Kevin Everett

Kevin Everett soccorso da medici e compagni subito dopo l'infortunio…

L'anno in corso passerà  alla storia come uno dei più difficili nella storia della Nfl e che le cause che portano a pensare questo siano tutte diverse tra loro, da alcune tragiche fatalità  a scelte regolamentari, poco cambia, perché mai e poi mai Roger Goodell si sarebbe aspettato di aver a che fare con così tante brutte notizie a poco più di un anno dalla sua elezione.

Cominciato con la tragica morte del giocatore dei Denver Broncos Darrent Williams in un animalesco agguato armato nella notte di Capodanno, il 2007 ha portato con sé le squalifiche illustri di Pacman Jones (Titans) e, soprattutto, della più importante icona nera dello sport di Atlanta, Michael Vick, oltre alle mille polemiche sul comportamento da duro dello sceriffo Goodell, su una giustizia stavolta stranamente lenta, e via via tra sospensioni, doping e la nuova "spy story" che coinvolge niente meno che Bill Belichik e i suoi Patriots.

A parte New England, però, eravamo tutti convinti che con il kick off di giovedì notte tra Indianapolis e New Orleans tutto si sarebbe un po' pacato e che noi avremmo parlato e letto un po' più di football e un po' meno di polemiche. Fino a domenica.

Una domenica disastrosa che ha mietuto vittime in ogni campo da gioco, da Eli Manning, Brandon Jacobs e Osi Umenyiora per i Giants, Mike Brown e Dusty Dvoracek per Chicago, Orlando Pace, Chester Taylor, Cadillac Williams, la safety di Buffalo Ko Williams. Insomma, ce n'è per tutti e per ogni gusto. Alcuni di questi giocatori, vittime di una sosta troppo lunga e di preparativi che, tra palestre, preparazioni, corse, e cerimoniali amichevoli di preseason che tolgono il ritmo di gioco e la resistenza (oltre che l'attenzione) all'impatto, sono già  finiti nella IR, per altri, come Mike Brown, potrebbe essere addirittura finita la carriera.

Ma questo è il football, si dirà , l'infortunio è dietro l'angolo, quando dall'inattività  si passa al gioco, agli scatti e agli scontri veri, strappi, contusioni, stiramenti e, soprattutto, botte da orbi, cominciano a pesare come macigni sui giocatori meno pronti sulla linea di partenza. Si dice che solo dalla terza giornata in poi un giocatore professionista sia davvero rodato per la stagione, ma non credo esista una regola per tutti. Ciò che credo è che l'infortunio capitato a Kevin Everett domenica nel match contro i Broncos abbia lasciato tutti, almeno per un attimo, appassionati o meno, senza fiato.

Un normale scontro durante un ritorno con gli special team in campo, il tight end di Buffalo Kevin Everett che corre verso il portatore di palla, piega la testa, avanza una spalla e si lancia verso l'avversario che accenna appena a proteggersi; lo scontro, poi Everett cade in terra a peso morto e non si muove più. Forse il corpo non troppo abbassato, l'asse della testa e del collo troppo in linea, rigida, verso un corpo resistente, duro, che oppone resistenza e a sua vola spinge in senso opposto. Il collo di Everett ha ceduto, alcune delle prime vertebre si sono rotte, lui è rimasto a terra.

Quando capitano queste cose, per fortuna non troppo spesso, è il momento peggiore per ognuno di noi. E' il momento in cui il gioco smette di essere tale e diventa una cosa seria, il momento in cui un passatempo diventa un macigno che rotola pesantemente e senza controllo verso il fondo valle rischiando di investirci.

Questi sono i momenti in cui la magia sembra finire, in cui da bambino ti svegli uomo, momenti in cui anche il tuo hobby innocente ha un aspetto tragico e il tuo momento di relax è stressante come la vita di ogni giorno. Avresti voglia di spegnere il monitor e non guardare più, di chiudere il browser e non leggere più, ma alla fine hai due sole reazioni: cercare un perché che non esiste e reagire alle ragioni degli altri.

Come quelle dei media nostrani, ad esempio, che passano del football americano, puntualmente, solo notizie di morte, tragedia e il gossip pre e post Super Bowl, quei media, anche specializzati in sport, che vendono un'immagine farsa, di spettacolo circense animato da serial killer.

Sono finiti gli anni in cui Jack Tatum, detto "Assassin" colpiva con straordinaria cattiveria gli avversari obbligando la Nfl a rivedere le regole di contatto sui ricevitori, sono purtroppo finiti anche i giorni di Darryl Stingley, la vittima più famosa di Tatum, colpito violentemente nella preseason del 1977 e piazzato su una carrozzina per il resto dei suoi giorni, terminati, dicevamo, proprio il 5 aprile del 2007, l'anno più buio di questa lega.

