Quale futuro per Tim Duncan e i suoi San Antonio Spurs?
C'è davvero da ammetterlo. Se si giocasse oggi la finale NBA non ci sarebbero molti dubbi sulla franchigia alla quale assegnare ilo titolo con relativi anelloni.
I Sacramento Kings sono in uno stato di grazia particolare. La squadra vista solo poche ore fa contro i New Jersey Nets sembra essere un gradino sopra la concorrenza, un gruppo di alieni che bastona una lega che del fantabasket ha fatto il suo vessillo. A questo punto si potrebbe anche piantare lì tutto, chiudere i battenti e rivedersi a data da destinarsi.
Per alcune ragioni questa idea non sembra poi però del tutto praticabile.
Primo, alcune centinaia di migliaia di abbonati NBA forse avrebbe qualcosa da ridire.
Secondo, arrivare almeno All Star game mi sembra essere un dovere anche solo morale.
Terzo e più importante. I redattori del presente sito potrebbero organizzare una sollevazione popolare nel ritrovarsi senza argomento di discussione e scrittura.
Scherzi a parte, è ammissibile la tesi per la quale in passato molte squadre sono sembrate dominare la lega fino a febbraio per poi crollare una sessantina di giorni più avanti o comunque senza centrare il risultato pieno a fine stagione. Ma se proprio bisogna gufare i Kings è forse meglio guardarsi intorno per trovare qualche possibile alternativa.
Fra le possibili candidate al ruolo di terzo in comodo nella sfida Kings – resto della California, (chissà a chi mi riferisco), sarà forse il caso di guardare verso il Texas, dove alcuni indizi dicono di stare molto attenti ai San Antonio Spurs.
Meno scintillanti dei cuginetti di Dallas, meno esotici degli altalenanti Rockets, gli Spurs sono ormai da un paio di stagioni una squadra da molti indicata matura per un'altra finale NBA.
Dal punto di vista tecnico si tratta di una delle squadre più europee del panorama a stelle e strisce. L'ex spia Popovich ha infatti molto insistito in questi anni su di un gioco basato su difesa e controllo dei ritmi su tutta la lunghezza dell'Alamo Dome.
Ne è risultato un gioco spesso non scintillante ma di efficacia e difficoltà di lettura forse unico, l'esatto contrario degli assiomi predicati dalla famiglia Nelson pochi chilometri più in là . Non è mai stato importante cercare il numero a tutti i costi in casa Spurs, perché a rendere la visione della partita più divertente, morbido, accattivante, ci ha sempre pensato il mago Merlino Timoteo, per gli annali Tim Duncan.
Sì, c'è davvero da ammetterlo. Duncan è un giocatore del quale è difficile non innamorarsi. Sono pochi i giocatori, indipendentemente dal ruolo, dalle statistiche e dalla classifica delle proprie squadre, che riescono a entusiasmare nel modo nel quale ci riesce l'ala grande trapiantata dai Caraibi in Texas, via Wake Forest.
In più, vicende di mercato e andamento delle fortune in casa degli speroni ne hanno fatto il leader indiscutibile, anche più di quanto non dicano le statistiche. I limiti del gruppo, cominciano e finiscono esattamente dove iniziano e terminano quelli di Tim Duncan.
D'altronde non lo si scopre oggi. Questo ragazzo dall'aria impacciata e dal cervello finissimo, in campo e soprattutto fuori, ha dei movimenti d'attacco di prim'ordine, che cominciano con un passo d'incrocio magnifico ad una partenza in palleggio leggera come una sfogliatina di burro.
In difesa non è il giocatore che sposta gli avversari a gomitate, ma le sue mani arrivano spesso e volentieri dove non arrivano quelle dei lunghi avversari e prendere una stoppata dal movimento fluido che riesce a interpretare non è comunque piacevole. Risultato? Già per 30 volte, Duncan è risultato il miglior marcatore della squadra.
