Terrelle Pryor ha giocato in maniera molto convincente lo scorso sabato
L'evento in sé conteneva un fascino particolare, in quanto poneva una contro l'altra, per la prima volta dopo quell'occasione, le due protagoniste del Fiesta Bowl 2003, ovvero le medesime che avevano duellato fino al secondo overtime in una gara che viene ricordata oggi con il sapore dell'epico addosso. Lo scontro tra Ohio State e Miami era pure determinante in chiave ranking, riportando il tutto all'attualità , questo perché i Buckeyes sono attesi al varco dopo aver lasciato il ricordo di due finali nazionali perse contro la Sec, e gli Hurricanes sembravano possedere la miglior squadra dai tempi appunto di quel Fiesta Bowl, frutto del lavoro pluriennale di coach Randy Shannon.
Partite come questa, poste alla seconda settimana di campionato, possono aiutare meglio a capire chi meriti di restare nei piani alti della top 25, dal momento che senza un playoff a fine stagione regolare le indicazioni si possono trarre solo da un eventuale scontro diretto, che per la moltitudine di squadre presenti nel college non è sempre facile ottenere, ma che spesso si evita per mantenere quanto più possibile immacolato il proprio cammino senza perdere le considerazioni per i primi due posti della classifica, quelli più importanti di tutti.
Ohio State doveva togliersi qualche sassolino dalla scarpa, vendicare qualche passo falso che negli ultimi due anni le avevano precluso il massimo palcoscenico possibile, ed il miglior modo di farlo è stato un imporsi così evidente su una Miami uscita da questa battaglia floscia e piena di cicatrici dure da rimarginare, che si porterà appresso in una Acc che dopo quindici giorni di gare è già piombata in una crisi di cui tutti parlano.
Complici gli innegabili miglioramenti del prossimo capitolo dell'arma totale, quel Terrelle Pryor schiacciato dal peso delle aspettative prima di questo 2010 e che ora sembra assolutamente pronto per indicare la strada corretta ai Buckeyes, la squadra allenata da Jim Tressel conferma, come molti avevano già supposto in fase pre-stagionale, di essere la più credibile rivale di una Alabama che ha tutta la voglia di ripetersi e che ha affrontato con estrema disinvoltura i suoi primi due impegni, dimostrando di farsene un baffo dell'assenza di Mark Ingram a dimostrazione che la forza di squadra non risiede sul singolo elemento.
Lasciando stare paragoni con i soliti Vick e Young, che prima o poi per forza di cose emergono sempre alla superficie, Pryor ha ricominciato da dove aveva finito nello scorso Rose Bowl, nel quale aveva giocato la miglior gara di carriera battendo la sorpresa Oregon dinanzi un palcoscenico non indifferente, lasciando intendere che la curva di progresso si sarebbe ulteriormente alzata alla vigilia della nuova stagione.
Il quarterback, pur ritrovandosi ancora a dover affrontare serie di passaggi incompleti che mandano di tanto in tanto l'attacco in stallo, si è divertito a disporre di una difesa per la quale il linebacker Sean Spence aveva svolto un ottimo lavoro di controllo in spy (essendo il linebacker più veloce, aveva l'assegnamento di tenere d'occhio le improvvisazioni di Pryor), ha confermato l'intesa con DeVier Posey soprattutto sul profondo, ed ha terminato la gara con 8.6 yards aeree di media per lancio, unendole alle 113 totali ottenute su corsa con meta a corredo, miglior risultato statistico di squadra di serata. Non gli resta che lavorare sul 44% di completi, l'unica statistica negativa che gli si può far osservare in questo istante.
La difesa ha fatto il resto. Gli Hurricanes hanno segnato una sola meta, peraltro a risultato già ampiamente deciso, ed hanno saputo rispondere ai Buckeyes solo attraverso gli special teams. Mentre Ohio State accumulava un vantaggio preoccupante con un paio di field goals di Devin Barclay nonché con le mete di Herron e Saine, gli ospiti hanno risposto con una conclusione di 51 yards di Matt Bosher, kicker di estrema affidabilità che ha addirittura salvato una meta fatta con un placcaggio, e con due ritorni di calcio a firma di Lamar Miller e del solito Travis Benjamin, che ha sfogato in questo modo l'impossibilità di connettere con un Jacori Harris assolutamente frastornato, che pur non avendo la totale colpa dei 4 intercetti subiti ha assoluto bisogno di ridurre drasticamente il numero di turnovers che commette.
