Verso le finali di conference

Mark Ingram ed i Crimson Tide sono pronti per lo scontro finale con Florida.

Il football, come molti altri sport, è fatto soprattutto di emozioni. Gli anni scorsi, perlomeno quelli più recenti, avevano entusiasmato moltissimo, proponendo upset quasi all'ordine del giorno, scombinando in maniera tanto puntuale quanto inequivocabile l'ordinamento delle migliori 25 squadre d'America, al punto che si poteva scommettere su chiunque, ma con una cautela inaudita.

Quest'anno si è tornati un po' alla vecchia maniera, nel senso che così tante squadre capaci di concludere la stagione regolare senza perdere nemmeno una volta, era da un po' che non si vedeva, con la conseguenza che le posizioni alte del ranking sono rimaste immutate a lungo.
E' stata una stagione (che comunque, intendiamoci, non è per nulla finita - ndr) meno frizzante del previsto, a volte più noiosa e scontata, priva di quel senso epico che persisteva, giusto per fare un esempio che valga anche per tutti gli altri, quando l'anno passato si incontrarono Texas e Texas Tech, per giunta con quel finale al fotofinish, con serie implicazioni di National Championship ed una più che intricata Big 12 South da risolvere quanto prima, con Oklahoma a fungere da terza incomoda.

Il ritorno all'antico ha fatto sì che Florida ed Alabama dominassero i propri raggruppamenti senza incappare in sconfitte dolorosamente cocenti, terminando quindi imbattute (non senza difficoltà ) una Sec che si è indubbiamente riproposta come conference di maggiore qualità  dell'intero panorama Ncaa; che Colt McCoy ed i suoi Longhorns dominassero senza discussione quella stessa Big 12 che aveva faticato a partorire una finalista a causa dei valori così vicini delle tre squadre coinvolte nella faccenda, si pensi al fatto che Nebraska, avversaria nella finale di tale conference, arriva all'appuntamento con 3 sconfitte già  in conto spese; persino le piccoline, come non vogliono (a ragione) farsi chiamare, hanno dettato legge da principio a fine, con Boise State mai arrendevole nei confronti di una Western Athletic che vantava, fino a due stagioni fa, l'agguerrita concorrenza di Hawaii, per non parlare di Texas Christian, che ha demolito ogni ostacolo incontrato sia nella Mountain West che al di fuori, sbarazzandosi con fin troppa facilità  delle rivali Utah e Brigham Young.

Lo spettacolo, signori, sta comunque per cominciare, e quindi è tempo di abbandonare le interminabili partite di inizio stagione, dove le squadre sono da oliare ed il ricambio generazionale tipico della Ncaa è da digerire anche per chi in campo ci scende a giocare, e di concentrarsi su quello che sta per accadere a breve, che di entusiasmante promette di avere davvero tanto.

Largo dunque a quella che potrebbe essere la partita dell'anno, tra la numero 1 e la 2 del ranking, che, ironia della sorte, campeggiano nella stessa conference, ma in division diverse, e che quest'anno hanno avuto la reciproca fortuna di non essersi incontrate in regular season.
Viene subito alla mente il concetto precedentemente espresso di scontro epico e leggendario, paragonabile a quello già  avvenuto un anno fa, con la partecipazione alla finale delle finali in palio: da una parte Tim Tebow e la sua carica di leadership senza eguali nel panorama collegiale, che tenterà  di condurre i suoi fidi scudieri ad un altro National Championship, nel tentativo di coronare una quattro anni già  colmi di soddisfazioni così come stanno, ad un passo dall'essere ricordati per sempre per qualcosa di davvero speciale.
Dall'altra i Crimson Tide di Mark Ingram, avversario diretto di Tebow per l'Heisman Trophy, bulldozer letteralmente consacratosi in questo 2009 dove a fermarlo non c'è riuscito quasi nessuno, ad eccezione della difesa ben strutturata di Auburn, che si è comunque fatta superare dal gioco aereo di un Greg McElroy che ha finalmente dimostrato che Alabama non è solo gioco di corse, e che quando la situazione scotta, c'è anche lui. E c'è anche un certo Julio Jones"

