Lo spettro del lockout 2011

Roger Goodell avrà  un mese di marzo molto impegnativo…

Ci sono ancora tracce di coriandoli nelle teste di tutti gli appassionati, ricordi di una vittoria festeggiata in pieno stile carnevalesco, che ha coronato i New Orleans Saints campioni Nfl dopo anni di stagioni perdenti. Bourbon Street dev'essere ancora ripulita per bene, Drew Brees potrebbe essere ancora là , vestito da re, così come lo si è visto nella parata di qualche giorno fa, ma lo spettro del lockout 2011 continua a perseguitare chi questi uomini vuol vederli giocare anche in quell'anno.

Siamo solo nel principio del 2010, ma molti avvenimenti hanno già  toccato e modificato un futuro lontano da oggi. L'intento di questo articolo è quello di analizzare la situazione odierna, come è stata costruita, quali sono i punti di attrito tra proprietari ed associazione giocatori, e quali soluzioni potrebbero essere percorribili per risolvere l'intricatissima situazione.

Il salary cap

Per capire a fondo l'oggetto del contendere, è necessario conoscere il meccanismo del salary cap, ed il motivo per il quale esso venne istituito a partire dalla stagione 1994.
Il tetto salariale corrisponde ad una somma che viene calcolata dalla previsione di introiti proveniente dall'afflusso dei tifosi negli stadi, dalla pubblicità , e dai contratti con le emittenti televisive che fanno vedere le gare: ai guadagni preventivati per la stagione da giocare, viene applicata una percentuale del 59.5% la quale, divisa per il numero delle squadre partecipanti al campionato, fornisce l'esatta cifra che non deve essere superata per gli stipendi dei giocatori, per nessun motivo ed in nessuna circostanza.
Le opportunità  di spesa devono essere eque per tutte e 32 le franchigie, siano esse collocate in mercati forti quali New York e Chicago, piuttosto che in località  con minori potenzialità  del livello di Jacksonville.

La struttura salariale, garantisce virtualmente ad ogni partecipante la possibilità  di vincere il campionato in qualsiasi anno, andando vicina ad eliminare le dinastie del passato (con l'esclusione dei New England Patriots) e fornendo pari opportunità  nella possibilità  di firmare i free agents più ambiti nel mercato libero.
Il salary cap, va di pari passo con la free agency, ovvero il potere da parte dei giocatori di liberarsi da una squadra o di rientrare nella stessa potendo decidere le condizioni del nuovo contratto, ovviamente sensibilmente migliorative rispetto a quelle precedenti.

I giocatori vengono normalmente firmati con un signing bonus, una cifra che viene scissa dallo stipendio che può essere protratta e spalmata per tutta la durata del contratto, e che non conta ai fini del cap a meno di tagli improvvisi.

E' molto importante sapere che il salary cap Nfl ha anche un minimo, al di sotto del quale nessuna franchigia può andare.
Tale somma corrisponde all'87.6% del tetto salariale, e viene chiamata cap floor: non potendo quindi scendere oltre questo limite, le squadre sono virtualmente costrette a garantire un alto livello competitivo, mantenendo esse le medesime possibilità  di spesa per acquistare giocatori di valore.
Il cap floor sta giocando un ruolo fondamentale nelle negoziazioni tra giocatori e proprietari, per motivi di costi che analizzeremo tra breve.

Al suo primo anno di vita il salary cap era di 34 milioni di dollari. Oggi, ha superato i 100.

Il contratto collettivo attuale

L'attuale accordo tra proprietari e giocatori è frutto delle trattative concluse nel marzo del 2006, e vede la sua naturale scadenza alla fine della stagione 2010.
La sostanziale novità  che permise, al tempo, di chiudere le trattative, fu l'introduzione della cosiddetta Supplemental Sharing Revenue.
Come noto, gli introiti provenienti dai contratti televisivi, ed il 40% dei guadagni ottenuti dai proprietari da biglietti venduti, luxury boxes affittati, e vendite di materiale ufficiale con il marchio della squadra e della Nfl, viene suddiviso equamente tra tutti e 32 i teams appartenenti alla lega, come principio di base per mantenere alti il livello della competitività  da mettere in campo di anno in anno.

Il contratto del 2006, mise in atto una suddivisione dei guadagni ulteriore, la Supplemental Sharing Revenue, per l'appunto.
Con tale norma, venne creato un fondo aggiuntivo di 100 milioni di dollari, con una sostanziale differenza a livello contributivo.
A tale fondo hanno difatti aderito, con maggiori soldi (privandosi quindi di maggiori guadagni - ndr), le squadre più ricche: questa particolare clausola contrattuale, difatti, ha obbligato alla partecipazione delle 15 squadre dal maggior reddito lordo fino alla stagione appena conclusa, ridistribuendo questa ulteriore parte dei loro incassi alle rimanenti 17, creando ulteriore bilancio a livello economico tra mercati grandi e mercati piccoli, fornendo un vantaggio tangibile per i giocatori, che di fatto avrebbero potuto ottenere lo stesso ammontare contrattuale sia che andassero a giocare a Philadelphia piuttosto che a Detroit.