E insieme ai media nostrani che passano tutto questo pattume, le improbabili affermazioni su blog, siti, commenti ad articoli "seri" come quelli della Gazzetta dello Sport, dove l'italico tifoso, ormai colto da febbre da rugby, ci spiega come "l'altra" palla ovale sia più nobile, onesta, corretta. Sportiva.

E così, un calciatore che muore per attacco cardiaco causa assurde regole sulla medicina sportiva di una delle più avanzate nazioni d'Europa è una tragica fatalità , un giocatore di football soltanto vittima della propria violenza da sfogare in un'arena di stupidità  e show business. Il football, cari esperti del bar Sport, non è uno sport violento, come non lo è la boxe dove pure, di tanto in tanto, ci scappa il morto.

La violenza è quando oltrepassi le regole del tuo sport, quando colpisci per far male, quando vai oltre ciò che è consentito mettendo a repentaglio la tua vita e quella di altri. Eppure la boxe passa ancora per nobile arte, mentre il football è uno spettacolo per amanti del grottesco e del trash, come un qualsiasi incontro di wrestling. Un atleta è violento, non lo sport che pratica. Un pugile è violento, un terzino, una safety; non la boxe, il calcio, il football.

Nessuno è qui per difendere questa disciplina ma, certamente, davanti alla sofferenza di Everett, è stupido fermarsi a pensare che sia successo tutto quasi con premeditazione da parte di una lega assassina.

Nessun giocatore di football, come nessun pugile, per quanto cattivo, feroce e sopra le righe, spera di vedere il suo avversario non rialzarsi più, di spedirlo all'obitorio, di metterlo su una carrozzina per sempre. Non è quello lo scopo per cui questa gente si batte.

E qui non stiamo parlando di amare od odiare gli Stati Uniti, la loro cultura, il loro modo di vedere le cose, né si discute di quel 5% di atleti che, usciti dal ghetto, continuano a far finta di nulla, picchiano, sparano si drogano o girano armati.
Non vogliamo nemmeno drammatizzare sui vizi di qualche stella sportiva col portafoglio troppo gonfio e che magari per noia decide di scommettere sui combattimenti tra pitbull.

No, quello che si fa da queste parti, di solito, nel bene o nel male, è parlare di sport, è onorarne l'essenza, per quello che noi riusciamo a concepire. E' dire che Everett amava quello che faceva e, probabilmente, sapeva quali fossero i rischi.

Che nel football, tanto quanto nella Nascar o in Formula 1 o in Nhl, gli highlights più spettacolari, quelli che catturano l'attenzione dei più, siano anche incidenti, scontri, risse e colpi duri, non è colpa dello sport in sé, ma forse proprio della natura umana che nel gesto estremo, nella tolleranza del dolore e del pericolo, trova lo spettacolo di uomini che ogni volta che indossano una divisa sembrano semplicemente migliori di noi, più forti.

E tutto questo non cambierà  di certo ora, in un mondo dove tutto è più veloce e ad ogni regola di sicurezza aggiunta in talune discipline, migliorano anche la velocità , la potenza e le strutture fisiche degli atleti raggiungono livelli estremi grazie alla scienza, i programmi personalizzati che controllano diete, esercizi, corse, sesso, passeggiate. Ma la Nascar non rallenterà  le proprie macchine, la boxe non smetterà  di esistere, il football non si trasformerà  nel più "gentile, educato e signorile" rugby.

La stagione brucia in quattro mesi, cinque per i più fortunati, il resto sono camp, mini camp, training camp; tanta preparazione atletica, tanti esercizi e pochi, pochissimi scontri veri. E non può essere diverso. Che poi questo condizioni la preparazione all'evento di molti giocatori, che porti a commettere errori o leggerezze non importa granché, perché oggi avremmo voluto storcere il naso per una lega che ci privava suo malgrado di tante stelle, di tanti giocatori interessanti, di tanti nostri idoli. Quando Everett è caduto, però, abbiamo capito che non sarebbe stato così e che chi stava finendo in IR poteva tutto sommato tirare un gigantesco sospiro di sollievo.

Avremmo fatto riferimento a cose tipo "bollettino di guerra" senza essere tanto indelicati da paragonare un evento sportivo a tragedie immonde che colpiscono il mondo ogni giorno, avremmo cercato di farci tristi per parlare di questo legamento che si strappa e quella spalla che va fuori posto.

Lo stadio si è però zittito, i medici in campo, Everett che non si muove, l'ambulanza, tutti i compagni inginocchiati intorno a lui, stretti fra loro quasi a proteggere il proprio compagno, pregando con e per lui. Sono momenti che, aldilà  di ogni più scontato qualunquismo, di ogni più prevedibile retorica, nessuno di noi scorderà  mai.

Everett è stato portato all'ospedale e operato d'urgenza quando persino la vita del giocatore sembrava in pericolo. Operato alle vertebre e tenuto appeso all'esistenza terrena, ci è stato detto che non sarebbe più stato un giocatore di football e che si stava valutando quello che questo ragazzo avrebbe potuto ancora muovere, quanta mobilità  agli arti avrebbe recuperato.

