Rex Grossman, il quarterback che ha ridato peso al gioco aereo di Chicago e rilanciato le quotazioni dei Bears a livelli altissimi.
Se è davvero la quarta giornata di football a dare le prime indicazioni concrete sulla stagione, ciò che sta mettendo in piedi Chicago lascia supporre che nessuno potrà togliere agli uomini di Lovie Smith la corona di campioni NFC. Per frenare però subito i facili entusiasmi lo diciamo subito: non è così. Di vero c'è il fatto che, dopo tre o quattro partite di assestamento, in ottobre si entra in forma cominciando a girare al top, ma un terzo di stagione rimane pur sempre un terzo di stagione, period (per dirla all'americana). Certo, è molto facile cominciare a cercare i parallelismi con i Bears del 1985, squadra dalla difesa insuperabile e capace di vincere un Super Bowl con un impatto sulla lega a dir poco devastante, probabilmente maggiore di quello dei "Perfect" Dolphins del 1972.
La squadra di Mike Ditka disputò una stagione semplicemente epica, un gruppo di uomini con una determinazione mai vista e in grado di portare avanti un campionato che li vide tra i favoriti senza mai il minimo dubbio che qualcosa potesse andare male. Una sola sconfitta in stagione, quattro shutouts imposti agli avversari di cui due ai playoffs durante i quali i Bears subirono solo 10 punti nel Super Bowl, non prima di aver costretto il povero Eason alla peggior prestazione in una finalissima (zero passaggi completati e tanti, troppi, rapporti stretti col terreno di gioco) e alla sostituzione.
Quanto c'è di simile tra queste squadre? Non è facile dirlo e, onestamente, è un paragone che lascia il tempo che trova. Il fatto è che, a forza di cercare il difetto delle squadre battute finora, ci si è svegliati lunedì mattina con i recenti finalisti del Super Bowl, i Seattle Seahawks, completamente asfaltati. E non può essere solo l'assenza di Shaun Alexander, la partenza di Steve Hutchinson o la scelta, quasi obbligata, di schierare una spread offense a quattro ricevitori contro una delle difese più forti della lega. No, non può essere solo questo, ed infatti non lo è. Lovie Smith ha messo mano al progetto Chicago Bears nel 2004 con l'intento, mai nascosto, di voler giungere un passo alla volta sino al trionfo finale. Risolti i problemi di infortuni che ne avevano condizionato la stagione d'esordio, Smith ha subito riportato Chicago ai playoffs e, riottenuto un quarterback quanto meno in grado di tenere il campo, ha iniziato questa stagione in modo esaltante. Seattle avrà i suoi problemi, ma il punto vero è che Chicago è cresciuta tantissimo, più di quanto ci si aspettasse.
Vedendo le prime quattro uscite dei Bears vengono in mente due scontri, in un certo senso simili, disputati nella scorsa stagione e si nota immediatamente come, il fatto di aver acquistato potenza nel gioco aereo, abbia immediatamente dato una compattezza ed una globalità al gioco offensivo, riportando in un certo senso tra i giocatori quella consapevolezza che si respirava nel locker room del 1985. Le partite in questione sono quelle che i Bears giocarono con Kyle Orton in cabina di regia a Washington, all'esordio, e in casa con Carolina a metà stagione. I paralleli li troviamo nelle ultime due gare di questa stagione a Minnesota e nel Sunday Night interno contro Seattle. Nel primo caso situazione molto simile, con Chicago sotto 9-7 nella capitale e 16-12 a Minnesota e con palla in mano per l'ultimo drive. Posizione di campo favorevole quest'anno, certamente, ma a settembre 2005 successe di tutto: nervosismo e inesperienza portarono a tre false partenze della linea con conseguenti 15 yards di penalità , fin quando Orton non provocò un fumble che venne ricoperto dai Redskins. Partita persa. Due settimane fa, invece, un Rex Grossman messo spesso sotto pressione, intercettato un paio di volte e che, proprio con una palla regalata aveva dato il vantaggio ai Vikings, guida il drive vincente con un td pass per Rashied Davies: lancio perfetto, traccia ottima, la copertura che raddoppia su Bernard Berrian e i Bears segnano. Un Grossman forte, soprattutto a livello mentale, un quarterback che non ha paura di sbagliare e di imporre il proprio gioco. Game, set, match.
