Hayden e i piloti americani

Nicky Hayden, campione 2006 della motoGP

Al termine di una stagione rocambolesca che non ha lesinato emozioni, Nicky Hayden si è laureato campione del mondo di MotoGp.
Un trionfo senza dubbio inaspettato, un successo che ha riportato sulla terra il dottor Rossi: unico dominatore dell'era 1000cc.

La vittoria del ragazzo del Kentucky è giunta in un momento in cui i risultati dei piloti a stelle e strisce faticavano a venir fuori.

Il circus iridato della classe regina, tra gli iscritti contava tre piloti americani: oltre al neo campione del mondo c'era Kenny Roberts jr. (Iridato nel 2000) e John Hopkins. Se il primo ha messo in piedi un'annata tutto sommato positiva in sella ad una Kr semi artigianale di derivazione Honda, il secondo ha nuovamente deluso le aspettative non certo aiutato da una Suzuki in gravi difficoltà  di setting.

Hayden è stato bravo ad approfittare degli errori altrui per conquistare la leadership mondiale mettendo a segno una lunga serie di piazzamenti che gli hanno garantito di respingere gli attacchi di Rossi e soci.

Gli americani nel Motomondiale

Una storia strana quella dei piloti Made in Usa: quello tra i centauri americani e il motomondiale è un rapporto complesso, difficile da analizzare, ma è forse utile partire da un concetto: gli Stati Uniti hanno spesso ignorato l'Europa (e dunque i campionati mondiali), creando un mondo motoristico parallelo e isolato.

Il motomondiale è nato nel 1949; la prima gara si disputò il 17 giugno all'Isle of Man e la vittoria andò all'inglese Daniell su Norton; 14 iscritti di cui 6 britannici, 5 italiani, 2 irlandesi e un neozelandese. Nessun pilota americano, nessun invito da parte della Federazione che d'altra parte stava ancora sperimentando la nuova formula iridata anticipando tra l'altro di un anno la Formula 1.

Per trovare il primo pilota statunitense in una classifica ufficiale della classe regina, bisogna arrivare al 1964 quando un tale Parriott su Norton si classificò sesto al Gran Premio, guarda caso, di Daytona.

E' questo il punto: per avere un americano in griglia servì istituire un Gran Premio negli Stati Uniti, ma la partecipazione di Parriott fu isolata in quanto nell'appuntamento seguente non partecipò considerando inutile un viaggio in Europa per correre in un campionato sconosciuto alle masse americane.
L'anno seguente, nel 1965 si disputò nuovamente la gara a Daytona ed oltre a Parriott, che finì secondo alle spalle del grande Mike Hailwood, corse un altro americano Labelle che chiuse al quinto posto.

Dopo quei due episodi, la federazione decise di non ripetere l'esperimento statunitense e fatta eccezione per il Gran Premio canadese del 1967 non si toccò più il nuovo continente per parecchio tempo.

Nel 1976, ultima stagione di Giacomo Agostini, si mise finalmente in luce un pilota americano: Hennen che in sella alla Suzuki concluse in terza posizione assoluta vincendo tra l'altro una gara in Finlandia.

Si sa che gli americani puntano solo sugli sport in cui possono prevalere e così il successo di Hennen diede una scossa all'intero ambiente a stelle e strisce su due ruote e così in una classe 500 dominata dalle moto giapponesi arrivò Baker nel 1977 e Kenny Roberts l'anno seguente.

Iniziò dunque la leggenda americana nel motomondiale: Roberts vinse per tre anni consecutivi ('78-'79-'80) in sella alla Yamaha e proprio questi successi spalancarono le porte ad altri centauri come Randy Mamola, Freddie Spencer ed Eddie Lawson.

Gli anni'80 furono monopolizzati quasi esclusivamente dai piloti made in Usa tanto che nel 1988 si ritornò anche a correre negli States, a Laguna Seca.
Dopo i trionfi di Rainey e l'annata magica di Schwantz ci fu una naturale flessione stabilizzata solo nel 2000 con il successo (quasi casuale) di Kenny Roberts jr.

Iniziò poi l'era di Valentino incredibilmente interrotta da un nuovo campione a stelle e strisce: Nicky Hayden.

Lo stile di Hayden

In pochi conoscono il passato di Kentucky Kid, nato il 30 luglio 1981 a Owensboro. Con il mondiale vinto a Valencia sono venute fuori tante storie, racconti tipicamente americani basati sull'unione familiare, sulla voglia di prevalere nonostante le difficoltà  etc"

Non staremo ora ad elencare le tappe del pilota e non ci metteremo nemmeno a parlare del calore familiare.

Analizziamo però la guida di Nicky Hayden: uno stile completamente differente da tutti gli altri piloti della MotoGp.

Basta osservarlo come si posiziona sulla sella prima di affrontare una curva: sposta tutto il peso su un lato buttandosi leggermente indietro in modo da permettere alla moto di uscire dalla traiettoria in leggera derapata.

Uno stile inconfondibile, un modo di cavalcare il mezzo che solo i piloti americani sanno fare: questione di cultura, di spettacolo.

Ad Hayden manca il talento di Valentino e il coraggio di Capirossi, ma grazie ai calcoli, ad una maturità  ben accentuata, è riuscito a fare suo un mondiale che dopo il botto dell'Estoril pareva ormai svanito: chi avrebbe mai immaginato un recupero di 8 punti su Rossi?

Hayden ha avuto inoltre la capacità  di ritrovare la concentrazione ormai perduta, ha creduto nell'impresa mettendo a nudo qualità  che nessuno gli avrebbe mai attribuito in passato.

C'è poi da considerare un altro fattore: il ragazzo del Kentucky vinse nel 2002 il campionato americano di Superbike (Ama Sbk) facendo così tacere tutti quelli che consideravano inferiori i piloti delle derivate di serie.

Gran parte dei riders statunitensi arrivano proprio da lì: dall'Ama Superbike, un campionato impegnativo, svolto su tracciati molto spettacolari che spesso vanno contro le minime condizioni di sicurezza richieste.

Nelle prossime settimane tratteremo questo campionato analizzando la stagione conclusa e preparandovi alla nuova annata 2007 per capire le origini dei movimento americano su due ruote.

Proprio come accadde nel '76 con il terzo posto di Hennen, la vittoria di Hayden potrebbe generare una nuova ondata di piloti statunitensi pronti ad approdare in MotoGp. Meglio dunque documentarci e seguire più da vicino la Superbike d'oltreoceano.

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