Baron Davis sembra essersi finalmente ristabilito dai problemi alla schiena della passata stagione
Nuovo coach, nuovo Barone, nuove affluenze di pubblico. La Big Easy sembra finalmente, con un anno di "ritardo", essersi innamorata dei nuovi Hornets, che sembrano finalmente esprimere appieno tutto il loro potenziale offensivo, mai completamente espresso sotto la guida di Paul Silas, coach da sempre portato ed innamorato della difesa come prima opzione per vincere le partite.
Con l' avvento di Tim Floyd ("Pink Floyd", come fu storicamente chiamato da Dennis Rodman nel 1998, quando Floyd si accingeva a sedere sulla panchina più scomoda della Nba, quella dei Chicago Bulls reduci dal secondo Three-Peat), coach più perdente dell' Nba (statisticamente parlando) ma con una mente offensiva troppo spesso sottovalutata, New Orleans si candida come una delle squadre più attrezzate della Eastern a raggiungere perlomeno la finale di Conference.
A detta di tutti quelli che gravitano attorno al pianeta New Orleans è sempre molto facile innamorarsi degli Hornets e prenotargli anzitempo un posto nei play-off e persino nelle Nba Finals, ma è sempre altrettanto facile essere traditi da questa squadra, storicamente propensa a fare salti nel buio e ad auto-infliggersi dei black-out completi che molto spesso gli sono costati partite e serie play-off.
Quest' anno sembra comunque tutto diverso, anche grazie al leader della squadra, quel Baron Davis tanto criticato ai tempi del fallimentare Dream Team di Indianapolis e dipinto dalla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori come una persona cattiva e spiacevole.
Il Barone da Ucla sta viaggiando a ventisei punti, otto assist, quasi cinque palle recuperate e quattro rimbalzi di media a partita, è in una condizione psico-fisica straordinaria, e sembra finalmente essere il vero leader carismatico e trascinatore dei suoi Hornets. Dopo una estate all' insegna del fitness, footing californiano e cura di tanti piccoli particolari di meccanica di movimento, l' ex-Bruin angelino è più forte ed esplosivo che mai, sembra veramente avere una marcia in più rispetto a tutti gli altri. La stagione dura comunque 82 partite, e il tempo per infortuni, cali di concetrazione o meccanismi psicologici deleteri (che non sembrano mai nuovi nel Barone), purtroppo c' è ancora tutto.
Fatto sta che a tutt' oggi gli Hornets capitanati da Baron Davis sono una delle più belle realtà dell' Nba, e una delle più pericolose squadre da affrontare. Ne sanno qualcosa i Los Angeles Lakers, sì reduci dal doppio supplementare a San Antonio meno di ventiquattr' ore prima, ma letteralmente dilaniati dall' attacco di New Orleans.
Al Barone si aggiungono un grande David Wesley, che sembra finalmente uscito dal tunnel di sensi di colpa per la tragica morte di Bobby Phills, e che è ormai a tutti gli effetti un devastante terminale offensivo dalla grande velocità in transizione e dalla meccanica di tiro semplicemente perfetta, un affidabilissimo P. J. Brown, vera e propria bomba di testosterone e di intensità difensiva mai abbastanza rimpianto a Miami, un duttile Jamaal Magloire reinventato nel centro dell' area con buoni risultati offensivi, due veterani dagli immensi attributi come George Lynch e "Flash" Armstrong entrambi estremamente "nasty" in difesa e, soprattutto Armstrong, capaci di fare male in attacco.
Senza dimenticare le educatissime mani di Steve Smith e della front line di riserva Sean Rooks e "Trattore" Traylor (quest' ultimo comunque sempre l' oggetto misterioso di questi Hornets), in attesa della eventuale prossima esplosione del rookie David West, prospetto che negli sprazzi di partita giocati ha ben impressionato.
Dimenticato in fretta il sempre deserto Alveare di Charlotte, gli Hornets a New Orleans oggi fanno paura.