Tutti amano Thaddeus

Presto tutti conosceranno Thaddeus Charles Young…

“Sono stato per quasi 30 anni nelle scuole di Memphis ed ho quindi conosciuto alcuni allievi-atleti eccezionali, ma Thaddeus è semplicemente lo studente più notevole con cui abbia avuto a che fare”. John Ware, principal della HS di Mitchell (Tennessee), così parla di lui.

Lui è Thaddeus Charles Young, classe 1988, ragazzo del sud nato a New Orleans ma trasferitosi ben presto a Memphis, sua città  d'adozione. Segni particolari: a vostra scelta tra il profilo altissimo e quello solo alto, o il nuovo Tracy McGrady, o il nuovo Paul Pierce.

Ma non solo! Se si rileggono con attenzione le parole di Ware, si può apprezzare una singolare peculiarità : quando dice “più notevole”, egli non fa riferimento al giocatore Young, ma allo studente Thaddeus.

Eh sì, perchè prima ancora che sul potenziale campione di basket, qui è possibile porre l'accento per una volta su un “classroom phenom”, membro della National Math Honor Society (una specie di confraternita dei geni dell'algoritmo), mai piazzatosi oltre il 10° posto ad ogni competizione scolastica a cui ha partecipato, formidabile studente con un irreale 4.3 di GPA (ovvero la media dei voti conseguiti agli esami, detta Grade Point Average) addirittura superiore alla soglia d'eccellenza rappresentata da quel 4.0 che corrisponde alla nostra “A” o al nostro “10”. Si attesta non al di sotto della lode, per capirci.

“Gli ho solo dato il normale latte pastorizzato, come fanno tutte le mamme”. Così la signora Lula Hall, mamma del fuoriclasse, si discolpa e prova ad uscire dall'imbarazzo creato da domande su come diamine abbia fatto a creare e crescere qualcosa di così speciale.

E' spesso facile abbinare il basket USA a grandi storie di rivincite personali e riscatti dall'emarginazione sociale con incorporate elargizioni a ritroso di denaro alla famiglia povera, all'amorevole madre che li ha tirati su con costante premura ed ai tanti fratelli e fratellastri che hanno a lungo conosciuto con loro la miseria; storie di talenti trasandati cresciuti in ghetti e sobborghi delle metropoli del nord che lottano spesso soli ed incavolati contro il mondo; storie di ragazzi che contano esclusivamente sul loro talento cestistico e vedono la borsa di studio da un lato come un traguardo non scontato in grado di insabbiare spesso insormontabili problemi scolastici e dall'altro come il punto di partenza per la speranza della realizzazione di un sogno.

Bene, con Young dimenticate tutto questo: qui abbiamo a che fare con una singolare caccia al piccolo fenomeno tale da creare il così detto “Team Thaddeus”, ovvero una mezza dozzina di personaggi in cerca d'autore che si sono aggiunti alla mamma per consigliare in ogni particolare la crescita del pargolo.

Il padre biologico di Thaddeus, Felton Young, oltre ad essere stato ex giocatore a Jacksonville, sembra per esempio avere tutte le caratteristiche del classico filibustiere affarista che ti dice una cosa e fa l'esatto contrario. Intanto è comparso nelle palestre come primo tifoso del figlio solo tre anni fa, solo su chiamata del coach della squadra di High School e solo mentre l'erede dava i primi segnali di poter dominare questo gioco, dopo essersi dimenticato di lui per buona parte dei suoi primi 15 anni. Consolidata prassi USA.

Ancora più sospetta sembra però essere un'inquietante coincidenza che lo riguarda: dopo 15 anni senza allenare, quando l'Adidas ha creato un nuovo team per i campionati AAU, denominato Memphis Pump'N'Run e di cui non chiedetemi altro, ha affidato “casualmente” la panchina proprio al signor Felton, riscoprendo “improvvisamente” le sue doti tecniche.

Coach Young insiste nel sostenere che non percepisce alcun compenso speciale per questo suo nuovo incarico, ma in realtà  sembra trattarsi di una delle più originali vie legali per far arrivare denaro al genitore di un campioncino da NBA, con tutte le conseguenze presenti e future di sponsorizzazioni che vi lascio immaginare. Il dato certo è che Thaddeus è legatissimo alla figura del padre e che quest'ultimo è entrato in pompa magna nella vita del figlio.

A scegliere Felton Young come allenatore per la loro squadra sono stati i gemelli Jerry e Terry Durham, ovvero i manager a capo del Pump'N'Run Team. Tra il 1989 ed il 2002 i due hanno messo insieme la cifra record di 19 arresti, prevalentemente grazie a banali possesso o spaccio di droga e guida in stato di ebbrezza, ma non facendosi mancare anche divagazioni più fantasiose come il tentato omicidio. Ad onor della cronaca, alla fine non sono stati condannati di alcun crimine.

