Tim Duncan, la Torre di San Antonio… inarrivabile
Ci sono giocatori nell’immaginario collettivo che fanno sognare. Ci sono poi giocatori che fanno sognare e vincere le squadre nelle quali militano. Uno di questi è Tim Duncan.
Forse non spettacolare come un Vince Carter, ma sicuramente più concreto. Tutto gli riesce maledettamente semplice.
Dopo cinque anni di NBA ha già un anello di Campione al dito, conquistato con i suoi San Antonio Spurs nella stagione 1998-99 (quella del lock-out); in quell’anno fu anche MVP delle Finali, la consacrazione per qualunque giocatore che aspiri al ruolo di leader indiscusso all’interno del proprio team.
Considerato da molti secondo solo a Shaq come giocatore dominante, è uno dei migliori realizzatori, rimbalzasti e stoppatori della Lega; ma quello che forse più stupisce è il fatto che, nonostante la stazza, sia uno dei migliori “ball-handler” in circolazione, con capacità di passatore fuori dal comune.
Nei movimenti inoltre non pare mai macchinoso, incantando per la leggerezza e la fluidità nei movimenti, una gioia per gli occhi sia per i tifosi che per i semplici appassionati di grande basket USA
Maestro delle finte, è ormai un marchio di fabbrica il suo tiro sfruttando il tabellone, di una precisione quasi diabolica. In proiezione offensiva, nessuno, tranne forse Scottie Pippen, usa il vetro come Duncan.
Arrivato tra i Pro nel 1997, proveniente da Wake Forest e scelto dagli Spurs con il numero 1 ha subito impressionato gli addetti ai lavori, conquistando i titolo di Rookie Of The Year. Sotto l’ala protettiva di David Robinson, l’Ammiraglio, ha potuto imparare al meglio i trucchi del mestiere, imponendosi quasi subito all’attenzione del grande pubblico e, allo stesso tempo, garantendosi il rispetto di compagni ed avversari.
Negli ultimi tre anni la corsa al titolo dei texani si è sempre fermata alle prime battute e il sogno di vincere un altro anello è rimasto tale. Il demone che tormenta le notti dei giocatori della Western Conference si chiama The Diesel, al secolo Shaquille O’Neal, l’unico capace di mettere in difficoltà la Torre di San Antonio.
Probabilmente, senza la presenza, ingombrante, del 34 dei Lakers, Duncan avrebbe potuto togliersi molte altre soddisfazioni ma con i se ed i ma non si fa la storia della pallacanestro. Quando scendono sul parquet di gioco, le due franchigie regalano quasi sempre partite indimenticabili, caratterizzate da un alto livello di intensità e spettacolarità ; l’ultimo incontro, svoltosi a Los Angeles il 14 febbario scorso, ha visto prevalere i texani, in un grande momento di forma, testimoniato dalle 7 vittorie consecutive in trasferta raggranellate dalla ciurma di coach Popovich.
Non è bastato un grande Bryant, autore di 44 punti (ormai meno di 40 non ne segna più!!) e The Big Fundamental, con 28 punti e ben 20 rimbalzi, è stato protagonista di giocate decisive, regalando ai suoi un importante successo.
Ma Tim ama ripetersi e contro i Kings (ottava W in trasferta), il caraibico ne ha scolpiti 34, catturando anche 12 rimbalzi, giusto per non rovinare la media! Gli amanti del basket a stelle e strisce non hanno di che lamentarsi e tra il 21 degli Spurs, Kevin Garnett (assolutamente fuori dal mondo) e l’8 in maglia gialloviola c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Tre campioni da MVP. A voi la scelta!
Dopo un avvio di stagione incerto, ha saputo ritrovare lo smalto dei giorni migliori, migliorando di partita in partita il suo gioco e il resto della squadra ne ha, ovviamente, tratto grande beneficio.
Diamo qualche numero? 23.6 punti a partita, conditi da 12.8 rimbalzi e 4 assistenze, con una percentuale al tiro pari al 45%. Non mi stanco di ripeterlo: un giocatore essenziale, quasi “chirurgico” nelle sue giocatore eppure così dannatamente pericoloso, un killer silenzioso. Quasi ti dimentichi che è in campo, per poi accorgertene quando è troppo tardi. Perdi di vista per un attimo le sue statistiche e quando le riprendi in mano lui è già in doppia doppia, senza neppure fare troppa fatica.
Duncan (come del resto Garnett) è il classico giocatore che farebbe comodo a tutte le squadre della Eastern Conference, le quali, sotto canestro, subiscono sempre la prepotenza dei giganti dell’Ovest. Le sirene di Orlando, in particolare, in passato avevano provato ad attirare verso la Florida l’oggetto dei desideri ma alla fine il richiamo non aveva avuto l’esito sperato dalla dirigenza dei Magic.
Con una posizione di classifica assolutamente tranquilla, al riparo da qualsiasi imprevisto, il pensiero degli “speroni” sarà tra breve rivolto ai playoffs, appuntamento decisivo e soprattutto impegnativo, dato il livello dei contendenti.
La postseason sulla costa pacifica sarà una vera e propria tonnara, con otto franchigie, una più forte dell’altra, pronte a battersi con il coltello tra i denti per poter disputare la finale contro i campioni dell’Est; è difficile fare pronostici ma non dovrei sbagliare affermando che chi vuole prevalere dovrà fare i conti anche con San Antonio… e la sua Torre!
Stay tuned!