Vince Carter: è ancora lui il più votato dai tifosi
L'ultima volta che l'All Star Game si disputò a Los Angeles fu nel 1983. Nel mitico Great Western Forum, finì 132-123 per l'Est, trascinato alla vittoria dall'Mvp Julius Erving. La parata delle stelle della Nba torna quindi dopo 21 anni ad El Pueblo de Nuestra Seà±ora la Reina de Los Angeles de Porciuncula, fondata nel 1781 dall'allora Governatore della California, Don Felipe de Neve.
Denominazione pomposa per una città , che tuttavia sorprende meno se si pensa che la regina era ovviamente quella di Spagna e la bandiera sul pennone quella messicana.
Nel 1846, in piena guerra con il Messico, gli yankees occuparono la città , ed il cambio di bandiera fu rapido quanto il passaggio ad un ben più pragmatico Los Angeles.
L.A. Promette bene
L'All Star Game è il momento in cui tradizionalmente l'Nba si ferma e celebra se stessa e le sue stelle più lucenti.
È un gioco, ma la storia insegna che quando arrivano punto a punto negli ultimi minuti, i 24 migliori giocatori del mondo continuano a ridere e scherzare, ma a perdere non ci stanno più. Negli ultimi anni è sempre accaduto qualcosa di speciale.
Nel 2000, ad Oakland, le schiacciate di Vince Carter al venerdì battezzarono l'ingresso della Lega nel nuovo millennio almeno quanto Garnett-Duncan-O'Neal, l'indimenticabile front-line dell'Ovest, alla domenica. Un anno dopo, a Washington, l'Est vinse all'ultimo secondo grazie alle bombe di Steph Marbury e ad una stoppata di Carter su Duncan, ma l'Mvp fu il piccolo grande Allen Iverson, che rimase in missione per altri 4 mesi, fino alle finali Nba.
Il 2002 fu l'anno del Kobe Bryant show, che si concluse con i fischi del First Union Center di Philadelphia, la città dove anni prima, al Veteran Stadium, la casa degli Eagles di Football, avevano fischiato anche Babbo Natale, quindi niente di strano che abbiano fatto lo stesso con un hometown boy, un ragazzo di casa.
Edizione speciale dodici mesi fa ad Atlanta, quando gli sceneggiatori della partita ci dettero dentro di brutto. L'ingresso in società di Yao Ming, l'addio di Michael Jordan con il canestro sulla sirena in faccia a Shawn Marion, Garnett Mvp di una partita che ebbe bisogno di 2 supplementari per giungere a conclusione.
Le premesse per vedere qualcosa di memorabile ci sono tutte, se le stelle hanno brillato ad Atlanta cosa possono fare a Hollywood?
Giorno 1
Il programma parte al venerdì, con la partita delle celebrità , non proprio un evento per puristi del gioco, ma nella città degli Actors Studios un minimo di pedaggio è inevitabile, poi si comincia a fare sul serio con il Rookie Challenge, la sfida tra i primo e i secondo anno.
Lebron James e Carmelo Anthony contro Amare Stoudamire, Yao Ming e Carlos Boozer, roba da playoffs, altro che esibizioni. LBJ e 'Melo hanno ancora la rabbia che monta per l'esclusione dalla partita che conta, anche se per il fenomeno dei Cavs c'è la possibilità che subentri a qualche infortunato dell'ultim'ora: seguiteli perché è la prima, ma forse anche l'ultima volta che giocano insieme.
Un paio di curiosità : i secondo anno sono le Nazioni Unite del basket, se è vero che schierano un cinese (l'onnipresente Yao, in replica anche domenica), un serbo (Jaric), un gaucho della pampa (Ginobili) e pure un brasiliano ("Per noi resterai sempre Hilario" Nené).
Secondo pedaggio alla città degli angeli e al suo illustre passato cestistico: in panchina ci sono praticamente i Lakers dello showtime. Byron Scott allenerà i rookies con Kareem Abdul-Jabbar, mentre dall'altra parte Michael Cooper, attuale coach delle L.A. Sparks, siederà accanto a coach Doug Collins.
