La resistibile ascesa di NY

Dikembe Mutombo, oltre all'intimidazione, sa ancora mettere un gancetto qua e là 

Ad est tutto è possibile. Anche giocare non benissimo, avere uomini più o meno sul piede di partenza o scontenti, non soffrire dell'assenza del miglior marcatore e, nonostante tutto, riuscire a risalire in classifica fino alla settima posizione, ad un soffio dalla sesta.

Ebbene, in casa Knicks sta succedendo tutto questo, dopo un'altra settimana positiva sotto il piano dei risultati ma non del gioco o dell'armonia interna, mentre le carenze atletiche si fanno sentire, anche se sono per lo più mascherate da prove estemporanee del giocatore "on fire" di turno.

La prima gara dei sette giorni appena passati ha visto arrivare al Madison Squadre Garden i San Antonio Spurs. New York non è riuscita ad approfittare di uno scandaloso 38% al tiro dei Campioni in carica ed è riuscita a fare addirittura peggio con il 36%. Incredibile, raramente si è assistito ad una sconfitta (67-77) della squadra di casa con gli ospiti che tirano con quelle percentuali.

A dire il vero, qualche alibi c'è. Allan Houston, per via dell'ormai cronico problema al ginocchio, ha giocato poco e male, sfornando un 2/13. Keith Van Horn, per un problemino ad un gomito, delizia il Garden di 18 minuti di nulla, con Manu Ginobili che lo brutalizza in difesa, mentre il knickerbocker non ha lo spirito per andare dall'altra parte, in post basso, e restituire pan per focaccia nonostante ai centimetri ed ai chili in più rispetto all'argentino.

Stephon Marbury fa sì 19 punti, ma sparecchiando a salve in troppe occasioni.

Lenny Wilkens alla fine dirà : "Le esecuzioni dei nostri giochi sono state abominevoli. Non ci siamo presi molti tiri facili che gli Spurs ci stavano concedendo, concentrandoci invece in un passaggio di troppo ed arrivando così a conclusioni forzate allo scadere dei 24 secondi".

Al resto ci pensa Tim Duncan, con una doppia doppia che dice 30 punti e 19 rimbalzi.

Pronta è invece la riscossa a Boston, 92-74, nella prima partita senza Houston (del quale parleremo più avanti).

Ma dove si fermano i meriti dei Knicks ed iniziano i demeriti dei Celtics, squadra rivoluzionata da scambi quantomeno bizzarri, problemi personali del solito Vin Baker, storditi dal cambio di allenatore e con un Paul Pierce che risponde perfino a malomodo ai fischi del suo pubblico? Francamente, era impossibile perdere per New York.

Eppure la partita resta in equilibrio nella prima parte, con Marbury che dispensa talento ma i compagni non lo seguono.
Emblematico un passaggio clamoroso per Michael Doleac a meno di un metro dal canestro, con il centro che non è neppure riuscito a fare sua la palla, producendo dunque un turnover, con Marbury che chiede al compagno più attenzione per poi abbassare la testa in segno di resa. Il classico "predicatore nel deserto".

La partita comunque viene decisa nel terzo quarto, quando Boston dimentica come si giochi in difesa, finendo per concedere a Van Horn facili conclusioni da fuori, ossia l'unica cosa che lo Sceicco Bianco sa fare non bene, ma benissimo.

Il quarto periodo è un lungo garbage time, tra tiri di Pierce che non trovano neppure il ferro e spazio addirittura per Bruno Sundov. Da segnalare un Dikembe Mutombo dominante con 10 punti, 10 rimbalzi e 4 palle rispedite al mittente più tante altre "interferenze" decisive.

Si torna così al Garden per un back-to-back contro i Phoenix Suns. New York vince 110-105, ma che fatica!

Ancora una volta Van Horn mostra la sua incostanza offensiva: due settimane fa aveva giocato da MVP; la scorsa da giocatore CBA; questa di nuovo da giocatore decisivo. Ebbene sì, dopo aver spezzato in due la partita a Boston, arriva qui a sfiorare la tripla doppia: 30 punti, 12 rimbalzi, 7 assists e i liberi decisivi nel finale.
In difesa, subisce ovviamente alla grandissima un Joe Johnson che piazza il carter high a quota 31, ma ci pensa Marbury con 35 punti a rimettere le cose a posto.

Questa con i Suns era l'ultima partita di quelle famose dieci che avevamo fissato come "paletto" per ritornare in corsa per i Playoffs. Ebbene, il bilancio è stato buono: 7 vittorie 3 sconfitte, con il rimpianto per quella debacle casalinga contro Miami che avrebbe dato un ottimo 8-2.

Il rilancio in classifica c'è stato ed ora i Knicks si ritrovano settimi (22-27) nella Eastern Conference, ad una vittoria dalla sesta piazza ma anche ad una dalla nona e quindi fuori dalla post season. Ancora presto, ovviamente, per emettere sentenze più o meno decisive, ma di problemi ce ne sono in abbondanza, come dicevamo all'inizio.

