Uragano… giallo!

L'uragano

Tranquilli, nessuna invasione asiatica in arrivo, non per ora almeno. Il fatto è che, pensando a quello che deve aver visto stanotte Steve McNair ogni qualvolta alzava la testa dietro al proprio centro mentre chiamava i segnali deve essere stato una sorta mare giallo, un mare di caschi che celebrano i 75 anni dei Pittsburgh Steelers e che, in più di una occasione, saranno sembrati al povero quarterback dei Baltimore Ravens ben più di undici. A ogni snap questa marea si alzava con prepotenza, andava a colpire l'obiettivo, si sbarazzava di ogni ostacolo schiantandosi sulla costiera, penetrando da ogni fessura e colpendo, ripetutamente, chiunque vi fosse dietro al muro alzato dalla offensive line. Risultato: 6 sack, tanto per cominciare, giusto per gradire.

Se il 4 novembre è stata la giornata in cui Patriots e Colts hanno mandato diversi messaggi alla nazione e poco può servire, oggi, sapere chi ha vinto, quei caschi gialli che celebrano la Premiata Acciaieria di Pittsburgh non ha perso tempo e ha alzato la voce: signori, ci siamo anche noi. La sconfitta contro Denver, figlia di una partita in cui gli Steelers si svegliarono un po' troppo tardi perché, a oggi, ad impensierire il bilancio ed il fattore campo nei playoff a Indianapolis ci sarebbero anche loro che, in ogni caso, sono lì pronti ad attendere ogni passo falso.

L'avviso è comunque arrivato, è stato recapitato a chi di dovere: questi Steelers ci sono e, in un solo tempo, hanno spazzato via quei Baltimore Ravens che pochi mesi fa si candidavano al titolo di conference e oggi veleggiano su un misero 4-4 che, in Afc, vuol dire avere giù un piede fuori dalla porta. Come si costruisce un 38-7 costruito al 99% nel primo tempo? No, stavolta non giratevi verso Tom Brady, la risposta non ve la darà  lui. Chiedetelo a James Harrison, autore di 3,5 sack, un intercetto, 2 fumble forzati, una forza della natura mai vista, un gladiatore che supportato dal mastino Troy Polamalu (7 tackle, un fumble forzato) e del sempre ruvido James Farrior (6-0 tackle, sack), ha attivato una retroguardia che sembrava la più precisa contraerea vista rispondere ad attacchi nemici in territorio di guerra. Una difesa solida nel fronte sette e con secondarie a tutto campo che hanno trasformato la partita dei Ravens in un incubo, ridotto a niente il gioco offensivo degli avversari e creare le basi per chiudere il primo 35-7 causando due fumble, un intercetto e e tre "three and out" (con un -6 in yard concesse), prima di cedere alla meta di Willis McGahee sul 35 a 0, con la testa negli spogliatoi e nell'unica giocata (33 yard di corsa) degna di nota.

Partita chiusa, in un tempo, dove le 33 yard conquistate dal runningback avversario hanno permesse a Baltimore di chiudere a 34 yard guadagnate sul campo. Il secondo tempo? Una passerella, il momento giusto per far scaldare Charlie Batch, vittima di un intercetto, unico motivo di gloria di una difesa aggredita da ogni dove nel primo tempo da super eroe di Ben Roethlisberger (13/16, 209 yard, 5 TD). L'ultima mezz'ora di gioco ha permesso a Jeff Reed di arrotondare il risultato con un field goal, ma non c'era davvero più nulla da vedere. Il Monday Night della week 9 ci ha consegnato questo, quando persino nel disperato tentativo di limitare i danni Baltimore ha continuato a sbattere contro una parete invalicabile, che anche nella ripresa forzava 7 punt su altrettanti drive, obbligava gli avversari a 5 nuovi "tre giochi e fuori" e liquidava il tutto con 104 (centoquattro) yard perse sul campo.

La marea gialla, forse meno cupa e dal viso più allegro del solito nero che tremare il mondo fa, ha onorato l'appuntamento in diretta nazionale portando il record, in queste occasioni, a 11-0 dal 1990 a oggi. Non c'è stata però gloria solo per un'immensa difesa, è stata anche la notte del gioco aereo di Big Ben Roethlisberger, capace di capitalizzare le favolose posizioni di campo conquistate grazie ai turnover e al costante indietreggiare dell'attacco opposto. Roethlisberger ha potuto cominciare i suoi drive nel primo tempo sempre in territorio avversario, tranne in un caso dove si è trovato sulla linea delle 50 yard. Big Ben ha però capitalizzato al cento percento quanto concessogli, ha giocato benissimo, evitato sack che sembravano già  impacchettati e pronti da mettere nella collezione dei difensori avversari; lo abbiamo visto abbastanza mobile, concentrato e davvero molto preciso, pronto ad attivare alla grande Santonio Holmes (4/110, 2 TD), Nate Washington (3/51, 2 TD) oltre a permettere al solito Heath Miller, tight end al solito molto affidabile, di aprire le segnature della gara mettendo una firma in calce nella endzone avversaria.

Non c'è stato bisogno degli straordinari di Willie Parker(23/42) o del fido compare di avventura Najeh Davenport (11/34), non stavolta almeno, dove la difesa ha abbassato la saracinesca in modo definitivo sin dal primo snap, e con un quarterback con già  un anello al dito, e pronto a ricordare chi sono questi Steelers che due anni fa alzavano il Vince Lombardi Trophy, semplicemente perfetto e carico di quello che alcuni, in America, chiamano killer instict.
Gli Steelers hanno dato un segnale di solidità  e si sono ampiamente confermati terza forza della nazione dietro le due predestinate, ma quanto visto stanotte va oltre i problemi di Baltimore e una notte di fortuna, quella di stanotte è stata una prova di forza come poche, una devastante supremazia che ha significato molto più della semplice "W" da aggiungere in classifica. La marea gialla ha esaltato e vinto, colpito e segnato, e ha evidenziato come, senza qualche sbavatura di troppo, il record potrebbe essere migliore. Di certo però, al di là  dei segnali lanciati dai Patriots piuttosto che dai Colts, quello giunto dalle sirene delle acciaierie della Pennsylvania è stata piuttosto chiaro: per mettersi l'anello al dito bisogna passare sopra Pittsburgh, e non sarà  facile. Per nessuno.

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