Senza questa particolare clausola, cui i proprietari aderirono per maggioranza e non per unanimità , il rischio del malfunzionamento del salary cap sarebbe stato alto, e la garanzia di uguali possibilità  competitive per tutti, fatto che in sé ha dato benessere alla Nfl rispetto ad altre leghe professionistiche americane, avrebbe quasi certamente cessato di esistere.

L'uscita anticipata dall'accordo e le sue conseguenze

La Supplemental Revenue Sharing è individuabile quale principale motivo scatenante del probabile prossimo lockout, perché la sua struttura ed il suo funzionamento sono stati la molla che ha spinto la maggioranza dei proprietari nell'attivare la clausola di uscita anticipata dal contratto, opportunità  che entrambe le parti si erano riservate con due anni d'anticipo rispetto alla cessazione naturale di quanto sottoscritto.

L'accordo del 2006 prevedeva, attraverso una sua clausola specifica, che qualora fosse stata esercitata l'opzione di uscita anticipata dal contratto collettivo, l'ultimo anno di validità  del contratto, in questo caso il 2010, sarebbe stato privo di salary cap (uncapped), vantaggio che i proprietari non hanno visto per il mero poter spendere a piacimento e "comprare" quindi maggiori possibilità  di vittoria, ma soprattutto perché questi 100 milioni di dollari sarebbero rimasti nelle loro tasche, essendo essi legati a doppio filo all'esistenza del cap.
In pratica, i proprietari hanno sostenuto che se non esiste un salary cap, motivo per il quale le squadre sono allineate come lo sono oggi, a maggior ragione non deve esistere la Supplemental Revenue Sharing, perché ne cadono totalmente i presupposti.

Senza un tetto, le squadre possono spendere quanto vogliono per firmare i migliori giocatori a disposizione sul mercato. Spariscono i criteri di equilibrio, e con essi il principio secondo il quale gli incassi e gli introiti vanno ridistribuiti equamente.

L'unione dei giocatori, e qui probabilmente è nato il contrasto che non ha più smosso le due posizioni, ha evidenziato l'illegittimità  della decisione dei proprietari, che seppur liberi di uscire prima dall'accordo, non avevano il diritto di eliminare la Supplemental Sharing Revenue (ricordiamo che da tale fondo deriva anche parte degli stipendi futuri dei componenti del roster) in maniera unilaterale per due motivi: il primo è che salary cap e ridistribuzione delle risorse non sarebbero assolutamente legate tra loro come i proprietari sostengono, il secondo è che per annullare la Supplemental Sharing Revenue ci sarebbe dovuto essere un nulla osta scritto da parte dell'unione giocatori, che di fatto non c'è mai stata, e che ha causato un arbitrato che verrà  risolto in via definitiva durante questa primavera.

I proprietari hanno pure lamentato diverse perdite dovute alla crisi economica che ha colpito soprattutto gli Stati Uniti, sotto forma di biglietti invenduti e di conseguenti mancate entrate.
I giocatori hanno chiesto di poter esaminare la documentazione comprovante tali perdite, sentendosi rispondere che non ve n'era bisogno, perché era già  tutto alla luce del sole, insospettendo i giocatori stessi. I quali, hanno appesantito la questione sottolineando che le squadre percepiranno introiti televisivi anche nel caso che il campionato venisse cancellato.

Attenzione però, perché in qualunque modo vada a finire la questione, resta un aspetto fondamentale che va contro l'interesse dei giocatori: un anno senza salary cap significa non solo che le squadre potranno spendere quanto vorranno, ma soprattutto che non saranno tenute a spendere il minimo imposto per gli stipendi.
Quindi, una franchigia che voglia ricostruire, potrà  tranquillamente ridurre tali stipendi al minimo, con la conseguenza che con la free agency limitata, i giocatori potrebbero ritrovarsi legati a contratti poco lucrativi senza poterne uscire presto.

Senza un salary cap, i giocatori che sarebbero dovuti diventare free agents senza restrizioni, saranno restricted, perché in caso di uscita anticipata dal contratto, è entrata in vigore una norma che trasforma in restricted free agents tutti i giocatori fino ai 6 anni di attività  (il limite in condizioni di normalità  era 3 anni), con quelli più anziani a poter usufruire dello status senza alcun tipo di restrizione.
Ma vista la durata media di una carriera Nfl, quale squadra investirebbe tanti soldi su un giocatore che durerebbe al massimo altri due o tre anni? E soprattutto, quale squadra prenderebbe un asso da restricted dovendo sborsare delle scelte altissime quale compensazione per averlo, presupponendo lo scarso interesse della squadra originaria d'appartenenza del giocatore nel pareggiare eventuali offerte?