Costui, dopo una vita spesa sulla est-coast, tra Philadelphia, Chicago, Detroit e Washington, è decisamente l'intruso ma probabilmente anche il miglior allenatore. Manca Worthy, che non è dato sapere dove sia, e manca Magic, ma solo perché gioca sabato nel mischione giocatori+donne+ritirati.
Giorno 2
Il primo antipasto è lo Skills Challenge, una sorta di gara di fondamentali tra playmaker, una roba che è piaciuta l'anno passato ad Atlanta e viene riproposta anche quest'anno. I partecipanti si esibiscono in prove di passaggio, di abilità nel palleggio e di tiro.
In gara Earl Boykins, Baron Davis, Gary Payton e Stephon Marbury, che deve sciropparsi il volo Coney Islands-Los Angeles per i giochetti del sabato pomeriggio: probabile che alla ripresa del campionato si vendichi a suon di quarantelli.
Il sabato è un calderone, c'è di tutto. Lo spazio creativo della Lega quest'anno va allo Shooting Stars, la cui denominazione ufficiale parla di competizione tra leggende e giocatori in attività . Si tratta di un 3 vs 3 in cui ogni squadra è composta da un giocatore Nba, un ex adesso ritirato e una ragazza della WNBA. In campo Detroit, L.A. Clippers, Lakers e San Antonio.
Particolarmente esteso, peraltro, il concetto di leggenda adottato dalla Lega, se è vero che c'è Magic, ma pure Steve Kerr e il ragno John Salley.
Peja Stojakovic punta ancora al titolo di re dei 3 punti conquistato a Philadelphia nel 2002 e difeso con successo l'anno passato ad Atlanta. All'assalto del tiratore serbo andranno Cuttino Mobley, Voshon Lenard, Rashard Lewis e Chauncey Billups.
Mancherà per infortunio Brent Barry, e chissà che sul filo di lana non gli subentri quel Wes Person che l'anno scorso si arrese in finale a Stojakovic, anche causa capricci dell'orologio che consentirono a Peja di ripetere la sua prova.
Grande attesa per la gara delle schiacciate, anche se l'elenco ufficiale dei partecipanti resta avvolto dal nebbione, dato che siamo ancora in attesa di comunicazioni da parte della Lega.
Dovrebbero essere certi i vincitori delle ultime 3 edizioni: il due volte campione Jason Richardson, in dubbio fino a pochi giorni fa per la malattia del patrigno, e Desmond Mason, vincitore nel 2001. Balla anche il nome di Lebron James, in dubbio per una caviglia infortunata, che è una specie di mina vagante: potrebbe far tutto e potrebbe uscire di scena al venerdì.
Giorno 3
È il giorno della partita, finalmente. I temi al solito sono tantissimi, eccone qualcuno sparso, una sorta di vademecum per osservatori.
Tecnicamente, come sempre negli ultimi anni, l'ovest è nettamente superiore: rimane a casa Chris Webber ma sotto canestro ruotano tutti i migliori lunghi della Lega: Yao Ming, Shaq, Garnett e Duncan. Ci sono sei 7 piedi a Ovest e solo 2 (Ben Wallace è 6-9) a Est: centimetri e chili peseranno sulla bilancia.
L'Est risponde con la creatività dei suoi esterni: Kidd, Mcgrady, Carter e Iverson, ma per restare in partita ha bisogno che almeno uno dei suoi lunghi salga di livello e tenga botta, come fece Mutombo (22 rimbalzi) a Phila 2001.
Per capire lo squilibrio basta dire che il quintetto dell'Est non partirebbe favorito contro la panchina dell'Ovest (Cassell, Stojakovic, Kirilenko, Nowitzki, Shaq). Non estraneo a questa valutazione il fatto che, proprio come un anno fa, gli insidiosi voti cartacei dei tifosi hanno spinto il cinese tra i titolari e relegato il centro più forte del mondo al ruolo di discreto 6°uomo.
Ben 6 gli esordienti, 4 a Est e 2 a Ovest. Spicca Sam Cassell, che assaggia la partita delle stelle per la prima volta a 34 anni, il più vecchio dai tempi del pioniere Nat "Sweetwater" Clifton, l'ex stella degli Harlem Globetrotters che solo nel 1957 sfuggì alle maglie della segregazione razziale e poté partecipare alla partita.
