Rugger Ardizoia: Yankee per un giorno
Trattiamo di italiani che hanno giocato negli States da professionisti.
Molti di voi avranno già in mente Castrì, Liverziani e Rigoli, e tutti gli altri (che evito di elencare onde non commettere spiacevoli omissioni) che, dopo di loro, hanno sorvolato l'atlantico per fare esperienza nelle leghe minori; i più attenti si ricorderanno che il primo a tentare una simile avventura fu Alberto “Toro” Rinaldi, che fu nel 1965 nell'organizzazione dei Reds.
Non è di costoro che però intendo parlare: ciò che ho in mente sono Italiani che abbiano praticato il gioco di Doubleday ai massimi livelli.
Seguitemi in una digressione.
Nel 1849, prima della nascita delle Major Leagues, il baseball era più o meno un passatempo per gente di ceto elevato. I New York Knickerbockers, la prima squadra a darsi una vera e propria organizzazione, nonché la prima a tenere un registro con gli scorebook di tutte le partite, annoverarono in un'occasione tra le proprie fila un certo "Mr. Donato".
Il tabellino riporta che il giocatore di origine italiana (probabilmente, dato l'anno, si trattava di un immigrato diretto) fu autore di 9 punti a fronte di una sola eliminazione subita (questo era quanto veniva registrato all'epoca).
La prestazione del nostro connazionale non dovette essere molto apprezzata - troppo poco "nobile" probabilmente - dato che il suo nome non appare in altri incontri.
Il primo giocatore con radici italiane in Major fu Ed Abbaticchio, ai Phillies dal 1897, ma nato a Latrobe in Pennsylvania.
Pochi nomi seguirono fino agli anni '30, dopodiché atleti più o meno legati alla nostra penisola ebbero diverse sorti nell'olimpo del baseball: campionando a caso da vari periodi si possono citare i fratelli DiMaggio (Joe, Dom e Vince), Lombardi, Camilli, Malzone, Viola e persino Campanella, il cui padre italiano aveva sposato una donna di colore.
Una volta il grande Lefty Gomez, il cui unico difetto erano dei momenti di evidente deconcentrazione, raccolta una rimbalzante da doppio gioco, anziché assistere all'interbase Crosetti che attendeva sul cuscino di seconda, sparò all'incredulo seconda base Lazzeri; il manager Joe McCarthy, recatosi sul monte per avere delucidazioni, si sentì fornire la seguente spiegazione: "Ci sono troppi Italiani in questa squadra. Ho visto Lazzeri e Crosetti e mi sono confuso"; alla quale rispose indicando l'esterno centro: "C'è da ringraziare che tu non abbia visto DiMaggio".
Cognomi di provenienza familiari li troviamo anche oggi nelle Big Leagues, anche se le generazioni intercorse dal tempo dell'immigrazione hanno probabilmente cancellato ogni legame col nostro paese: Ventura è un ottimo difensore dell'angolo caldo (l'abbiamo anche visto in Italia con la nazionale USA dell'88), LoDuca è il successore di Piazza ai Dodgers, mentre i campioni 2002 di Anheim schieravano Spiezio in prima base ed erano diretti da Mike Scioscia.
A proposito di managers, avete notato che nel 2000 i pennant se li giocarono Piniella e Torre nell'AL e LaRussa e Valentine in NL, mentre LaSorda guidò la nazionale a stelle e strisce alla conquista dell'oro olimpico a Sidney?
Ok, dopo la parentesi chauvinista, dobbiamo osservare che tutti i personaggi citati sono Americani, a tutti gli effetti. Chiudiamo dunque la digressione e passiamo al vero argomento di questo articolo, ovvero i giocatori nati in Italia che abbiano giocato in MLB.
Sì, perché se andate a sfogliare gli annali del grande baseball, troverete i seguenti 5 nomi: Rugger Ardizoia, Reno Bertoia, Hank Biasatti, Julio Bonetti e Marino Pieretti. E sotto la colonna "luogo di nascita", per tutti loro si legge Italy.
Julio Giacomo Bonetti nasce nel 1911 a Genova e nel 1937 è un lanciatore dei St Louis Browns.