Dana e David Pump completano degnamente il circo itinerante attorno a Thaddeus: sono i due fratelli nei quadri dell'Adidas che hanno deciso di creare e sottoscrivere i Pump'N'Run ed hanno assunto alla loro guida Jerry e Terry Durham. Cos'hanno in comune i fratelli Pump con i fratelli Durham? Ebbene sì: sono anche loro gemelli!

Ricapitolando: i gemelli Pump assumono i gemelli Durham che assumono dopo 15 anni di inattività  coach Felton Young… e tutti si assumono l'onere di consigliare Thaddeus, guarda caso potenziale stella NBA. Si sa che la gente dà  buoni consigli, se non può più dare cattivo esempio.

“Stiamo solo cercando di aiutare certi ragazzi”: così banalmente Jerry Durham in versione filantropo cerca di capovolgere la situazione per farci credere non che Thaddeus rappresenti una clamorosa fonte di guadagno per il quartetto di gemelli, ma che in realtà  siano loro a proteggerlo partendo dallo strano presupposto che abbia bisogno di aiuto e dimenticando che si tratta del ragazzo cresciuto a Memphis forse dotato di maggior talento dai tempi di Elvis (fans di Justin Timberlake permettendo).

A Mitchell si stanno già  mettendo le mani nei capelli e tra un sospiro rassegnato e l'altro coach Jerry Johnson prova a mettere ordine: “Ho chiamato io circa quattro anni fa il padre di Thaddeus affinchè fosse più coinvolto e vicino al figlio. Mai avrei pensato che sarebbe andata a finire così. Dalla famiglia della madre c'è pure chi si è lamentato con me per questa ingerenza, ma è pur sempre il padre naturale ed io ho fiducia in lui affinchè faccia il bene del figlio”. Ecumenico.

Per capire la differenza tra la storia di Young e quella dei funamboli da playground abbandonati spesso a loro stessi in quartieri poco rassicuranti, il nostro ha invece ponderato la scelta del college a stretto contatto, oltre che con il Team Thaddeus qui sopra raccontato, con uno dei più famosi avvocati di New Orleans, ovvero suo zio Ken Carter, solo omonimo del coach di recente cinematografica memoria.

Il tutto sfogliando la margherita ed avendo sul tavolo proposte da tutte le più gloriose università  del South-East: “Potevo riempire una stanza intera con tutta la corrispondenza ricevuta dai reclutatori. Ne ho ricevuta così tanta in così poco tempo da aver temuto che mi fosse sfuggita qualche offerta importante. Sono arrivato al punto di gettare alcune lettere senza aprirle ed anzi ero diventato un grande esperto nel riconoscere a vista quelle ordinarie che vengono mandate a tutti gli studenti rispetto a quelle inviate solo a me in quanto Thaddeus Young. Ovviamente le prime finivano intatte nel cestino”.

Thaddeus non si accorge della componente snob che si porta dietro una dichiarazione di questo genere, ma in lui prevale un puro e sincero spirito pragmatico, razionale e metodologico da studente modello, ove la pignoleria di mettere ordine tra le varie offerte sembra davvero l'unica ragione di certe uscite.

Sentendolo parlare, anzi, pare aver già  preso dimestichezza con il ruolo di futura stella del mondo cestistico USA e sembra essere in grado di gestirlo meglio di molti suoi illustri colleghi giunti impreparati alle decine di chiamate quotidiane dei giornalisti ed al successo preannunciato negli astri ma non ancora concretizzato in campo e nella vita. Il tutto grazie anche a quella sua ruffiana sicurezza mai troppo ostentata e calmierata da una sottile capacità  di non prendersi (ancora) troppo sul serio.

Capacità , quest'ultima, accompagnata da quello che è già  diventato un marchio di fabbrica, ovvero un chilometrico sorriso da orecchio ad orecchio con cui fa intuire che il primo ad essere divertito da questo pazzo mondo che gli gira intorno è proprio lui: “Sentite questa: una scuola per convincermi mi ha trasmesso una specie di volantino con la mia immagine e sopra la scritta -Thaddeus Young: The No. 1 pick in the 2007 NBA Draft after one year in college-. Un'altra ancora mi ha mandato un poster del genere WANTED con scritto -Ricercato: per il possesso di abilità  mortali di ballhandling. Avvistato l'ultima volta nell'atto di rompere caviglie agli avversari-“.

E' stato così attento nell'evitare di sbilanciarsi a favore di quello o di quell'altro ateneo che ha badato bene di non dire i nomi anche degli autori di queste due simpatiche iniziative.

Nell'estate 2005, prima della sua ultima stagione di High School a Mitchell, ha tenuto infatti banco l'attesa, non si sa quanto involontariamente creata, circa un'ipotetica rosa di 5 college a lui graditi ed all'interno della quale sarebbe uscito il nome del prescelto per la sua – presumibilmente breve – carriera NCAA.