Interessanti, ad Est, le prime volte di Kenyon Martin e Ron Artest, che portano durezza e cattiveria in una partita che generalmente non di questo vive. Artest ha già detto che difenderà per davvero, sarà curioso vedere cosa ne pensa Bryant, ma è una delle poche armi vere dell'Est: una front-line Artest-Martin-Wallace è l'antitesi dello spirito dell'All Star Game, ma per batterli qualcuno dovrà impegnarsi sul serio.
Tre gli europei, tutti sulla panchina dell'Ovest, dove Kirilenko farà compagnia a Stojakovic e Nowitzki, e addirittura un canadese, che non è nemmeno Nash ma Jamaal Magloire, centro di New Orleans emerso dalla mediocrità dell'Est.
Ad allenare questa manciata di fenomeni, come sempre, saranno i coach delle squadre con il miglior record della Lega. Ad ovest l'onore è toccato a Flip Saunders di Minnesota, mentre ad Est è il turno di Rick Carlislie di Indiana. Entrambi vedranno qualche faccia nota: Cassell e Garnett da una parte, Artest e Jermaine O'Neal dall'altra.
James
Degli esclusi ha già parlato diffusamente Edoardo Schettino in un suo recente pezzo. Sapete già che probabilmente Steve Francis quest'anno non meritava di essere qui, e avrete già riflettuto sul fatto che una manciata di partite è bastata a Ray Allen ad Ovest e non a Marbury (il Marbury di New York) ad Est.
La realtà è che accontentare tutti è impossibile, e il voto dei tifosi espone al rischio di vedere giocatori amatissimi dal pubblico ma non meritevoli della selezione.
Ecco, a parte c'è il caso James. A prescindere dalla sua esclusione, motivata o meno, il ragazzo prodigio ha fatto notizia recentemente dichiarando che non avrebbe mai accettato di prendere il posto di un infortunato, entrando così dalla porta di servizio.
James ha poi ritrattato, dichiarando che se glielo chiameranno andrà (non è uno scenario campato in aria, un infortunio dell'ultimo momento c'è sempre, il sostituto lo sceglie Stern e ad Est si va con lui o con Marbury), ma la frittata probabilmente l'ha già fatta.
L'All Star Game è il luogo dove storicamente i veterani puniscono l'arroganza dei ragazzini: nel 1998 George Karl di fatto impedì a Kobe Bryant di competere per l'Mvp relegandolo in panchina per tutto il quarto periodo perché aveva mancato di rispetto a Karl Malone.
È toccato a tutti, anche a Jordan da esordiente (1985) nascosero la palla, qualcosa toccherà anche a James.
Pillole sparse
Kobe Bryant e Tim Duncan giocano anche per i numeri: il primo ha la media punti più alta di sempre (21 in 5 partecipazioni), mentre il secondo cattura 13,6 rimbalzi a botta e intende continuare.
Discorso Mvp: negli ultimi anni lo hanno vinto praticamente tutti quelli che contano davvero tranne McGrady, se l'Est fa la sorpresona potrebbe toccare a lui o ad un outsider tipo Glen Rice nel 1997. Altrimenti si va con uno dei soliti fenomeni dell'ovest.
Ci sono due uomini al mondo che odiano questa partita, e sono a libro paga entrambi da queste parti. Uno è Karl Malone, che pur di non venire fin qua per il solito 0/1 al tiro con 1 rimbalzo in 4 minuti, si è addirittura girato un ginocchio, praticamente il suicidio del samurai.
L'altro è Phil Jackson, che avrà gradito, anche perché i suoi si son rotti praticamente tutti per dar vita alla solita prima parte soft di regular season e mandare il capo 3 giorni ai Caraibi. Andata male, stavolta è il padrone di casa e deve presenziare per forza.
Last but not least: la sorveglianza stavolta sarà ferrea, ma la speranza che Christina Aguilera ridefinisca il concetto di strip cui ha attentato Janet Jackson la notte del Superbowl è l'ultima a morire.
Nel caso, per l'Mvp si comincia a correre dal secondo posto in poi…