Contro Seattle abbiamo invece rivisto, in un certo senso, la stessa partita difensiva che uccise le velleità dei Panthers versione 2k5, bloccati da otto sacks e due intercetti e ridotti alla miseria di tre punti totali. Fu la difesa a farla da padrona impedendo ogni tentativo di rimonta degli avversari mentre l'attacco, capitalizzando due turnover con 10 punti, si limitò a contenere, far correre l'orologio e portarsi a 13 punti. Contro Seattle l'attacco ha invece sfruttato tutto il lavoro difensivo, costruito di nuovo su grandissime penetrazioni, su di una pressione costante ai danni del quarterback, una prestazione arricchita da cinque sacks e due intercetti compiuti, proprio come allora, da parte di un nickel back. Grossman ha però spinto sull'acceleratore e la squadra ha chiuso senza patemi sul 37-6, rendendo evidente come si possa capitalizzare un vantaggio difensivo del genere quando in attacco (più o meno) funziona tutto.
E' quindi l'attacco la vera grande novità , un gioco offensivo che sembra aver ritrovato i giri giusti sulla linea e tra le gambe di Thomas Jones, finalmente ritornato a buoni livelli domenica scorsa. Ma un gioco offensivo che nell'infinita storia dei Bears conta, una volta tanto, su un game plan via aria davvero buono. Rex Grossman sembra finalmente ristabilito e in grado di trasformare la West Coast Offense pensata da Ron Turner in un gioco decisamente più verticale, con maggiori rischi e maggiori guadagni, dando spazio ad ogni target a disposizione. I tight ends, come Desmond Clark, fondamentali in ogni traccia ed i receivers, sfruttando Mushin Muhammad per le giocate più "complesse" e il veloce Bernard Berrian per le aggressioni in downfield. Sempre pronto Rashied Davies, ex Arena Football League, veloce e abile soprattutto in situazioni di terzo e lungo. Mark Bradley, altro velocissimo talento, in attesa di qualche pallone in più è un'altra delle scommesse di questa Chicago: possibile che perdano proprio su questa?
Grossman si ritrova così ad essere il quinto miglior passer della lega (1061 yards) con già otto td lanciati e solo tre intercetti subiti e un rating da far paura. Come si permette, un quarterback di Chicago, un rating di 100.8? Roba da infarto, da coronarie davvero resistenti; vederlo muoversi e cercare il profondo fa ancora paura a molti, vederlo riuscirci rende ancora tutti increduli il più delle volte. Soffre le giocate sotto pressione il quarterback ex Florida Gators, pur essendo un buon scrambler, infatti, raramente trova il modo di giocare intelligentemente il pallone quando ha le mani avversarie addosso. Palloni sparacchiati o appoggiati troppo lentamente verso un compagno, mai la malizia di perdere qualche yard, piuttosto che il pallone, o di scagliare l'ovale in tribuna. Problemi di campo, di chi, fino a un anno fa, aveva più presenza all'ospedale che nell'huddle della propria squadra. Per ora la scommessa di Jerry Angelo che lo scelse al primo giro del draft e che lo confermò a roster, d'accordo con Lovie Smith, anche nel 2005 quando la sfortuna aveva di nuovo travolto il giovane QB, sembra vinta. Una scommessa, una delle tante, che riguarda anche Cedric Benson, talento di Texas, running back troppo spesso fermato ai box anche per questa stagione. Gli infortuni di preseason, il suo e quello di Jones, hanno penalizzato questo avvio stagionale del running game di Chicago, ma la fiducia riposta in Benson dal coaching staff appare ridotta al lumicino.