Tra le tante richieste, ce n'è stata una un pò più speciale delle altre: “Ohio State mi intrigava molto. Greg e gli altri ragazzi mi hanno chiesto di andare a giocare con loro, -Come on over there with us!-, ma non poteva essere tutto così facile”. Il Greg in questione è ovviamente Greg Oden, prima scelta assoluta designata dai mock draft 2007 nei quali Thaddeus difficilmente viene collocato al di sotto della quinta posizione, in lotta anche per il podio con l'altro freshman Kevin Durant (Texas), il mio pallino Julian Wright (Kansas) ed il campione in carica NCAA con i suoi Gators, Joakim Noah.

Immancabili anche le lusinghe ed i corteggiamenti dei vari coach: “Mi chiamavano e mi dicevano -Ti vogliamo! Ti desideriamo! Siamo nelle cinque prescelte?-. Ed io a tutti rispondevo che avevano le stesse possibilità  e che avrei ristretto il gruppo solo alla fine dell'estate. Solitamente chiudevano la conversazione assicurandomi che, qualora fossero stati “tagliati” dalle mie preferenze, mi avrebbero lasciato stare e non avrebbe provato lo stesso ad inserirsi nella bagarre; solo in pochi l'hanno poi fatto effettivamente”.

Come in un reality televisivo in cui poco alla volta vengono eliminati tutti i concorrenti e resta solo il vincitore, così ben presto i programmi di Illinois, Kansas, Mississippi State, Oklahoma State ed appunto Ohio State sono stati scartati. Ingolosito dalle tante offerte, la famosa lista di 5 non si è mai realmente materializzata, ma ad inizio agosto in gara erano rimaste in sette: Arkansas, Georgia Tech, Kentucky, Memphis, Tennessee e le immancabili Duke e North Carolina. A fine agosto sono state nominate e quindi escluse, per la delusione ed un filo di rabbia degli appassionati locali, le padrone di casa Tennessee e l'accreditatissima Memphis, oltre ai Blue Devils di Coach K ed ai loro rivali storici di UNC. La finale a 3 ha visto prevalere a fine ottobre i Yellow Jackets di Georgia Tech

Curioso (ed allarmante) il dietro le quinte che ha condotto il viaggio verso la scelta finale, non certo arrivata a seguito di televoto ed a lungo tenuta nascosta ai media. Una notizia un po' originale non ha bisogno di alcun giornale, specie se c'è di mezzo papà  Young che te la spiattella proprio sul più bello quando ci si accinge a sciogliere le riserve: “Mio figlio giocherà  in un college per un allenatore di colore. Non importano l'educazione, la tradizione o il programma di basket, ma conta il colore della pelle dell'allenatore”. Boom!

Thaddeus, stuzzicato in merito, si è limitato a dire che questo non era certo un fattore fondamentale per la sua scelta. Così sia. Per la fredda cronaca, il coach di Georgia Tech, Paul Hewitt, è di colore; John Calipari, coach della favoritissima e locale Memphis, no.

Ah, poi ci sarebbe anche il giocatore Thaddeus Young, che è forse l'argomento che interessava maggiormente gli appassionati. Beh, per quanto possa ritenere eccessivi i paragoni con McGrady e Pierce citati in apertura, specie basati su premature impressioni di partite tra liceali, siamo lo stesso di fronte ad uno dei più impressionanti atleti che si affacciano quest'anno al mondo NCAA, non tanto e non solo per l'esplosività  e la velocità  di base, ma soprattutto per quella fluidità  e varietà  di movimenti che lo rendono una delle cose più gradevoli da veder districarsi sopra un parquet.

Fanno capolino, dai suoi 2.03 che necessitano ancora qualche pound di muscoli, anche un più che discreto tiro mancino ed una rara completezza di fondamentali anche difensivi che fa già  pregustare lo spettacolo ai tifosi dei Yellow Jackets. Il tutto inserito sempre in un contesto di allenabilità  e mentalità  lavorativa senza eguali.

Georgia Tech viene da una stagione non felice, con il primo record perdente (11-17) dal 2002 ed il penultimo posto nella spietata ACC, ma conserva per l'anno prossimo sei dei primi sette migliori marcatori di squadra a cui aggiunge, oltre a Thaddeus, un manipolo interessantissimo di freshman capitanati dall'altra stellina Javaris Crittenton, guardia da Atlanta.

Coach Hewitt prova a nascondersi: “Non penso che saremo già  competitivi ad alto livello, anche se l'entusiasmo dei nostri giovani ci permetterà  di toglierci qualche soddisfazione. Siamo troppo immaturi e dobbiamo pensare al futuro seguendo soprattutto il processo di crescita dei nostri ragazzi”.

Il nome aramaico Taddeo significa “colui che loda”, ma Young sembra aver deciso di capovolgere questo significato in “colui che è lodato”, mettendo tutti d'accordo con il suo talento trasversale. Se risolvere un'equazione o comprendere un testo di economia aziendale non sarà  un problema anche a livello superiore, la conference più dura ed affascinante della NCAA invece l'aspetta al varco ed il ragazzo ha tutto ciò che occorre per farsi trovare pronto anche a questa sfida. Naturalmente Team Thaddeus permettendo…

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