Grosso guaio a Cincinnati.

Carson Palmer perde il pallone che rivitalizza i Chargers nella gara di domenica scorsa; tolto questo fumble una gara perfetta e persa per lui e i suoi Bengals.

Tutti pensavano che a Cincinnati non restasse che volare dopo il recupero del proprio quarterback Carson Palmer, una sensazione quasi obbligata considerando che in molti, tra tifosi e analisti, avevano più volte affermato che, con il proprio passer a disposizione, i Bengals sarebbero arrivati al Super Bowl già  nel gennaio scorso. Sappiamo tutti com'è finita, con un incidente di gioco al primo drive di Wild Card Playoff di AFC contro gli Steelers, il grave infortunio sul lancio più lungo nella storia della franchigia in postseason, il tentativo di Jon Kitna di tenere a galla la squadra e la fuga definitiva verso il titolo di Pittsburgh. Un boccone amaro da digerire, per i tifosi e per lo stesso giocatori consci del fatto che, contro quei Colts, l'impresa sarebbe stata possibile anche per loro e tutto sarebbe andato liscio fino alla fine. Invece tutto finito in una gara che ha aiutato solo ad accrescere l'odio per gli acerrimi rivali di Pittsburgh e per l'incolpevole Kimo von Oelhoffen, uomo di linea dal nome impronunciabile (ma è persino peggio doverlo scrivere").

Palmer è tornato, a tempo di record secondo molti osservatori, ma comunque è presente; ha persino ricominciato a giocare come dio comanda, con forza, precisione, accuratezza. Eppure i Bengals annegano in un misero 4-5 che li tiene relativamente lontani dalla lotta per la postseason e li vede costretti a rimpiangere decine e decine di episodi che stanno mandando in frantumi una stagione aperta nel migliore dei modi. Il buon Palmer sta lanciando con il 63% di efficienza, ha toccato le 2319 yards e trovato la segnatura grazie ai propri palloni messi in aria per 15 volte. Il suo gioco offensivo si regge in buona parte sul possente runningback Rudi Johnson, su uno dei più chiacchieroni receiver della lega ( Chad Johnson, 743 yards e 4 TD) e sull'onesto T.J. Houshmandzadeh, silenzioso professionista e gran lavoratore. La linea fa il suo dovere, i tight end Reggie Kelly o, all'occorrenza Tony Stewart, sono buoni atleti, discreti ricevitori e abili bloccatori.

Un attacco, insomma, che ritrovato il proprio leader in sala comandi ha ricominciato a macinare a dovere yard su yard, cominciando la stagione col botto ma arenandosi, quasi improvvisamente, anche contro gli scogli più piccoli. La difesa è certamente peggiorata sul gioco di corse dove un anno fa riusciva, se non a primeggiare, perlomeno a porre un grosso limite per gli avversari, ed il problema del gioco aereo non si è risolto. Il grosso limite della stagione 2005 porta quindi un pesante strascico anche in questo 2006 dove via aerea Cinci conta oggi la difesa numero 28 per yards concesse quando, dodici mesi fa, era appena 26^. Il problema, prevedibile, rimane quindi la squadra difensiva, certamente non all'altezza di chi vuole competere per qualcosa di infinitamente grande come un Vince Lombardi Trophy ma, a questo punto, nemmeno capace di gestire i vantaggi creati da Palmer e compagni, nemmeno contro squadre di basso profilo o con distacchi del tutto impareggiabili.

L'esempio più lampante è la rimonta subita dai Chargers domenica scorsa dopo un primo tempo chiuso avanti per 28-7. Palmer è riuscito nell'impresa di chiudere la gara con un 31/42 per 440 yards e tre TD, mettendo Chad Johnson nella condizione di chiudere con un 11 ricezioni per 260 yards (più due mete) mentre l'altro Johnson, Rudi, ricopriva 85 yards su sole 18 portate. Il risultato è stata una produzione offensiva pari a 545 yards in poco più di trentuno minuti di possesso e una difesa completamente rasa al suolo da sir LaDainian Tomlinson, quattro TD e tutti a casa.

