunte, 6 differenti squadre portate ai playoff, quattro stagioni in ABA con tre trofei di coach of the year, due titoli NCAA con UCLA e Kansas, record di 23 assist in una singola partita ed MVP dell'All Star Game 1968, sempre in ABA. Rigoroso ordine sparso per lasciarvi liberi sull'immensità di questo piccolo uomo. Qualche omissione, sicura.
Larry Brown ha spesso predicato contro i muri: Clippers, Sixers, Nets e Pacers gli devono apparizioni alla post season che nessuno si sarebbe mai aspettato prima. Miracoli in do minore. Tacciato per decenni di essere semplicemente un grande allenatore con la valigia, la verità dei risultati ci restituisce un personaggio che entra in azione solo dove c'è tanto da insegnare e che non trova gli stimoli quando la teoria non è indispensabile.
Al contrario del suo mentore Dean Smith, vissuto nella medesima realtà per 35 anni consecutivi, Larry Brown colleziona scontrini di ristoranti di mezza America: se unite i puntini sulla cartina degli U.S. dall'uno al ventisei, il disegno che vedrete è quello di un allenatore che si sente a casa solo in mezzo a giovani star planetarie bisognose di consolidare (conoscere?) le regole del gioco.
Rubrica del "dicono di lui". "Ti accorgi di quanto qualcuno è bravo soltanto quando l'hai perso". Allen Iverson - stimolo e diavolo se ne ha avuto uno in mezza vita. "E' un duro. Ti sta addosso. Con coach Brown tutto deve essere come disegnato sui libri: perfetto. Ma ti tira fuori il meglio". Carmelo Anthony – star della brigata a stelle e strisce che in queste ore sta atterrando sul monte Olimpo.
Parole d'ordine di una carriera che sembra sempre solo all'inizio sono Difesa, Tenacia, Impegno, Sudore e Sacrificio, da sempre e per sempre. Anche questo Team USA puzza di Larry Brown: la sconfitta con gli azzurri è stata la migliore delle lezioni possibili e coach lo sa. Ecco perché sono molto più favoriti ora che se avessero vinto di trenta tutte le sei partite di allenamento: per 40 minuti è mancato il rispetto per il gioco, quel sapore particolare che non può mancare mai e che se manca significa stare seduti a guardare gli altri giocare.
Chapeau davanti a quest'uomo dagli occhiali tondi e lo sguardo attento: che gli dei del basket gli restituiscano lo stesso grazie che da anni lui gli omaggia.
"You can't stop the Hustle"
Andrea De Beni