Kevin Garnett: meritatissimo il suo MVP
Se Kevin Garnett è stato nominato MVP della stagione 2003-2004 è già la stessa etimologia a giustificare il riconoscimento in questione, che per l'appunto allude al Most Valuable Player, giocatore più "di valore", "prezioso" in senso lato, della NBA odierna.
Valore, quello di Garnett, non sconosciuto alla Lega da diversi anni, forse addirittura dalla stagione dell'esordio, con numeri discreti ma non eccellenti ed un'inclusione, se non altro prestigiosa, nel secondo quintetto delle matricole.
Ora, dopo un decennio scarso di NBA sulla schiena, è precisamente il giocatore che vale di più.
In senso numerico prima di tutto; miglior rimbalzista dell'annata e miglior marcatore in fatto di punti complessivi, che per sole tredici lunghezze non sono stati duemila ma comunque inarrivabili per qualsiasi altro singolo giocatore in questo campionato.MVP, tra l'altro, di un All Star Game che era già il settimo della sua densa ed intensa carriera, nella quale ora può vantare pure un primo turno di playoff superato, e se una finale di Conference perduta senza Cassell contro i Los Angeles Lakers non è abbastanza per fugare la nomea di "perdente" o "non vincente", di argomentazioni ce ne sono ancora a bizzeffe.
Primo in NBA per tiri tentati, canestri realizzati, ed una speciale classifica che forse come nessun'altra rispecchia la reale valenza del giocatore per la propria squadra:l'efficienza numerica che spiega poi il reale motivo per effetto del quale, congetture a parte, tra la rivelazione Hassell ed il bizzoso Szczerbiak (come noto, non graditissimo a KG) il divario non sia tantissimo, nel momento in cui è Garnett a rappresentare il fulcro del team.
E se la gara 3 di finale ha visto i Lakers soccombere ad Auburn Hills con un estraneo o, a seconda delle versioni, non considerato Kobe Bryant, va riconosciuto ad onor di realtà come un episodio del genere non sia mai avvenuto, in assoluto, nella Minnesota negli ultimi anni ed in particolare al leader indiscusso del team.Sia perché per il tipo di gioco di Minnie è impensabile non coinvolgere in prima persona il numero 21, sia perché l'atipico lungo pure in caso di sconfitta ha fatto il possibile, vedasi pure anche la serie contro i Lakers.
Atipico, si diceva: dati movenze e palleggio può giocare, in potenza, in tre-quattro ruoli e dominare in ciascuno di essi, quanto meno per atletismo.
Tra le cose non sempre agli occhi di tutti spiccano senza dubbio gli impressionanti balzi del giovane, che dal suo arrivo in NBA è pure cresciuto in statura e corporatura. Ultima eventuale difesa per Garnett sia poi il miglior record dei Wolves nella loro storia, di cui KG è parte integrante con appena 11 gare saltate in carriera.
A conti fatti dunque Garnett è il più pregiato pezzo nella logica del mercato in termini cestistici, e forse la sola degna contropartita tecnica per il giovane potrebbe essere il presunto e probabile rivale Tim Duncan, che per questa stagione, causa acciacchi, ha lasciato il trofeo in mano al collega di reparto in maglia 21.
Il più costoso poi, resta sempre lui: The Big Ticket non per caso, può tranquillamente accollarsi il merito di aver inaugurato il fortunatissimo trend dei giocatori eleggibili al draft al termine della high school, per ciò è pure "The Revolution", anche perché degno rappresentante dell'eclettica evoluzione tecnico-fisica dell'attuale generazione di cestisti, anche se nell'epoca delle ali forti che si trasformano in centri la sua adattabilità al ruolo di ala piccola è sinceramente impressionante, e KG va decisamente controcorrente.
Logico poi che all'anulare si senta ancora la mancanza di qualcosa, specialmente ora che i riconoscimenti individuali sono arrivati e la Finale assoluta è stata ad un passo, con il miraggio di una qualunque squadretta dell'Est da asfaltare.
Ma non si pensi a questo come ad un premio alla carriera che possa supplire all'assenza di un anello:Garnett è rimasto profondamente deluso, ed al contempo motivato ed incattivito, dalla bruciante eliminazione ad opera di L.A., e non è certo sua intenzione ripercorrere le orme di un Barkley, di uno Stockton o di un Malone che proprio in questi giorni sta vedendo sfumare alcune delle sue chance di conquistare il tanto agognato titolo.
Al contrario; di premi assegnati con un simile criterio non se ne vedono davvero più, e probabilmente l'ultima occasione ha visto protagonista un Jordan alle soglie del penultimo ritiro, oscurato da un esuberante Bryant nel contesto di un epocale All Star Game.
Garnett avrà di certo modo di rifarsi, e come al solito gran parte della vittoria finale dipenderà dal modo di spiccare nella Western, nella quale ogni posizione nella griglia ha una diversa sfumatura.
Spreewell e Cassell sono poi stati due ottimi compagni di avventure per il nostro, che non si trovava in una situazione analoga dai tempi dell'euforia per Gugliotta-Marbury-Garnett, una Big Three in grado di spaccare il mondo, anche se poi le cose si sono sviluppate diversamente.
Emblematico, però, l'adattamento di una star di punta come Kevin alla convivenza con altri due fuoriclasse dalle notevoli ambizioni personali, senza che nessuno di essi sentisse un pesanto nelle statistiche e sorprendentemente incrementando le proprie, che hanno raggiunto i massimi storici.
Anzi, forse era più difficile quando erano solo due gli indiscussi All Star del roster, ed il secondo era il già citato Szczerbiak, sacrificato di lusso nel nuovo sistema - Saunders e sempre memorabile per la celebre scazzottata con KG. E per noi italiani è stato probabilmente il secondo grande neo di un personaggio al limite del perfetto, naturalmente irraggiungibili restano i picchi di squallore fatti registrare nella visita in riviera da parte del campione e l'annessa crew.
Ad ogni modo, tornando a ciò che egli rappresenta per la propria franchigia, singolare è il massimo personale di punti segnati in una sera: appena 40. Il che sta a significare che, rapportato ad un Iverson che in regular va di norma in doppia cifra di quarantelli, Garnett è senza dubbio una garanzia per affidabilità e costanza.
A testimonianza del bizzarro fenomeno, le eloquenti cifre, in riferimento a questi suoi 9 anni, segnalano 20 punti di media e 10, 8 rimbalzi a partita, pure con 4, 4 assist (dato importane per un'ala forte) e 1, 78 stoppate, tenendo presente che KG è diventato quello che è solo dal '96-'97, con un minutaggio finalmente elevato e promettenti scores a referto. Dal campo, poi c'è un 48%"non c'è la pretesa di esaltare Kg oltre misura e più di quanto sia già stato fatto, l'encomio sopraggiunge autonomo, al cospetto di cotali ed indiscutibili meriti.
Non sarà neppure dovuto alla sorte il fatto che già nel '95 la collezione della Upper-deck lo includesse nella categoria dei "rookie-phenom" assieme a gente del calibro di O'Bannon o Gary Trent, rispetto ai quali qualche margine di miglioramento non era inizialmente così evidente.
E neppure che, a contrapporsi all'emblematico Tim Duncan in copertina, l'ultimo NBA Live del secondo millennio affidasse la presentazione del gioco proprio al ragazzo della Farragut Academy, che sul braccio reca scritto "blood,sweat and tears" e che al termine del filmato nascondeva tra i calzoncini un magico cristallo dei miracoli.
Il segno palese che, se qualcosa era cambiato o era in procinto di farlo, parte del merito apparteneva anche a Kevin Garnett. The Revolution.