Una sconfitta prevedibile forse prima della gara, ma che fa male, troppo male, per come è maturata. Rialzarsi in AFC è molto dura e competere con squadre che scappano a 7-2, 6-3, 5-4 (sei team in tutto) non è certo facile. Se il buongiorno si vede dal mattino, comunque, non vi trovate a Cincinnati, Ohio, perché qua il sorgere del sole era uno spettacolo da favola, ma il resto ha fatto piangere un anche gli animaletti domestici del tifoso più accanito. Messe in fila Kansas City, Cleveland e Pittsburgh, i Bengals s'involavano a dominare division e conference appaiati ai Colts, con un gioco offensivo ai limiti della prepotenza ed una difesa apparentemente sicura. Il crollo con New England, anche se interno e piuttosto roboante (13-38), fu da molti considerato un incidente di percorso, ma proprio in quella domenica i ragazzi di coach Marvin Lewis hanno smesso di trovare continuità . E qui è nata la madre di tutte le colpe: la concentrazione, ossia quel fattore fondamentale nel football tanto quanto negli scacchi (dove però non ti picchia nessuno a meno che non si tenti di barare, ma persino in quel caso è un evento piuttosto raro) che va portato a fondo in ogni partita, una dopo l'altra per sedici incontri.

Il bye seguito alla sconfitta con i ragazzi terribili di Bill Belichick avrebbe dovuto dar modo di riflettere alla franchigia dell'Ohio ed invece ecco il più clamoroso dei crolli, contro una Tampa ancora a zero vittorie e ben lontana dall'idea di un football concreto. Un altro giro di attacco discreto (non fenomenale), senza palloni persi e con buoni guadagni, ma sempre troppo lontani dalla redzone e con una difesa che, all'ultimo secondo ,si lascia scappare Michael Clayton per il TD della sconfitta quando a lanciare, oltre la barricata, c'è nientemeno che Bruce Gradkowski, un rookie alla seconda partenza come titolare. Subito dopo la parentesi vittoriosa, e sofferta, contro Carolina, prima della caduta verticale che ha tolto quasi ogni speranza ai tifosi di Cincinnati.

Atlanta (27-29), attacco devastante e difesa presa in giro da un Michael Vick in versione super eroe; Baltimore (20-26), con un Palmer ai limiti dell'indecenza e una rimonta fallita dopo un match in salita sin dalle prime battute; San Diego (41-49), la già  citata impresa degli avversari, colpiti, affondati, distrutti e, alla fine, clamorosamente vincitori. Il problema difensivo potrà  essere risolto soltanto a fine stagione, ciò che sembra chiaro oggi è l'impossibilità , con questi mezzi, di rincorrere un posto ai playoffs. Si ha un bel da guardare al fumble di Carson Palmer che ha riaperto le danze ormai chiuse con San Diego o a una meta subita quando lo stadio è vuoto e tutti sono già  sulla via del ritorno, certi episodi, nel football, vanno sempre tenuti in considerazione e una partita, quando è da chiudere, va sempre chiusa in modo definitivo. Per i regali c'è il natale, quando guardando al proprio record si può stabilire se sia il momento di rifiatare un po' in attesa del lunghissimo gennaio.

La concentrazione però, quella va ritrovata al più presto, per non dare l'idea che la stagione sia da buttare in toto e per cercare comunque di inseguire un traguardo che, con questo attacco, appare ancora possibile. Se San Diego e Denver la fanno da padroni nella West e sembrano in grado di prenotare due posti (con un posto nel seed in meno su cui contare) è comunque sicuro che recuperare i 5-4 di NY Jets o Jacksonville è impresa ancora possibile, anche se il calendario non è dei più semplici (trasferte a New Orleans, Indianapolis e Denver in primis); del resto sperare di riprendere Baltimore (7-2) che ha anche già  vinto uno scontro diretto e puntare a conquistare la division sembra un'impresa più adatta a una sceneggiatura di Hollywood che non alla realtà  dei tigrotti del Bengala.

Un peccato, soprattutto considerando che Pittsburgh è in stagione incredibilmente negativa e che i Ravens, con un po' più di fiato sul collo, potrebbero perdere alcune di quelle certezze che, finora, gli hanno permesso di risollevarsi in alcune partite e di strappare vittorie ormai date per perse. E la differenza sta proprio qui, passa per quella concentrazione che Steve McNair e ray Lewis riescono a trasmettere ai propri compagni per riuscire a portare a termine rimonte difficili o di congelare risultati che, seppure striminziti, regalano pur sempre una Big W. Anche Baltimora soffre di discontinuità  e non sembra assolutamente in grado di strafare una volta giunta ai playoffs, ma per ora è stata più brava nella gestione delle gare ed il vantaggio acquisito sarà  difficilmente colmabile da chi, nella prossima postseason, avrebbe voluto esserci per giocarsi finalmente tutte le proprie carte, dimenticando una volta per tutte Kimo von Oelhoffen, un maledetto infortunio e una partita mai cominciata.

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