Il suo record di 4-11 (con una salvezza e 5.84 di ERA) non è esaltante, ma si tratta delle prime cifre registrate in Major League da un atleta nato in Italia; Bonetti mette anche a segno le prime 7 valide "italiane", e la stagione successiva è ancora con i Browns, prima di passare il 1939 sotto le armi.
Smessa la divisa militare Julio riappare per un incontro con quella di una squadra di Major (questa volta sono i Chicago Cubs).
La sua carriera si chiude con 6 vinte e 14 perse ed un'ERA di 6.03.
Anche il secondo italiano nelle Big Leaguers è un lanciatore.
Marino Paul Pieretti da Lucca esordisce nel 1945 portando a casa 14 vittorie e 2 salvezze, a fronte di 13 sconfitte, servendo la causa dei Washington Senators.
Il suo primo anno sarà il migliore (siamo in piena seconda guerra mondiale e molti campioni sono al fronte), ma Marino calcherà il monte della capitale fino a metà del '48, per poi passare ai Chicago White Sox.
Un anno nella città del vento, uno a Cleveland e la sua carriera in Major termina con 30 vittorie; Pieretti, che prima di appendere guanto e spikes al chiodo disputerà qualche stagione nella Pacific Coast League, batte anche 45 valide nell'AL, con una media di .217.
Rinaldo Joseph Ardizoia, classe 1919 di Oleggio (Novara), ebbe l'onore di essere uno Yankee per" un giorno.
Rugger (questo è il nome che troverete nei libri, proprio così, senza la "o" finale) entrò come rilievo un giorno del 1947 e, in due riprese, concesse 4 valide, tra cui un homer, e ricevette poco supporto dalla difesa che commise 2 errori.
Le estati successive, Ardizoia le passò nelle leghe minori con gli Oakland Oaks ed i Kansas City Blues.
Quando Henry Arcado Biasatti (da Beano, Friuli) si unì ai Philadelphia Athletics nel 1949, non era la prima volta che praticava uno sport ai massimi livelli: tre anni prima era stato in NBA con i Toronto Huskies, ed è a tutt'oggi l'unico Canadese (Windsor, Ontario è la sua città d'adozione) ad aver militato nei migliori campionati di basket e baseball.
Biasatti prese parte a 21 incontri, mettendo a segno 2 valide (entrambi doppi) in 24 turni, prima di trascorrere una decina d'anni nelle Minors.
L'ultimo nostro connazionale ad apparire nel grande circo, fu senz'altro quello che ottenne maggiori risultati. Reno Peter Bertoia nasce nel 1935 a San Vito (UD) e, prima di compiere due anni, è con la famiglia sul suolo canadese, dove il padre trova lavoro presso la Ford Motor Company.
La città che ospita i Bertoia è la stessa Windsor che aveva adottato Biasatti, e Reno crescerà nella casa accanto a quella di Hank. Come tutti i ragazzini del luogo sogna di giocare per i Tigers, dato che Detroit è a un passo dal confine.
E a 18 anni il sogno diventa realtà .
Le Tigri lo firmano come "Bonus Baby", una formula molto usata all'epoca, e sul suo contratto è previsto che la franchigia si carichi delle spese che Reno deve sostenere per concludere l'università , e del pagamento di un viaggio in Italia per la madre.
I genitori sono orgogliosi dei risultati di Reno sul campo e negli studi (durante gli spring training riceve gli appunti per posta dai compagni di corso, e di notte prepara gli esami), ma questo pone pressione extra sul ragazzo; le annate migliori Reno le ottiene lontano da casa, quando gioca per i Senators/Twins, per i quali nel '60, dopo aver vinto la posizione di terza base ai danni di Harmon Killebrew, mette a segno 122 valide e 42 RBI.
La sua carriera passa anche da Kansas City (con gli A's) prima di chiudersi a Detroit, donde era partita.
Oltre 400 valide sono valse a Reno una media vita di .244, e 27 di esse rappresentano gli unici homer della storia delle Major che abbiano un tocco di tricolore.
Ritiratosi, Bertoia ha proseguito la carriera di insegnante intrapresa come lavoro invernale quando ancora calcava i grandi diamanti; ancora oggi attraversa spesso il confine per andare a vedere i Tigers e, dal 1988, fa parte della Hall of Fame del baseball canadese.