L'avveniristico Olympic Stadium sul fiume San Lorenzo
C'erano già andati vicino una manciata di anni fa. Selig e la MLB avevano deciso per la “concraction”, e avevano scelto di cancellare dalla cartina Montreal e Minneapolis/St. Paul.
In uno dei più surreali processi della storia, la popolazione del Minnesota ottenne dal giudice che i Twins continuassero a giocare; i piani di contrazione saltarono e anche gli Expos ebbero un bonus di qualche altra stagione al sole.
Tutto era cominciato nel 1969.
Armstrong avrebbe, di lì a poco, messo il piede sulla luna; i Beatles erano agli sgoccioli della propria magnifica vita da quartetto; Lyndon Johnson era presidente degli Stati Uniti, Breznev comandava in Unione Sovietica, mentre da noi c'erano Saragat al Quirinale e Rumor a Palazzo Chigi.
Nel baseball succedeva che Montreal, Kansas City, San Diego e Seattle esordivano ai massimi livelli.
A dire il vero la città del Missouri aveva brevemente ospitato gli Athletics, mentre Montreal era stata sulle bocche di tutti quando nel '46 aveva offerto il trampolino di lancio a Jackie Robinson.
Comunque nel '69 accadeva che, per la prima volta, le due leghe erano ulteriormente scomposte in divisions; il monte di lancio veniva abbassato, l'area di strike ridotta e i battitori tutelati dai lanci “dentifricio” (1968 l'anno dei lanciatori…); e, soprattutto, i Mets si laureavano campioni del mondo.
Già , i Mets.
La stagione inaugurale degli Expos (Montreal era stata sede dell'International Expo nel '67, da cui il nickname), domiciliati “provvisoriamente” al Jarry Park, ricordava molto da vicino quella dei debuttanti newyorkesi dei Polo Grounds e di Casey Stengel. La cavalcata degli Amazin' Mets dovette servire come riferimento ai Canadesi, che videro la propria prima franchigia in MLB chiudere la stagione d'esordio con più di cento sconfitte.
Al quinto anno di vita, ancora sotto le redini del manager originale Gene Mauch, gli Expos si trovarono in competizione per un posto ai playoff: chiusero la stagione con tre partite e mezzo di ritardo dai Mets, ma il loro record non arrivò a quota .500 (79-83).
Le successive annate videro i Canadesi di nuovo ai piani bassi della National League East, con una girandola di managers che si accomodava nel dugout biancorossoblù.
Le note positive della seconda metà degli anni '70 furono Gary Carter e l'Olympic Stadium.
Il giovane ricevitore fu chiamato da Memphis (International League) durante il '75 e mostrò subito promesse di una brillante carriera.
L'avveniristico complesso, creato per i giochi del '76, sostituì nell'aprile successivo il Jarry Park, che aveva compiuto il suo corso di dimora provvisoria ben oltre il tempo previsto.
La struttura pareva frutto dell'immaginazione di Asimov: una sorta di disco volante sovrastato dalla più alta torre inclinata del mondo.
Dalla vetta di questa scendevano cavi d'acciaio che avrebbero dovuto reggere l'intero tetto dello stadio nelle belle giornate; in realtà il meccanismo funzionò solo per un periodo breve, e solo una parte di copertura veniva issata, per rimanere in maniera inquietante penzolante diverse decine di metri sopra l'Astroturf.
Uno sciopero dei giocatori di MLB attraversò il cammino della compagine del Quebec nel 1981, dandole la possibilità di giocarsi un posto nella post-season.
Gli Expos, indietro al momento dell'interruzione del campionato, ebbero il miglior record della NL East quando si riprese a giocare: Montreal sconfisse Philadephia, in testa prima dello strike, aggiudicandosi il diritto di giocarsi il Pennant con i Dodgers.
Contro i californiani si andò alla decisiva gara 5, all'Olympic Stadium.
Valenzuela, allora 21enne, dopo la sconfitta in gara 2, tenne a freno le mazze di casa, ma il partente canadese Ray Burris consegnò all'asso dello staff Expo Steve Rogers, la partita sull'uno a uno al nono.
Il frastuono infernale dell'Olympic fu zittito da un homer con due out di Rick Monday, che diede a Los Angeles il biglietto per le World Series.
Tra le fila degli Expos passarono Bill “Spaceman” Lee, Andre Dawson, Ron LeFlore e persino Pete Rose, prima di chiudere la carriera con i suoi Reds.
Dal farm system buoni elementi seguirono Carter: Tim Raines e Tim Wallach prima e Andre Galarraga poi.
Quest'ultimo fu la pedina attorno alla quale si compose il quadro di un'ottima compagine, cui si aggiunsero progressivamente Dennis Martinez, Delino DeShields, Larry Walker, Marquis Grissom e Moises Alou. Il padre di questi, Felipe, prese il comando della squadra nel '92, ed era ancora in carica nella “gloriosa” stagione 1994.
Per la seconda volta lo sciopero dei giocatori incrociò il destino degli Expos: quella che era evidentemente la miglior formazione delle Big Leagues chiuse al comando l'unica stagione mai terminata della storia.
Il resto della vicenda è un progressivo svuotarsi dell'Olympic Stadium.
Se il record di Ripken riportò il baseball nel cuore dei tifosi traditi altrove, a Montreal la gente era troppo presa dallo sport principe incontrastato del Quebec: il Forum dove i Canadiens scalfivano il ghiaccio era sold-out per gli anni a venire, mentre il teatro del baseball diveniva sempre più un luogo desolato.
Il sistema fiscale del Canada (e in particolare del Quebec) poneva gli owners degli Expos in condizioni di svantaggio; mancavano gli incassi dei botteghini, nonostante una discesa dei prezzi degna delle più aspre discese di Kitzbuhel.
Addirittura, negli ultimi anni di vita, la franchigia non aveva più un proprietario ed era gestita,in comune, dal commisioner Selig e dagli altri 29 owners.
Il 2003, anno in cui cominciò l'esperimento San Juan, rappresentò il canto del cigno per Montreal. La squadra in campo fu in lotta fino alla fine per un posto nel baseball di ottobre, mentre Gary Carter divenne il primo giocatore ad entrare nella Hall of Fame da Expo.
I Montreal Expos chiudono i battenti con un record complessivo di 2755 vittorie e 2943 sconfitte, e l'unico titolo di campioni nella National League East del 1981.