Il mercato dei free agents si avvicina all'immobilità , ed i giocatori, da questo punto di vista, sono destinati a perdere soldi nell'immediato, dando forza contrattuale ai proprietari.

Le leggi antitrust

L'antitrust è quel complesso di normative giuridiche che regolano la concorrenza nei mercati economici: che cosa c'entra con la National Football League? In realtà  c'entra parecchio.

Di Nfl ed antitrust si sentì parlare per la prima volta nel 1987: l'allora rappresentante dei giocatori, il grande Gene Upshaw, per muoversi nei confronti di una lega che non passava abbastanza benefici ai propri rappresentanti sul campo di gioco (o, sarebbe meglio dire, di battaglia – ndr) si mosse nei confronti di un gruppo di proprietari che aveva tentato di imporre unilateralmente le condizioni salariali dei propri "impiegati".
Upshaw, sapendo che l'unione giocatori era certificata in quanto essendo una delle parti contrattuali dell'accordo collettivo, tolse tale certificazione provocando la fine dell'esenzione dall'antitrust da parte della Nfl, in quanto entità  che stava cercando di porre dei termini non consoni nel proprio mercato economico.

Di conseguenza si aprirono diverse vertenze legali contro la lega, dove vennero dichiarate come illegittime alcune normative che regolavano gli stipendi, il draft, e la free agency; tali vertenze vennero chiuse definitivamente nel 1993, quando l'avvento del salary cap si stava apprestando a cominciare.

Secondo pareri adeguatamente informati, la Nfl potrebbe tornare ad imporre unilateralmente delle condizioni che servirebbero ad uscire dalla fase stagnante della trattativa, rischiando di perdere di nuovo la protezione dall'antitrust, e di vedersi arrivare nuove cause legali all'orizzonte.
I proprietari, tuttavia, sarebbero ben più felici di dover pagare avvocati per i prossimi cinque anni, piuttosto che dover sborsare 100 milioni di dollari alle squadre più "bisognose", essendo questi dollari che andrebbero, da una parte, ad arricchire i giocatori medesimi, che non devono sopportare costi per costruire nuovi stadi e per adeguarli alle sempre crescenti esigenze del pubblico.

Il futuro

Secondo Roger Goodell, lo sciopero del 1987, l'ultimo della storia della Nfl, non ha giovato a nessuno, e le parti dovrebbero considerare questo prima di provocarne un altro nel 2011.

Un accordo si può trovare solo guardando ai reciproci vantaggi delle parti.

Per i proprietari c'è bisogno di poter utilizzare più denaro da reinvestire nel futuro: gli introiti di oggi possono essere la base per costruire quelli di domani, ponendo la struttura portante per tenere in piedi la lega, e quindi anche il futuro di giocatori che finirebbero senza impiego, o comunque che andrebbero a giocare in leghe minori con disponibilità  di denaro lontanissime da quelle della benestante Nfl.

Inoltre, un punto cardine della trattativa, sarà  quello di ridurre i costi per il personale che non ha mai messo piede in campo da professionista, creando, ad esempio, un tetto salariale per i rookies, una delle spine nel fianco della National Football League: seguire l'esempio della Nba sarebbe già  un ottimo inizio.

Per i giocatori, è importante studiare un sistema che premi chi ha già  sacrificato il proprio corpo per entusiasmare le folle che pagano per vedere la Nfl, che pensi ai contratti non garantiti che possono vedere sempre lo spettro dell'infortunio terminale, e che dia assistenza soprattutto nella fase post carriera, dove già  diversi protagonisti del passato hanno dovuto affrontare enormi problemi di salute (soprattutto in seguito a commozioni celebrali).
La Nfl ha spremuto soldi e spettacolo da questi uomini, senza dare loro un'adeguata pensione, aspetto che Upshaw aveva sottolineato prima della sua recente scomparsa. Ed è un fatto da non sottovalutare assolutamente.

Il problema è che i proprietari potrebbero davvero godere economicamente dell'assenza di un salary cap per i motivi già  spiegati, ed uno dei successi che la Nfl ha ottenuto negli anni nei confronti dei suoi tifosi, è stata la varietà  di forze messe in campo, che senza tetto salariale può sparire.
Magari non subito, ma a lungo termine gli effetti si sentirebbero, e la Nfl potrebbe diventare la nuova Mlb, decretando un insuccesso.
Quindi, per riequilibrare i conti, c'è bisogno di trovare il modo di garantire ancora pari possibilità  nelle spese delle franchigie, ovvero ciò che i proprietari in questo momento non vogliono accada.

Non resta che rimanere sintonizzati e vedere gli sviluppi della faccenda, anche se nell'ambiente gira un notevole pessimismo.

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