Sarà  comunque un sabato denso di emozioni anche per altri motivi: l'incerta Acc, che è stata tutto meno che entusiasmante perché qui l'incertezza è stata data da qualcuno che non voleva imporsi sugli altri e quindi l'equilibrio è corrisposto ad una qualità  medio-bassa, verrà  decisa tra Georgia Tech e Clemson, che per non lasciare nulla di intentato hanno entrambe perso il rivalry game dello scorso sabato, lasciando un pizzico di amaro in bocca non avendo dato l'impressione di essere state dominanti durante l'arco stagionale, dove la discontinuità  di entrambe le divisions della Atlantic Coast Conference ha giocato un ruolo predominante.
Sarà  l'occasione idonea per vedere comunque quelle che sono effettivamente state le due migliori squadre del gruppo una contro l'altra, in un confronto che vedrà  impiegata la triple option offense di coach Paul Johnson, il running back Jonathan Dwyer, il running quarterback Josh Nesbit ed il sempre affidabile wide receiver DeMaryus Thomas, contro Dabo Swinney ed il suo colpo di spugna, che nel giro di pochi mesi l'ha portato dall'essere un coordinatore offensivo di un ateneo in crisi piena, ad head coach con maggiore polso rispetto al suo predecessore Tommy Bowden, nonché contro un C.J. Spiller che di soddisfazioni personali se n'è tolte davvero tante, diventando il miglior kickoff returner di sempre nella storia della Ncaa (i suoi 7 ritorni di kickoff in carriera costituiscono difatti un record), ed il quinto giocatore ogni epoca a varcare la soglia delle 7.000 all-purpose yards, che comprendono corse, ricezioni, e ritorni.

Non saranno due finali a livello ufficiale, ma lo saranno nel senso più pratico e sostanzioso del termine, nel senso che Big East e Pac 10, che vedranno le rispettive stagioni regolari vivere il rispettivo epilogo tra giovedì e sabato, troveranno degli scontri tra squadre quasi appaiate in testa, con in palio due biglietti sicuri per altrettanti Bowls Bcs, di quelli che si giocano da capodanno in poi.

Nella combattuta Big East c'è chi tenterà  di rovinare la festa a Cincinnati ed alla spread offense che non finisce più di segnare valanghe di punti, con o senza Tony Pike.
Chi aveva abbattuto i Bearcats solo per l'infortunio del loro quarterback ha dovuto cospargersi il capo di cenere in tutta fretta, da un lato perché Zach Collaros si è rivelato un backup più che eccellente per il compito che gli era stato richiesto (giocare ad alti livelli fino al ritorno del titolare), dall'altro perché Pike ha rimesso in chiaro un paio di cosette battendo Illinois quasi da solo, lanciando 6 passaggi da touchdown in attesa dello scontro frontale con Pittsburgh, la quale ha perso la sua seconda partita stagionale pochi giorni fa, ma che per la Big East, vista la sola gara di distacco da Cincinnati, è ancora ampiamente in gara.

In gara lo è anche la Oregon State di Jaquizz Rodgers, folletto tra i più entusiasmanti del college football, una sorta di running back tascabile capace di aprire in due una difesa ed una partita con una sola giocata, lui che l'anno passato aveva posto termine ai sogni di National Championship di Usc, da egli punita a suon di mete e yards percorse su terreno.
Lo chiamano "The Quiz", un po' per la chiara assonanza con il nome, un po' perché trovare un rimedio per fermarlo ha la stessa difficoltà  che si trova nel dare una risposta ad un gioco a premi.

Nella folle corsa della Pac 10, la conference che nel più breve lasso di tempo è passata dal noioso all'eccitante, Rodgers incoccerà  le armi contro la Oregon di LaMichael James, straordinario freshman pariruolo emerso a causa di"Boise State. All'epoca della prima gara di campionato, difatti, il titolare del ruolo era LeGarrett Blount, ovvero quel personaggio in seguito sospeso a tempo indeterminato e poi reintegrato a causa del pugno rifilato post partita ad un defensive end dei Broncos e per accenni assortiti di rissa persino con il pubblico ostile, incapace di ritrovare il suo posto proprio per merito delle procaci evoluzioni sul campo di James, altra macchinetta difficilmente fermabile a meno di uso di armi improprie.
E per una volta, la Civil War, com'è denominata la rivalità  territoriale tra i due atenei, vale doppio, perché chi vince qui si prende conference a Rose Bowl in un sol colpo.

E se la corsa è stata così entusiasmante, un po' lo si deve anche alla Stanford di Toby Gerhart e coach Jim Harbaugh, con il primo a dare la miglior interpretazione clonata di Mike Alstott di sempre, una combo che speriamo di rivedere in Nfl con i medesimi risultati, e con il secondo davvero bravo e lodevole nel sollevare un programma che fino ad un paio di stagioni fa viveva nella mediocrità  più assoluta.

Emozioni a non finire, dunque. Saranno anche arrivate tardi, ma sono comunque arrivate. E non solo in campo.

Di quest'ultima giornata di college football resteranno per sempre impressi nella memoria degli appassionati anche la calorosa ovazione della comunità  Gators nei confronti del proprio giocatore più rappresentativo e forte di sempre, il già  citato Tim Tebow, lo stesso che a fine partita ha trattenuto a stento le lacrime, ed ha fatto il giro di campo per stringere la mano a chiunque fosse riuscito a raggiungere, in una vittoria che ha innescato contemporaneamente un altro evento, ovvero l'addio al football da parte del leggendario Bobby Bowden, coach che da solo ha reso Florida State l'università  che è oggi, e che per un motivo o per l'altro gli è sfuggita di mano fino ad arrivare all'inevitabile.

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