Cedric Benson: il reparto corse di Chicago avrà bisogno anche di lui per avanzare nei playoffs.
Nel prossimo week-end la NFC conoscerà il nome delle due squadre che si contenderanno il Championship del 21 gennaio quando la sorella più vecchia (la National, appunto) stabilirà che andrà a contendere il Super Bowl alla dominante AFC. Sarà l'esordio dei New Orleans Saints del coach of the year di questa stagione 2006 Sean Payton, primo anno da allenatore e subito capace di spedire i tifosi gigliati dalle lacrime di Katrina alla gioia della postseason. Gara difficile contro i Philadelphia Eagles, usciti vincenti dalla wild card per 23-20 contro i NY Giants.
Sfida interessante come poche, la sorprendente armata di Payton si è aggrappata al secondo posto in conference grazie ad un 10-6 finale che non solo risolleva nettamente le tre misere vittorie di un anno fa, ma eguaglia il record del 2000, il più alto per la franchigia dal 1992 a oggi. I Saints hanno sorpreso con un gioco rapido in attacco, ben strutturato e diversificato, con le corse centrali di Deuce McCallister e i numeri atletici di Reggie Bush ad infiammare il Louisiana Superdome, mentre Drew Brees rinasceva dietro al centro e Marques Colston vinceva il virtuale "steal of draft of the year". Difesa fresca, vivace, concreta, i Saints hanno tutte le carte in tavola per rimanere in alto parecchie stagioni, con una età media non altissima e un allenatore che ormai in Louisiana è un messia più che un semplice head coach.
I Playoffs della NFL, e non solo quelli a dire il vero, sono però un'altra cosa, un campionato diverso, fatto di partite senza domani, di pressione, di tensione che ti prende lo stomaco e ti tiene intrappolato per sessanta minuti (di più, con le pause molto di più). E allora ecco spuntare la vera immensa differenza tra New Orleans e i suoi avversari, quei Philadelphia Eagles che puntano alla quinta qualificazione ad un Championship in sei anni. Praticamente sempre, quando arrivano ai playoffs.
Entrambe le franchigie erano assenti dai playoffs 2005, ma mentre l'ultima apparizione dei Santi è datata gennaio 2001 (sconfitti a Minnesota proprio nel divisional dopo aver battuto i Rams alle wild card), quella di Phila risale a gennaio 2005 e corrisponde alla partecipazione al Super Bowl XXXIX. Anche nel 2000 i Saints avevano cominciato la stagione regolare con un nuovo allenatore (Jim Hasslet) che andava a sostituire il "vecchio" Mike Ditka ribaltando lo stesso risultato del 2005 con identiche sorti. Da 3-13 a 10-6.
Philadelphia non avrà Donovan McNabb, ma ormai ci ha fatto il callo per questa stagione, e l'idea di aver dominato la NFC per anni inciampando sempre all'ultimo ostacolo è comunque ancora viva dentro la testa di tutti i giocatori e di coach Andy Reid.
Reid punterà di nuovo tutto su Jeff Garcia, reduce da una discreta prova contro i Giants, senza punte di alto tasso tecnico, ma anche senza errori gravi, un capitano coraggioso che ha saputo tenersi a freno, giocare con la dovuta calma e lasciare che fosse Brian Westbrook, vera arma in più degli Eagles, ad aprire in due la difesa avversaria. I Saints sanno di avere maggior solidità di quanta non ne abbiano i Giants in difesa, e sanno di poter colpire meglio e con più continuità quella degli Eagles, dando meno punti di riferimento e puntando su Drew Brees, uno che non fa i playoffs tutti gli anni ma ha già avuto modo di assaggiarne un pezzetto e che, volere o volare, in tabellino ha scritto 4418 sotto la voce "yards lanciate" a fine stagione. 4418.
La logica impone di chiamare come favorita proprio la squadra guidata da Brees, la quale ha mostrato un football davvero migliore rispetto a quello di Phila per lunghi tratti della stagione, ma la verità è che nessuno se la sente di dare per spacciati gli Eagles. E a ragione. Philadelphia sa di dover contenere al meglio le folate offensive dei Saints, chiudere le porte a McCallister e sorvegliare le flats dove Bush potrebbe andare a prendere un pallone corto per trasformarlo in oro. Se l'intento riesce con Garcia vi è la certezza di poter gestire il cronometro ed il gioco con maturità e senza forzature, dando a Westbrook il solito compito di fare la differenza, cosa non impossibile nemmeno in questo caso anche se la difesa avversaria non è proprio quella morbida incontrata coi Giants.
Philadelphia è già passata dal Louisiana Superdome di New Orleans il 15 ottobre (week 6) perdendo di tre con un field goal all'ultimo secondo. Altra partita (c'era McNabb) ed altro spessore, ma gli indici sono abbastanza rassicuranti. Gli Eagles intercettarono due volte Brees (e i turnover ai playoffs sono una chiave fondamentale per ogni partita), chiusero piuttosto bene sulle corse di Bush e McCallister soffrendo particolarmente sui lanci per Joe Horn. Si ricomincia da lì, con una gara dominata nel terzo quarto e quasi chiusa da un TD di Reggie Brown a inizio dell'ultimo, meta che dava un parziale di 21-0 per Phila poi clamorosamente crollata quando l'inerzia era totalmente nelle sue mani.