Partiamo da Houston. Il capitano, dopo l'ennesimo calvario in partita, ha deciso di fermarsi per almeno 10 giorni, più presumibilmente per tre settimane. Approfittando della pausa per l'All-Star Game e di un calendario che finalmente permetterà  ai Knickerbockers di tirare il fiato dopo un tour de force notevole, salterà  sette partite (due già  disputate).

Questo riposo, però, servirà  o meno? Non siamo degli indovini e neppure lo staff medico della squadra lo sa per certo. Il tutto rimane più appeso alla speranza che non a reali certezze cliniche. Quel che è certo è che H20, dopo l'operazione estiva, ha affrettato il rientro, perché a New York non c'è neppure tempo di aspettare gli infermi.

In tutta questa situazione, si innesta il caso Shandon Anderson. Dopo che un DNP-CD (ossia non è entrato in campo contro Atlanta per la decisione del coach, non per un infortunio, come avete letto nello scorso report) ha interrotto la sua infinita serie di gare consecutive, l'ex-Utah ha pensato bene di prenderla con" professionalità , dandosi per malato per un paio di giorni. Un forte mal di testa, la scusa ufficiale.

Doveroso un "bene, bravo, bis!" ad personaggio che deve la sua fortuna economica non tanto a quello che ha fatto e fa vedere sul campo, ma all'indecenza operativa di Scott Layden che gli ha regalato un contrattone assurdo.

Ovviamente la storia non è andata molto a genio al GM Isaiah Thomas e subito la parola buyout è venuta fuori, dopo aver rifiutato uno scambio proposto da Toronto per Lamond Murray.
L'assenza di Houston ha invece paradossalmente portato di attualità  l'importanza di Anderson all'interno del roster ed anzi è partito titolare al posto del compagno.

Altri giocatori, come Doleac o Othella Harrignton, sembrano invece degli oggetti in vetrina, trovando tanti minuti per cercare degli acquirenti, anche se ad essere onesti le loro prove sono più che discrete.

A complicare il tutto restano problemi sia tecnico che tattici.

Sul piano tattico, a dire il vero, i passi avanti sono enormi se pensiamo al recente passato targato Don Chaney. L'assetto difensivo è migliorato, nonostante i soliti problemi di Van Horn a contenere le ali piccole, mentre i giochi offensivi tendono comunque sempre a stagnare un attimino di troppo, aspettando l'invenzione di Marbury. Ma quando la magia arriva sotto forma di passaggio, non sempre i compagni sono all'altezza, come ampiamente documentato prima.

Oltre a non stare dietro alla "testa cestistica" del prodotto di Coney Island, gli altri Knickerbockers fanno fatica a concludere le assistenze del loro playmaker. Se le conclusioni dal perimetro sono bene o male vincenti grazie alle mani educate di Van Horn, Houston o dello stesso Doleac, non altrettanto si può dire di quello che succede nell'area colorata.

Il poco atletismo dei lunghi, infatti, porta a conclusioni laboriose che spesso fanno perdere al possessore della palla (se riesce a riceverla) quell'attimo di vantaggio che invece Marbury, inventando dal nulla, gli ha concesso sul diretto avversario.

Gente come Kurt Thomas, Mutombo o Van Horn, quando si trova nei pressi del canestro, è tutto ma non verticalista e il poco atletismo diventa così un handicap non da poco per la squadra. Marbury, a Phoenix, era abituato a "consegne" a fior fior di atleti quali Shawn Marion o Amare Stoudemire" ma qui?

Per ora, la pazienza di Starbury è stata tanta. Conosciamo il suo ego ed altrettanto abbiamo apprezzato la sua maturità , ma la paura del tifoso bluarancio è quella che un giorno torni lo Stephon che si scrive "All Alone" sulle scarpe come ai tempi dei Nets e" ti saluto sogni di gloria.

Al roster attuale serve atletismo, in pratica un 4 alla Rasheed Wallace ed un 3 in grado di dare un solido apporto in difesa. Crediamo che Thomas stia lavorando in questo senso, ma trovare una soluzione non appare facile, soprattutto entro il 19 febbraio, ultimo giorno utile per effettuare scambi tra le franchigie.

Difficile che arrivi qualcosa, molto probabilmente sarà  questo il roster che affronterà  la seconda parte di stagione, cercando di centrare i Playoffs per poi costituire una mina vagante, condizioni di Houston permettendo.

Certo, squadre come Indiana e Detroit, restando ad est, sono al di fuori della portata dei newyorkesi" ma per ora può anche andare bene avere come obiettivo il raggiungimento della post season, poi potrebbe essere una lunga estate sul fronte trasferimenti e, da quando a sedere nella stanza dei bottoni sotto la Statua della Libertà  c'è Isaiah Thomas, tutto è possibile.

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