L'ultimo comunicato, per fortuna, parla di "autentico miracolo", il giocatore ha mosso autonomamente gambe e braccia e per i medici è un ottimo segnale, così come per noi un momento di tranquillità  e pazienza se avremo un Everett in meno in campo.

Perché dentro di noi sappiamo che tutto andrà  avanti, e non solo nella fantascientifica ed ingombrante realtà  americana, ma in tutto il mondo, business o meno, la gente, gli spettacoli, vanno avanti. Come è andato avanti il ciclismo senza Pantani, la Formula 1 senza Senna, il motociclismo senza Rainey.

Non volevamo discutere di tutto questo, difendere uno sport che non ha bisogno di essere difeso da chi ha abbastanza intelligenza per capire, non riteniamo sia il posto giusto per certe dichiarazioni, per certe argomentazioni.
Tanto meno è convinto, chi scrive, di avere le carte in regola per poter dire o fare ciò che vuole, per sentenziare su altri o discutere di eventi tanto drammatici.

Avremmo dovuto parlare dei tanti infortuni che condizioneranno le sorti di parecchie squadre dopo solo sessanta minuti di football, avremmo dovuto farlo per puro spirito di informazione e discussione. Ma il caso di Kevin Everett era un peso troppo grande, una parte troppo seria di un film che dovrebbe solo risollevare lo spirito e non ricordare ogni secondo cosa c'è là  fuori. Lo sappiamo, abbiamo i piedi per terra quando vogliamo; è che amiamo questo sport e vorremmo parlarne bene anche quando le cose vanno male.

Abbiamo parlato di Kevin Everett o, meglio, del mondo che lo circonda e dei pensieri che hanno colpito il sottoscritto, sinceramente scioccato da un evento così lontano, inserito in un sistema così futile per la vita di tutti i giorni, ma sentito davvero vicino.

Vi abbiamo parlato di Everett, che probabilmente nella vita sa fare solo il giocatore di football e che certamente non lo potrà  più fare; vi abbiamo parlato di banalità  sportive perché solo banalità  sono volate dai soliti insulsi tifosetti calciofili (nulla contro la categoria più seria, per carità ) che, puntualmente, sono convinti di conoscere ogni sport ed ogni sua sfaccettatura, fastidiosi come quegli ubriaconi che attaccano bottone al ristorante solo perché hai gli occhi alzati verso la televisione che trasmette l'ItalBasket e pensano di potersi fingere appassionati perché convintissimi che tutti, in Italia, si ami il calcio e si segua con distacco qualsiasi altra cosa.

Avremmo potuto essere meno ripetitivi, scontati, qualunquisti, populisti e tutto ciò che di palloso e inutile vi viene in mente, ma nella nostra passione abbiamo pensato che un articolo su Kevin Everett non lo si potesse scrivere né bene né male, ma che fosse importante semplicemente scriverne.

E se anche dopo il titolo ci si fermasse, si smettesse di leggere, andrebbe bene comunque perché quei pochi sfigati che sanno cos'è il football sapranno ascoltare e stringersi attorno a Kevin. Per chi ama questo sport, come chi lo pratica, sa che tutto questo può accadere, ma non vorrebbe mai vederlo succedere, come bambini che guardano al proprio eroe convinti che mai nulla potrà  fermarlo, sconfiggerlo, ucciderlo.

Dal "rookie blog" di Greg Olsen

"Ho giocato con Kevin per due anni al College di Miami. Lui è stato il tight end titolare prima di me e dopo Kellen Winslow. Quando io ero "redshirt" freshman lui era il TE, io l'H-back, insomma, eravamo i due tight end.
Abbiamo un ottimo rapporto, e gli auguro tutto il bene possibile. Stiamo tenendo tutti le dita incrociate perché le cose vadano meglio di quanto pensano i medici. Ognuno di noi pensa soltanto a lui in questo momento.

[…]

E' semplicemente incredibile. E' incredibile che succedano queste cose, sono infortuni che non puoi prevedere e ai quali non vuoi pensare. Ginocchia, caviglie, spalle e mani sono in genere gli infortuni a cui pensa la gente quando parla di giocatori di football. Ma non pensano al rischio per la vita, o a infortuni a lungo termine come questo.

[…]

Come giocatore di football non puoi pensare a questo genere di rischi. L'opportunità  che capitino c'è sempre, ma non puoi pensarci o rovineresti ogni cosa".

A pensarci, quindi, non riusciresti a giocare.

Greg Olsen (tight end dei Chicago Bears) ex compagno e amico di Kevin Everett e Alessandro Santini (mai giocato a football) amante della Nfl e amico di Kevin Everett vi hanno parlato di Kevin Everett. E pazienza se qualcuno della vostra squadra si è fatto male domenica scorsa. Incrociate le dita.

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