Il secondo anno Benson ha certamente un carattere difficile, ma le gestione centellinata del suo lavoro non dà ancora una chiara idea di quanto potrebbe valere il ragazzo in NFL. Jones resta una sicurezza, buon corridore e miglior bloccatore del rivale, ma la presenza di Benson sulla sideline non può restare eterna.
Nonostante Benson però, le scommesse vinte da dirigenza e allenatori non si fermano a Grossman, con un Bernard Berrian finalmente scopertosi perfetto per i big play (già tre ricezioni TD da più di 40 yards), l'esperto Muhammad che ricomincia a funzionare e quel Desmond Clark, TE col passato da receiver collegiale, che tanto era stato bistrattato dai vari mock draft primaverili i quali volevano, a tutti i costi, un suo sostituto tra le chiamate di Jerry Angelo. Nonostante il lieve acciacco contro Minnesota che ne ha condizionato anche l'uscita contro i Seahawks, Clark è arrivato a guadagnare 232 yards (con un TD), quando il suo record stagionale è di 566 come WR dei Broncos e di 433 a Chicago. Nell'attuale posizione, nella Second City, ha ottenuto rispettivamente 282 e 229 yards nelle ultime due stagioni.
Se il gioco aereo continuasse su questi livelli ed il running game fosse completamente recuperato, insieme ad una linea di peso ma un po' avanti con gli anni in alcuni uomini, allora l'attacco di Chicago potrebbe dirsi completo per ogni livello e, certamente, un mix di giochi che nella Windy City sono un novità quasi assoluta, anche per gli eroi del 1985, retti quasi esclusivamente dalla corsa di quel fenomeno che rispondeva al nome di Walter Payton.
Sulla difesa non ci sarebbe da spendere quasi nessuna parola, basterebbe riprendere gli articoli di un anno fa e troveremmo più o meno gli stessi elogi. Grandi i nuovi inserimenti, una defensive line tosta, veloce, compatta, devastante e con una profondità da far invidia alle altre trentuno franchigie della lega. Il reparto linebacker retto da Brian Urlacher, un ammiraglio incredibile, un pilota difensivo come ce ne sono pochi e Lance Briggs, splendido colpitore, veloce e pragmatico in grado di contenere ogni tipo di giochi. Un mix che non ha bisogno di commenti e che fa del front seven di Chicago un muro altissimo per ogni attacco avversario. Le secondarie sembrano invece non brillare come in altre occasioni; Nathan Vasher accusa ancora un ritardo di preparazione, Charles Tillman non è Jerry Azumah e non può fare la differenza da solo, ma dal reparto safeties arrivano comunque buone notizie. Mike Brown è sempre un grande leader e ottimo per giocare in ogni metro quadro del campo purché non si faccia male (come al solito), mentre Danieal Manning (Division II al college), è già diventato titolare ai danni di Chris Harris del quale è migliore in fase di copertura e posizionamento, nonché nelle letture del gioco.
Una difesa tenuta insieme da Ron Rivera, "costretto" a rimanere nello staff da Lovie Smith e capace di dare continuità a un insieme di grandi giocatori. Tommie Harris (5 sack) ed Adewale Ogunleye per le penetrazioni, Urlacher a guidare il reparto, Briggs a coprire gli spazi orizzontali, una frequente nickel defense che si giova di un giocatore esperto ed efficace come Ricky Manning. Non ci sarà voluto molto a obbligare Rivera a restare, c'è un ottimo reparto da guidare e un immenso progetto da inseguire. Ottimo il lancio nella lega del rookie Mark Anderson, scelto al quinto giro e già adattissimo al gioco di linea difensiva dei Bears; durante le rotazioni l'ex Alabama ha mostrato doti incredibili, rapidità e grande forza, trovandosi perfettamente adatto al gioco di penetrazione nel backfield avversario proposto da Rivera e che ha già regalato alla matricola 3.5 sacks.
