James Harden: la Pac10 quest'anno è casa sua
Due settimane all’inizio della regular season della Pacific-10, che prenderà il via venerdì 2 gennaio con un quadruple-header che anticiperà il rivalry game di venerdì tra Washington e Washington State, ed è tempo di fare il punto su quanto fatto dalle magnifiche dieci della costa ovest in queste prime 5 settimane di stagione, dedicate – come d’abitudine – alle partite “out of conference”.
Strano ma vero fin qui il miglior ruolino di marcia della Pac-10 spetta, almeno sulla carta, ai Lopez-less Cardinals di Stanford; sempre a segno nelle sei gare fin qui disputate. Almeno sulla carta, però, perché la schedule dei ragazzi di Johnny Dawkins è stata davvero estremamente soft dal momento che ha visto susseguirsi una dopo l’altra Yale, Cal State Northridge, Air Force, Colorado, Colorado State e Northern Arizona per un record cumulativo di 22-30.
Impegni abbordabili che sono serviti per trovare e cercare di perfezionare dei nuovi meccanismi di squadra e che hanno fatto emergere Anthony Goods come il leader del post-gemelloni. Per il senior da Corona (CA) fin qui 19 punti – terzo marcatore della conference – ad allacciata di scarpe ma è da segnalare anche la crescita del sophomore Josh Owens, che dopo un’annata di comparsate in garbage time ora mette a referto quasi 14+6 a partita.
Subito dietro arrivano i Sun Devils di Arizona State – #17 della nazione nell’ultima Coaches Poll – che, confermando quanto di buono si diceva di loro prima della stagione, ad oggi si sono arresi solamente agli altrettanto caldi Bears di Baylor (#24 nazionale). Mente e braccio di Arizona State è James Harden, praticamente certo top 5 pick al prossimo draft e fin qui “proprietario” di una linea statistica da 23.7 punti – top scorer della conference e Player of the Week della seconda e terza settimana – 6.9 rimbalzi e 3.9 assist; il tutto con il 58% dal campo ed il 51% da 3: dominante.
Accanto a lui, però, coach Sendek beneficia anche della solidità del senior Jeff Pendergraph sotto le plance (12+7 di media) e la crescita esponenziale dell’ala lettone Rihards Kuksiks che al suo secondo anno con i Sun Devils ha raddoppiato la produzione, arrivando ad 11 punti a partita, e tira con un pregevole 47% da dietro l’arco.
Con il record di 7-2 troviamo un terzetto, formato da UCLA, Arizona e California. Per i Bruins, #12 dell’ultima Coaches Poll, qualche atteso “growing pain” in una squadra tanto talentuosa quanto bisognosa di minuti importanti dalla sua eccezionale recruiting class. Non è facile, però, inserirsi nel sistema di coach Howland ed escluso Jrue Holiday, subito in quintetto e sempre marcatore del miglior esterno avversario, gli altri quattro se ne sono accorti ben presto, rimanendo spesso e volentieri per moltissimi minuti ad osservare dal pino.
Subito l’upset, peraltro non così imprevedibile, da parte di Michigan nella semifinale del 2K Classic – con i Wolverines peraltro poi confermatisi ad alto livello battendo Duke – UCLA ha ceduto anche ad Austin contro Texas di soli 4 punti dopo una partita di alti e bassi. Bomber blue&gold è Darren Collison, 14.6 punti e 4.9 assist con il 54% sia dal campo che da 3 che gli sono valsi il premio di Player of the Week per la prima settimana.
Solido anche il cammino di Arizona, che nonostante l’addio di Lute Olson e prospettive tutt’altro che entusiasmanti per il futuro si sta aggrappando al terzetto Budinger– Hill– Wiese per regalare un’altra – e probabilmente ultima – stagione di buoni risultati ai suoi tifosi prima che si inizino a sentire gli effetti del ground zero olsoniano.
Chase Budinger sta viaggiando a 19+6+3 di media con il 54% dal campo – contro il 44% di 12 mesi orsono – ed addirittura il 60% da 3 mentre Hill ne scrive 19+12 ad allacciata, con annesso premio di PoW per la scorsa settimana, e Wiese mette a referto 14 punti ed oltre 5 assist a partita con il miglior rapporto tra assist e perse della conference.