E non basta. Perché alla faccia di chi lo vede svogliato e poco lavoratore, Good Tim si è preso la libertà di finire a referto come miglior rimbalzista della squadra per altre 32 volte.
Spostare gli equilibri del proprio gruppo sembra essere diventata un'abitudine per Duncan. Il problema degli Spurs inizia però da questa considerazione. Duncan è unico, importante come nessun altro nella lega, ma la sua influenza non è stata ancora un fattore per la reale crescita degli Spurs. La franchigia del Texas non ha ancora fatto il salto verso i ritorno nell'empireo dei campioni e potrebbe addirittura non farlo mai.
Dopo la batosta riservata loro dai Lakers negli ultimi due anni infatti, la squadra ha compiuto il lavoro inverso a quello dei Kings. Secondo i maggiori critici degli Spurs, l'ottima formazione di due anni fa e la molto buona dell'anno scorso è diventata la buona di quest'anno. Un viaggio che non sembra il più diretto per le ultime fasi dei play-off NBA.
Il resto del roster parlerebbe infatti di una squadra vecchiotta e un po' spompata, meno cronometrica di altre versioni passate.
Ma questo potrebbe non essere del tutto vero. Sicuramente nelle passate stagioni, gli Spurs sono partiti meglio, hanno da subito preso il comando della Mid-West division, ma hanno poi pagato in termini di concretezza nel finale.
Quest'anno, guarda caso, hanno lasciato ad altri il compito di fare da lepri e si sono un po' ripiegati su se stessi. Non c'è alcun dubbio che in alcune partite, il coaching staff di San Antonio abbia giocato a fare esperimenti e che alcune pedine non abbiano reso come ci si aspettava, ma di tempo ce n'è molto e la classifica è già abbastanza soddisfacente.
E' chiaro che quando si parla di aspettative, non ci si riferisce a David Robinson, che finirà la sua avventura alla fine del 2003 e i suoi bicipiti scolpiti mancheranno a tanti; piuttosto a qualcuno proveniente da un po' più lontano, Emanuel Ginobili.
L'unico ma prezioso rookie degli Spurs non ha ancora dato quanto le sue possibilità meritino credere, ma ha le più ampie giustificazioni, se si pensa alle condizioni disastrate della sua caviglia.
D'altronde in sua assenza il reparto guardie sta funzionando in modo quantomeno diligente. Parker è già passato dallo status di sorpresa a quello di conferma autorevole e il suo posto è stato preso da Stephen Jackson. Arrivato come free agent due stagioni fa, questo piccolo atipico e atletico si sta conquistano minuti e punti come non gli era mai accaduto prima, fornendo una valida alternativa negli schemi di Popovich.
Se si parla di atletismo però, l'uomo più amato dai tifosi degli argentei speroni è sempre e solo Malik Rose. Sarà perché per lui le statistiche contano fino a un certo punto, sarà perché in pieno garbage time è capace di buttarsi fra il pubblico per una palla recuperata, il numero 31 sta regalando i soliti chili di intensità al reparto lunghi della squadra, anche se per l'anno venturo non si sa quanto potrà tappare le falle senza l'arrivo di un altro centro di vero valore.
In fondo il vero problema degli Spurs è questo: il tempo. Questa squadra deve vincere adesso. Prima che la mancanza di una vera ala post Sean Elliott si cominci a far sentire in modo irreparabile. Prima che la squadra debba cominciare a pensare ad una ricostruzione. Prima che gli avversari diretti e affamati comincino a mettere in piedi una dinastia alternativa a quella giallo viola.
Le possibilità ci sono, il talento, con gente alla Duncan e alla Ginobili, pure. Il calendario ad oggi dice 24 -14, statistica buona ma non eccellente. Se gli speroni sapranno mettere il turbo durante la super trasferta che li attende di qui a pochi giorni molti quesiti troveranno risposta.
Consolarsi con Duncan in fondo non è poi un gran male"