La totalità di squadra dei Buckeyes si è manifestata attraverso un alto numero di big plays, pervenuti sia dall'attacco che dalla difesa, attraverso linee di grande consistenza.
Da un lato Pryor ha avuto tempi biblici per lanciare in quella che è stata un'ottima prestazione del fronte in fase di pass protection, fatto che gli ha permesso di trovare il timing migliore con i ricevitori in profondità o sul medio, facendo nascere giocate come la ricezione da 62 yards di Posey dalla playaction, in un drive finito con una meta allo snap successivo.
In altre occasioni Pryor ha inventato ed improvvisato, in parte perché le corse chiamate ai running back avevano fruttato meno di 3 yards a portata (Herron ha guadagnato 41 delle 66 yards in un big play del secondo tempo), in parte in quanto la pressione degli Hurricanes è stata più facilmente evitabile creando movimento all'interno della tasca, per via degli evidenti mismatch in fase di pura corsa. Quindi, spazio anche per la solita option, dove sta proprio al quarterback scegliere il momento opportuno per il pitch al corridore, azione da cui è nato il touchdown del 20-10 a firma di Boom Herron.
La difesa è stata un qualcosa di fuori dall'ordinario. Il reparto è consistente nella maggior parte dei settori e possiede diversi singoli in grado di eseguire giocate determinanti in momenti importanti della gara, fatto che nello specifico contro Miami ha permesso ai Buckeyes di poter usufruire di posizioni di campo molto avvantaggiate per ripartire con il drive offensivo, dando un grosso contributo nello smuovere un settore a volte troppo dipendente dalle serie di incompleti consecutivi di un quarterback che ha ancora strada da fare in termini di precisione sul corto.
Harris aveva già collezionato 3 intercetti nel solo primo tempo, due dei quali raccattati da un Chimdi Ndekwa sempre puntuale in appuntamenti come questi, mentre il quarto ha messo in evidenza le doti atletiche della linea, vista la scampagnata di 80 yards del tackle Cam Heyward, che avrebbe meritato di portare le sue 288 libbre direttamente in endzone se solo non avesse comprensibilmente terminato la riserva di ossigeno a pochi metri dal traguardo.
Questo, senza dimenticare un Devon Torrance a 360 gradi, abile in fase di rottura dei giochi di passaggio e capace di bloccare un field goal di Bosher.
I Buckeyes sono attualmente a +7 come differenziale di turnovers provocati/subiti, e Pryor ha lanciato e corso senza perdere mai il pallone, aspetto di capitale importanza quando si tratta di definire quali aspetti del gioco siano semi-matematici per vincere una partita di football americano.
Nonostante questo, il lavoro da fare non manca mai, ed il miglioramento è sempre dietro l'angolo: Tressel, come intuibile, non è stato troppo felice della prestazione delle sue squadre speciali, che hanno concesso decisamente troppo, ed ha fatto notare che avrebbe voluto vedere Devin Barclay in campo molto meno (Barclay ha segnato 5 field goals pareggiando il record d'ateneo, e ne ha fallito un sesto), il che si traduce con la necessità di finire più drive con 7 punti anziché 3, in modo da mettere in ghiaccio prima le partite.
Il prossimo grande ostacolo per Ohio State sarà la ricerca della perfezione all'interno della Big Ten.
Sotto Tressel i Buckeyes hanno perso solamente quattro partite contro avversarie al di fuori della conference dimostrando grande costanza ad alti livelli, ed il record dovrebbe rimanere immutato in vista dei prossimi due impegni contro Ohio ed Eastern Michigan.
Da lì in poi sarà tutta Big Ten, con Wisconsin ed Iowa da affrontare in trasferta, da quel momento in poi ne sapremo veramente di più sulle possibilità di tenersi stretto quel secondo posto nazionale di cui Ohio state è all'attualità titolare.