Si è reinventata, invece, California, che dopo aver perso il suo totem all’interno del pitturato (Ryan Anderson, ndr) il nuovo coach Mike Montgomery fa giocare praticamente sempre con quattro piccoli se non addirittura cinque ed è la miglior squadra al tiro pesante della conference; un 51,7% che gli fa obliterare tutta la concorrenza visto che Arizona si ferma al 46,7% e nessun altro va oltre il 38%. Sconfitti fino ad ora solamente da Florida State e da Missouri i Golden Bears hanno trovato il loro nuovo leader nello junior Jerome Randle: 20,3 punti di media buoni per essere il secondo scorer della conference ed un irreale 61% da dietro l’arco.
Persi Weaver e Low i Cougars di Washington State si confermano squadra senza stelle ma quadrata, piegata fino ad ora solamente da tre squadre tra le migliori 25 della nazione come Pittsburgh, Baylor e Gonzaga. Top scorer dei Cougs sono il freshman Klay Thompson (11+5) ed il senior Aron Baynes (11+6) ma la vera guida della squadra di coach Tony Bennett è il redshirt senior Taylor Rochestie che, pur in una annata fin qui pessima al tiro, sta aggiungendo 5 assistenze a partita ai suoi quasi 10 punti di media.
Ultime due squadre con il record positivo sono Washington ed USC, entrambe 6-3 in questo inizio di stagione. Per gli Huskies, dopo il tonfo nell’opening night con Portland, cinque settimane in crescendo nonostante gli stop anche con i campioni in carica di Kansas e con Florida. Centro, nel vero senso della parola, delle ambizioni in viola è Jon Brockman, che andrà alla caccia di uno storico terzo titolo consecutivo di miglior rimbalzista della conference.
Ma alle carambole Brockman aggiunge anche 18 punti a partita, in un attacco equilibrato che oltre ai ritorni di Pondexter e Dentmon ora può contare anche sul minuscolo freshman Isaiah Thomas – 14+3+3 di media – ed i quasi 10 punti in meno di 17’ dal pino, ma con un 71% dal campo che lo rende il migliore in questa categoria dell’intera conference, del sophomore Matthew Bryan-Amaning.
Partenza con il freno a mano tirato per Southern California, che ripone in questa stagione diverse velleità di ben figurare ma si è già dovuta piegare di fronte a Seton Hall, Missouri e Oklahoma affondata da quello che è, almeno per il momento, uno dei più clamorosi flop del college basket.
Il super freshman DeMar DeRozan, infatti, colui che doveva sostituire Mayo, viaggia in singola cifra di media (9.8 punti), con soli 4 rimbalzi a partita ed il triplo di perse rispetto sia agli assist che alle rubate. E, come se non bastasse, dopo 9 partite deve ancora infilare una tripla al college.
In sua assenza a tenere in piedi USC ci pensa il trio di junior Lewis– Gibson– Hackett con il primo che viaggia a 17.6 punti di media ed è stato PoW due settimane orsono; il lungo di Brooklyn che fattura 16+11 a partita con il 59% dal campo ed il nostro Danielino che è il leader in assist della Pac-10, 6.9 a partita da aggiungere ai suoi 10.6 punti ed al 48% da 3 oltre agli assegnamenti difensivi sui migliori giocatori altrui.
A chiudere una classifica che in realtà non è tale ci sono i due college dell’Oregon; con i Ducks fermi ad un bilancio di 4-6 ed i disastrati Beavers a 3-5.
Oregon, il cui miglior scalpo è quello dei Wildcats di Kansas State orfani di Beasley e Walker, ha buoni riscontri dal centrone freshman Michael Dunigan – 11.5+6.4 con il 54% dal campo – ma non vede assolutamente migliorare, anzi, colui che dovrebbe essere il leader designato: il folletto Tajuan Porter. Più di 15 punti a partita – 15.2 per la precisione – per il 5’6” di Detroit ma percentuali al 38% mentre nel suo anno da freshman faceva segnare quasi il 44%.
Si vede un barlume di luce, invece, ad Oregon State; ma effettivamente era difficile fare peggio della scorsa stagione e l’obbiettivo rimane comunque quello di evitare un altro sweep nelle gare di conference. Una vittoria su una Division II (Seattle Pacific) e poi due “upset” ai danni di Fresno State e Nebraska fanno capire come sarà una stagione ancora molto lunga per i Beavers; ma nel frattempo a Corvallis possono provare a sperare aggrappandosi ai notevoli passi in avanti del sophomore Calvin Haynes, che dall’anno scorso ha più che triplicato il suo fatturato passando da 5.5 a 17 punti a partita; ai quali aggiunge un rimarchevole 63% dal campo (12 mesi fa era al 35%) ed oltre il 55% da 3 (era al 27%).