Si riparte da lì, con un rematch inedito e, a settembre, impronosticabile, i ragazzi immaturi, ma simpatici e terribili, di coach Payton e i veterani di coach Reid, ormai la squadra più in vista del momento capace di rialzarsi e cominciare a correre quando tutti la davano per spacciata. L'esperienza la farà da padrona? Se, come spesso accade ai playoffs, la risposta sarà sì allora Phila ha grandi speranze, ma se New Orleans si limiterà a non sbagliare puntando su qualche big play improvviso, bene, allora allacciatevi le cinture perché lo show decollerà in Louisiana.
Domenica toccherà invece la capo-classifica della conference. I Chicago Bears, reduci da una regular season da 13-3, ospitano i miracolati Seattle Seahawks, salvatisi grazie al pasticcio di Tony Romo nella vittoria sui Dallas Cowboys. Anche qui, come nella gara di sabato, si parte da un rematch, dopo che i Bears si divorarono nel Sunday Night di week 4 proprio gli 'Hawks, superandoli 37-6.
E' un'altra Seattle, ha recuperato Shaun Alexander e abbandonato così le follie della spread offense più prevedibile del pianeta; Alexander non sembra in forma massima, ma è sempre Alexander, uomo che contro Chicago può risultare decisivo se la difesa di questi ultimi non risultasse del tutto recuperata.
Ci sono problemi anche per Darrell Jackson, e le secondarie non sono per nulla in salute quando nemmeno il recupero di Marcus Trufant potrebbe garantire davvero un certo spessore. Non ci sono dubbi, la migliore Chicago vista quest'anno vincerebbe quasi sicuramente contro Seattle, soprattutto contro quella vista nell'ultimo mese. I Bears però sono schiavi di una difesa che comincia ad accusare il colpo della fatica e delle assenze e la fortuna è che tutte le secondarie, eccezion fatta per il povero Mike Brown finito in IR, saranno a disposizione degli ordini del signor Lovie Smith.
Brian Urlacher giocherà la sua terza gara di playoffs e le speranze di tutti sono che sia proprio il leader massimo del reparto che ha costituito la piena forza dell'intero team nelle ultime due stagioni a guidare la carica. I Bears sono vittime anche della labile mente del povero Rex Grossman, a volte troppo schiavo della semplicità dei giochi offensivi disegnati per lui da Ron Turner, il quale in questi due anni ha dimostrato di avere ancora una mentalità troppo collegiale, con tanti giochi molto simili gli uni agli altri e senza una vera idea di "cambio in corsa" col quale salvaguardare la psiche di Grossman dagli errori e rendere meno prevedibile l'offensiva dei Bears.
Grossman è partito alla grande crollando in alcuni punti della stagione durante i quali, gli avversari, abusavano di una linea non al top nella passing protection e mettevano in seria difficoltà il quarterback ancora incapace di giocare con continuità qualcosa di diverso dal verticale secco; che poi finisca tra le mani di un receiver o quelle di un cornerback poco importa, l'importante è che da qualche parte arrivi. Ed il problema aggiunto è l'incapacità (per la sideline) di gestirlo dopo un errore grave e (per sé stesso) la possibilità di ritrovarsi senza affogare in un bicchiere d'acqua dopo un turnover.
Seattle può giocare la carta esperienza così come per Phila nell'altra sfida di NFC, ma questo è già il secondo anno di fila ai playoffs per Chicago e molti credono che qualcosa possano aver imparato dagli errori commessi contro Carolina l'anno scorso. Del resto i Seahawks non hanno ottenuto troppi successi in postseason prima di riuscire ad approdare un anno fa al Super Bowl. La gara dipende molto da Grossman sulla sponda della Chi-Town, debole mentalmente ma capace di giocare otto o nove gare davvero di buon livello in regular season. Non perdere palloni ai playoffs è fondamentale (lo avevo già detto, no?), e Rexy ha la fortuna di trovarsi una coppia di RB, come Thomas Jones e Cedric Benson, assolutamente di livello, con quest'ultimo sempre più padrone del backfield in dicembre sino alla prima gara da vero starter in week 17 contro Green Bay, coincisa con l'esordio in tripla cifra nella sulle corse in NFL per l'ex talento di Texas.
Non perdere palloni quindi, e se le secondarie di Seattle non recuperano vivacità le probabilità di passare non sono poi pochissime. Idem per la difesa, che avrà il suo bel da fare su Deion Branch e Bobby Engram o gli altri che ruoteranno; è soprattutto l'impatto che Alexander può piazzare sulla gara a spaventare però i tifosi di DaBears. Dopo l'infortunio di Mike Brown a Chicago è mancato proprio l'uomo in più sulle corse avversarie, la safety che scende nel box ed entra in blitz rubando il tempo nel backfield avversario o, semplicemente, confonde le idee e le letture sulla difesa e lasciare maggior spazio a Urlacher e Lance Briggs. Fondamentale quindi il gioco di "The Great", il quale può togliere pressione alla tasca, mangiarsi yards e dare meno punti di riferimento ai Bears: è l'arma che serve davvero Seattle. Togliere consapevolezza a Grossman non è difficile, ma non è detto che basti, ed in stagione è stato più volte dimostrato.
Non perdere la testa di Grossman, da una parte, recuperare le gambe di Alexander, dall'altra. Una sfida che sarebbe stata scontata due mesi fa ma che si mantiene apertissima in questo periodo dell'anno, quando gli dei del football chiudono gli occhi e lasciano che tutto vada come deve andare, senza più tifare per nessuno.