Un progetto che ottiene ottimi risultati anche dagli special team, dove Devin Hester come kick returner appare a volte un po' troppo confuso, evidenziando ugualmente a sprazzi le notevoli qualità che più o meno tutti si aspettavano possedesse. E Robbie Gould, kicker preciso che ha infilato una serie di calci ancora priva di errori, piazzando un 13 su 13 molto utile i questo avvio di stagione. Utile soprattutto quando il gioco di corse non funzionava a dovere e la redzone diventava un baluardo invalicabile per Grossman, troppo propenso ai lanci profondi che perdono efficacia quando il campo si restringe. Quattro ingressi nelle venti avversarie a Green Bay senza successo, due a Minnesota e, anche qui, due volte chiamato in causa il kicker. Contro Seattle invece ci ha pensato Thomas Jones, che si è sbloccato e ha trovato due mete proprio all'interno della "zona rossa". Gould ha però messo in fila una serie di trasformazioni da tre che ne hanno aumentato la considerazione degli osservatori e danno definitivamente possibilità a Chicago di giocare con la certezza del punto sicuro a ogni drive.
Dove può arrivare Chicago? Nel 1985 la gente capì piuttosto rapidamente che per fermare quella squadra non sarebbe bastato schierare undici avversari, sarebbero servite delle forze aliene. Poco avvezza alle dinastie (ha conquistato un solo Super Bowl) nel football moderno, Chicago stupì il mondo con un gioco concreto ed efficace che, all'apparenza, non aveva crepe all'interno della propria struttura. Quella squadra perse poi altri tre NFC Championship, mentre questa ancora ne deve giocare uno, eppure i paragoni già si sprecano. Non sullo stile di gioco, gli schemi, o la similitudine tra i giocatori in campo (anche se la leadership di Urlacher non può non essere accostata a Mike Singletary), ma per il lato caratteriale, un carattere forgiato sull'abilità degli uomini e un gioco completamente ritrovato e sufficientemente ben eseguito da poter portare lontano. Un gioco più imprevedibile per gli avversari, un attacco che tiene sotto pressione mentre la difesa concede poco o nulla. Un cocktail che potrebbe davvero regalare ai propri tifosi qualcosa di più di un sogno irraggiungibile.
Terzi down convertiti in buone quantità (37.5%, 14° della lega), tre quarti down su tre portati a casa e ,soprattutto, un tempo di possesso sopra al cinquanta percento (32:45), l'ideale per dare finalmente fiato a una difesa che, alla fine, dovrà essere al top per effettuare il grande salto. Un'efficienza offensiva che ha portato alla svolta i Bears che finalmente possono pensare in grande e non solo a qualche sporadica apparizione in postseason.
Una difesa che in estate parlava benissimo di Lamar Williams (LB) e Dusty Dvoracek (DL), due rookie che avrebbero dovuto dare un grandissimo vantaggio nelle rotazioni difensive e che sono finiti in injured reserve senza che nessuno ci facesse troppo caso visto il lavoro svolto dai presenti, ma una dimostrazione di come il lavoro che Angelo porta avanti dal 2002 sia sempre attivo e pratico, anche per quegli spot che sembrano non necessitare di aggiustamenti.
I protagonisti, per ora, non si lasciano andare, nessuno nomina più del nominabile, nessuno si fa illusioni. La vecchia spavalderia è per ora tenuta nei cassetti con la convinzione che non si arrivi ad un 4-0 per caso, con una difesa che ha concesso un solo TD, e che rimane quella che ha lasciato meno conversioni di terzo down agli avversari (21.6%), pur contro una Seattle senza Alexander, una Seattle però ancora forte e preparata e in corsa per qualcosa di grande, comunque vada a finire. Una squadra capace di svegliare la stampa già dallo shutout di Green Bay, cancellando la noncuranza con cui, un anno fa, veniva seguita la cavalcata verso i playoff tra mille problemi e un quarterback rookie. Una Chicago che finalmente sa reagire, condurre il ballo, contenere o colpire con forza. Una Chicago che sa sorprendere e che, presa per mano da Lovie Smith, avanza verso il compito per cui l'head coach è stato assunto nel 2004. Un altro passo è stato fatto Mr. Smith, a quando l'invito al Gran Gala?