La disperazione di Pat Riley…
Sembra quasi che il dio del basket abbia voluto, tramite un piano perfettamente orchestrato, unire in disgrazia due squadre le quali, divise da una spietata rivalità , fino a qualche anno fa erano solite darsi battaglia, dando vita a partite cariche di tensione, soprattutto nei playoff, quando l'arancia pesa davvero.
Ovviamente mi sto riferendo ai New York Knicks e ai Miami Heat. Vi ricordate i duelli tra Patrick Ewing e Allan Houston da una parte e Tim Hardaway, Alonzo Mourning e Mashburn dall'altra? Ah, i bei vecchi tempi!
Se per i Knicks sarebbe opportuno consultare un'enciclopedia di necrologia cestistica, per i ragazzi di Coach Riley non sarebbe sufficiente neppure un tuffo di gruppo nell'acqua benedetta! Cosa non va nella squadra? Quasi tutto. Cosa funziona? Poco o niente.
Analizzando questo scorcio di stagione salta subito all'occhio la pochezza offensiva di Miami, vero punto debole della squadra. Nessun giocatore del roster ha una percentuale al tiro superiore al 49% (al primo posto Grant con il 49.8), il miglior marcatore risulta Eddie Jones con appena 18 punti ("accusato" di essere troppo poco egoista), mentre a livello di assistenze, troviamo Anthony Carter con 3.8 a partita, seguito da Travis Best e ancora Jones con 3.7.
Dal punto di vista difensivo, gli 11 rimbalzi di media portano la firma di Brian Grant, a mio avviso uno dei pochi a salvarsi dalla mediocrità generale del team. Numeri, numeri e ancora numeri"
Al di là delle statistiche è innegabile che la squadra, per avvicinarsi al canestro avversario faccia una fatica enorme, con una gestione del pallone che a volte fa stringere il cuore.
Anche il mitico Pat Riley, futuro Hall of Fame, l'uomo che inventò lo show-time a Los Angeles, pare incapace di dare una scossa all'ambiente, ma, a mio avviso, sarebbe ingiusto imputare allo staff tecnico le colpe per un'annata così deludente; Miami sta affondando e non sarà una passeggiata riportare a galla il Titanic della Eastern Conference.
Forse l'unica nota positiva è rappresentata dal rookie Caron Butler (13.7 punti e 5.4 assists a partita), scelto con il numero 10 e fortemente voluto daloo stesso Riley il quale, pur di tenerlo con sé, ha rifiutato di scambiarlo con i Bucks per Glenn Robinson. Eletto rookie del mese di novembre, il ragazzo ha già dimostrato parte delle proprie qualità ma, per poter affermare che sarà lui l'uomo su cui ricostruire la gloria della franchigia bisognerà ancora avere pazienza.
Uno dei ruoli nei quali la squadra mostra più limiti è quello del playmaker; Travis Best, ex riserva dei Pacers, finora non ha convinto, anche a causa di problemi fisici mentre Mike James è un'incognita e, soprattutto, deve ancora acquisire la necessaria esperienza, in modo da affrontare al meglio il mondo dei pro. Gary Payton intanto vuole lasciare Seattle ma, per usare un eufemismo, Miami non è in testa alle sue preferenze"
Il grande assente della stagione è sicuramente Alonzo Mourning, giocatore di grande classe e leader indiscusso di Miami; per vederlo nuovamente in campo con la maglia numero 33 bisognerà attendere ma è già una buona notizia il fatto che abbia ripreso ad allenarsi con i suoi compagni.
Parliamo ora di mercato. Al momento il salary cap non permette ai tifosi dell'American Airlines Arena di sognare, ma in estate la situazione potrebbe cambiare; infatti scadrà il contratto di Zo e i dirigenti avranno in tal modo la possibilità di investire somme notevoli su almeno un free-agent di livello. Chi si trasferirà in Florida alla corte di Pat Riley? Attualmente si fa con insistenza il nome di Olowokandi ma parlarne adesso sarebbe prematuro.
Un altro limite di Miami è rappresentato dallo scarso numero di vittorie in trasferta; lontano da casa fa ancora più fatica ma, d'altronde, se si vuole abbandonare l'ultimo posto nella Eastern Conference bisogna iniziare a macinare vittorie anche lontano dalle mura amiche.
Infine, il 20 gennaio contro New York si è avuta conferma della pessima attitudine offensiva della squadra; i 12 punti segnati nel primo quarto, accoppiati agli 11 del quarto periodo rappresentano il punto più basso di questa annata disgraziata e le parole di Riley gettano ulteriori ombre sul resto della stagione: "Penso che il nostro attacco rimarrà inconsistente fino alla fine" - è stato il commento del dopopartita, molto simile ad una sentenza che dipinge al meglio il livello di mediocrità raggiunto dagli Heat, un vero e proprio atto d'accusa nei confronti di professionisti incapaci di eliminare dal proprio background perfino gli errori più elementari.
"Abbiamo sbagliato 12 layups, 14 tiri senza opposizione da parte dei difensori e abbiamo perso palla diciotto volte, tirando con il 33% dal campo. Avevamo la possibilità di finire al meglio delle buone giocate" E' frustrante".
Ciò che stupisce è il livello di difficoltà dei tiri sbagliati: a livello NBA certi errori non sono perdonabili.
La partita è stata una fiera degli orrori con palle perse e "mattoni" da una parte e dall'altra, ma alla fine, hanno sorriso soltanto Sprewell & Co.
Dopo una prestazione del genere penso che ormai anche i tifosi più accaniti non possano far altro che riporre in soffitta le esigue speranze, gustandosi, si fa per dire, le gesta di Jones e compagni senza inutili illusioni, pensando già ad un estate che, a Miami, si preannuncia rovente"
Lavorate gente, lavorate"